Il 17 ottobre è stato presentato il rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Vasi comunicanti”, in passato non mi ero mai soffermato attentamente su questo genere di indagine, ma questa volta un dato allarmante ha attirato la mia attenzione. In Italia oggi la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima: tocca la drammatica vetta del 10,2% nella fascia 18-34 anni, per poi decrescere costantemente fino al dato minimo del 4% relativo agli over 65. Un giovane come me non può restare indifferente di fronte a questi numeri: pensare al grado di povertà nel quale versano coetanei è qualcosa che mi spinge a chiedermi quali siano le cause di una tale situazione e, forse ancora più gravi, le conseguenze.
Se la causa maggiore è la persistente crisi del lavoro, che pare proseguire nonostante gli spiragli di luce che si intravedono nelle statistiche riportate dai telegiornali, sono sicuramente più preoccupanti le conseguenze delle difficoltà che colpiscono i giovani italiani. Papa Francesco riflettendo su questo tema ha detto: “Quando non c’è lavoro a rischiare è la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita! Oggi i giovani sono vittime di questo”. Parole chiare ed esplicite che ci permettono di capire quanto in profondità si protragga l’ombra creata dall’instabilità che viviamo.
In passato il delicato momento dell’immissione nel mondo del lavoro costringeva i giovani a fare alcuni sforzi e sacrifici, ma permetteva di raggiungere l’indipendenza economica e di provare la gioia di nuove soddisfazioni; ora si è portati a vedere un impiego come qualcosa di elitario, per pochi fortunati, si è disposti ad accettare occupazioni occasionali senza la minima previdenza sociale, si è incapaci di progettualità, di fiducia nel futuro. Fortunatamente questa non è la situazione generale dei giovani in Italia, ma il dato evidenziato dal rapporto Caritas ci fa capire che è lo stato in cui vivono troppi di essi.
Quando è in gioco la dignità della persona, ogni aspetto della sua vita rimane coinvolto: il futuro non rappresenta più una possibilità da scoprire, ma una lotta da affrontare; il matrimonio non è più un SI carico di responsabilità e di gioia, ma un di più non necessario; una nascita non è più un dono da accogliere, ma qualcosa da rimandare a tempi migliori.
Ora più che mai c’è bisogno di politiche capaci di cambiare le carte in tavola, favorire condizioni che possano far diminuire la povertà giovanile, non perché questa sia più importante dello stato di salute degli adulti, ma perché i giovani tornino ad essere il carburante che alimenta l’industria del Paese, la lente che permette di vedere le possibilità nascoste nel domani.
Avere fede non è indifferente per affrontare le difficoltà dell’oggi. Chi crede riesce più facilmente a tornare ad avere fiducia in sé, perché è sicuro di essere innanzitutto destinatario della fiducia di Dio.
don Pietro