24 agosto 2016, 3:36:32, nel cuore di una notte estiva come tante, un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere, poi le urla.
Così il nostro Paese viene sconvolto dalla tragedia di un terremoto che porta via con sé paesi, case e quasi 300 vite umane. Il tempo per alcune persone si blocca in quei drammatici momenti e sembra non ci sia modo di farlo ripartire. Lo sguardo del mondo si volge verso il cuore dell’Italia e inizia ad attivarsi la catena d’aiuti, donazioni e iniziative volte a permettere un ritorno più rapido possibile alla vita.
Come ha detto il Vescovo di Rieti, Domenico Pompili, occorrerà molto tempo per la ricostruzione, ricostruzione che significa far rivivere una bellezza della quale siamo custodi. Occorre trovare il cemento giusto per attuare questa riedificazione, non basterà rafforzare lo spazio tra un mattone e l’altro, non sarà sufficiente rendere agibili case ed edifici, serve permettere alla vita di tornare ad abitare i luoghi devastati. Chi è stato colpito personalmente dal sisma, chi si è visto andare in frantumi davanti agli occhi tutto quello che aveva, chi ha vissuto il dramma di rimanere con la vita imprigionata per interminabili minuti al buio sotto un cumolo di macerie; com’è possibile ripartire? La prima tentazione è quella di utilizzare Dio come capro espiatorio, addossargli le motivazioni più assurde per ciò che è accaduto. Poi c’è la rabbia cieca che incendia e fa puntare il dito contro tanti possibili responsabili, ma non permette di fare nulla. Ancora più drammatico chi, insensibile, sfrutta le disgrazie per facili guadagni e non è toccato dalle lacrime altrui pur di arricchirsi.
Tragedie come questa toccano il cuore di una nazione intera e possono essere la dolorosa occasione per riscoprire valori che comunemente fatichiamo a vivere, come l’umiltà: la capacità di fare quanto ci è possibile senza avere la necessità di un ringraziamento pubblico, senza essere al centro dell’attenzione, perché abbiamo riconosciuto che al centro della storia c’è Qualcun altro. Incontriamo l’umiltà nel volto dei tanti soccorritori, nelle mani sporche dei volontari, nei cuori agitati di chi ha donato qualcosa attraverso i tanti canali attivi o lo farà nelle varie collette.
Riemerge il valore della comunità, una comunità ampia che racchiude gli abitanti di una nazione, un popolo che ha bisogno di stringersi ed abbattere le fragili barriere al suo interno per poter sostenersi, per tornare a camminare. Di fronte al bisogno ci si riconosce fratelli, magari non lo si esprime alla stessa maniera, ma tutti siamo più simili, perché tutti fragili di fronte a forze più grandi di noi.
Proprio per questa fragilità creaturale il cuore dell’uomo ha sete di Dio, ha bisogno di fede, di incontrare nuovamente Colui che può ristorare la nostra vita, di abbracciare Colui che accoglie i nostri cari, di aggrapparsi a quell’unica roccia che nessun terremoto o catastrofe naturale potrà mai frantumare. Ascoltiamo questa sete che è dentro ogni uomo, smettiamola di tentare di sanarla con ciò che non disseta, non continuiamo a fissarci allo specchio sicuri che basterà impegnarsi al massimo per superare ogni problema grazie alle nostre forze, non cerchiamo di dimenticarcene voltando lo sguardo lontano ancora una volta.
Sì la terra tremerà nuovamente prima o poi, ma adesso è il momento di scegliere il cemento col quale edificare la nostra vita.
don Pietro