“Il mattino di Pasqua, nel ricordo di lui, siamo andati al sepolcro, ma non era più là…”
Sono le parole di un canto pasquale, la traduzione poetica del Vangelo di Risurrezione!
Eppure, queste parole, pur sostenendo le ragioni della nostra speranza, possono stridere con la realtà del quotidiano.
Oggi è Pasqua, oggi il Crocifisso è risorto, oggi la vita vince la morte e la luce la notte, ma la sofferenza continua a segnare volti e corpi di uomini e donne. I motivi sono diversi e prendono il nome di malattia inguaribile, di malattia psichiatrica, di guerra e violenza, di conflitto e risentimento, di maltrattamento e di ferite nell’esperienza dell’amore.
Nel romanzo La Peste di Camus leggiamo un dialogo tra un medico ateo, di nome Rieux, e il prete Panaloux seduto al letto di un giovane morente. Dopo l’intera notte passata in veglia, il medico a mezza voce sussurra: “…Noi lavoriamo insieme per qualcosa che riunisce al di là delle bestemmie e delle preghiere. Questo solo è importante”. Paneloux, vicino a Rieux, aveva un’aria commossa. “Sì – disse – anche lei lavora per la salvezza dell’uomo”. Rieux tentava di sorridere. “La salvezza dell’uomo è un’espressione troppo grande per me. Io non vado così lontano. La mia salute m’interessa, prima di tutto la mia salute… Quello che odio è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli”.
Il confronto-dialogo tra l’ateo e il credente è qualcosa di più di una costruzione letteraria, è l’esplicitazione della domanda che tutti ci portiamo nel cuore.
Non è reale essere credenti senza attraversare il dramma di tali interrogativi. È il dramma della Pasqua, del tempo del silenzio davanti al sepolcro e quello della gioia contagiosa quando si tocca con mano che il corpo di Gesù “non era più là”.
Il morire di Dio sulla Croce, il suo attraversare la vicenda di ogni uomo e donna che è la morte è anzitutto condivisione di una situazione, ma diventa consolazione e speranza per tutti dal momento che “non era più là”. Il sepolcro non è la fine della vita. Il fine della vita è la beatitudine del mattino di Pasqua.
L’esperienza del mattino di Pasqua è allora il fatto che sostiene ogni giorno del nostro pellegrinare.
Siamo uomini e donne che stanno nel mondo come pellegrini di speranza e non come vagabondi senza senso.
Con le parole di Ermes Ronchi auguro a ciascuno di voi buona Pasqua, buona vita nella speranza:
“Io spero perché il centro del cristiano non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me; io ho speranza perché il centro della fede non sono le mie azioni, ma l’azione di Dio.
La salvezza è che lui mi ama, non che io lo amo”.
E Dio, in Gesù, ama ogni uomo e ogni donna.
Ogni persona. Buona Pasqua