Carissime e carissimi,
con questa lettera desidero raggiungere tutti i battezzati, le donne e gli uomini delle religioni e di buona volontà, per esprimere la mia gratitudine per il dono della Visita Pastorale Feriale giunta ormai alla sua conclusione.
Nelle sue tre fasi, essa ha consentito a me e ai miei collaboratori di toccare con mano la vita di comunione in atto nella Chiesa ambrosiana, non certo priva di difficoltà e di conflitti e tuttavia appassionata all’unità. La preparazione della Visita, svoltasi in modo forse un po’ diseguale nei vari decanati, l’atteggiamento di ascolto profondo in occasione dell’assemblea ecclesiale con l’Arcivescovo, la cura nell’accogliere nelle realtà pastorali il Vicario di Zona o il Decano, e la proposta del passo da compiere sotto la guida del Vicario Generale, hanno confermato ai miei occhi la vitalità di comunità cristiane non solo ben radicate nella storia secolare della nostra Chiesa, ma capaci di tentare, su suggerimento dello Spirito, adeguate innovazioni. Questa attitudine di disponibilità al cambiamento l’ho toccata con mano sia nelle parrocchie del centro, sia nelle grandi parrocchie di periferia, esplose negli ultimi sessant’anni, sia nelle città della nostra Diocesi, sia nelle parrocchie medie e piccole.
È stata però la Visita del Papa a farmi cogliere nitidamente l’elemento che unifica le grandi diversità che alimentano la nostra vita diocesana. La venuta tra noi del Santo Padre è stata, infatti, un richiamo così forte da rendere visivamente evidente che la nostra Chiesa è ancora una Chiesa di popolo. Certo, anche da noi il cambiamento d’epoca fa sentire tutto il suo peso. Come le altre metropoli, siamo segnati spesso da un cristianesimo “fai da te”: ce l’hanno testimoniato gli arcivescovi di grandi Chiese in tutto il mondo che in Duomo hanno raccontato l’esperienza delle loro comunità. Non manca confusione su valori imprescindibili; spesso non è chiaro il rapporto tra i diritti, i doveri e le leggi… Ma è inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della secolarizzazione su cui ci siamo soffermati in tante occasioni. Più utile, anzi necessario, è domandarci – con ancora negli occhi il popolo della Santa Messa nel parco di Monza, l’incontro con i ragazzi a San Siro, l’abbraccio al Santo Padre degli abitanti delle Case bianche e dei detenuti di San Vittore, e soprattutto la folla che ha accompagnato la vettura del Papa lungo tutti i 99 km dei suoi spostamenti – che responsabilità ne viene per noi? Come coinvolgere in questa vita di popolo i tantissimi fratelli e sorelle battezzati che hanno un po’ perso la via di casa? Come proporre con semplicità in tutti gli ambienti dell’umana esistenza la bellezza dell’incontro con Gesù e della vita che ne scaturisce? Come rivitalizzare le nostre comunità cristiane di parrocchia e di ambiente perché, con il Maestro, si possa ripetere con gusto e con semplicità a qualunque nostro fratello “vieni e vedi”? Come comunicare ai ragazzi e ai giovani il dono della fede, in tutta la sua bellezza e “con-venienza”? In una parola: se il nostro è, nelle sue solidi radici, un cristianesimo di popolo, allora è per tutti. Non dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né ostinarci nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla comunione. Penso qui alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o nell’accogliere gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. Ma, con una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono di Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affascinante per quanti quotidianamente incontriamo.
A queste poche e incomplete righe vorrei aggiungere una parola su quanto la Visita Pastorale ha dato a me, Arcivescovo. Lo dirò in maniera semplice: durante la celebrazione dell’Eucaristia nelle tante parrocchie e realtà incontrate, così come nei saluti pur brevi che ci siamo scambiati dopo la Messa, e, in modo speciale, nel dialogo assembleare cui ho fatto riferimento, ho sempre ricevuto il grande dono di una rigenerazione della mia fede e l’approfondirsi in me di una passione, quasi inattesa, nel vivere il mio compito. Ma devo aggiungere un’altra cosa a cui tengo molto. Ho appreso a conoscermi meglio, a fare miglior uso dei doni che Dio mi ha dato e, nello stesso tempo, ho imparato un po’ di più quell’umiltà (humilitas) che segna in profondità la nostra storia. Ho potuto così, grazie a voi, accettare quel senso di indegnità e di inadeguatezza che sorge in me tutte le volte che mi pongo di fronte alle grandi figure dei nostri patroni Ambrogio e Carlo.
Se consideriamo la Visita Pastorale Feriale dal punto di vista profondo che la fede, la speranza e la carità ci insegnano, e non ci fermiamo a reazioni emotive o solo sentimentali, non possiamo non riceverla come una grande risorsa che lo Spirito Santo ha messo a nostra disposizione e che ci provoca ad un cammino più deciso e più lieto. Seguendo la testimonianza di Papa Francesco, la grande tradizione della Chiesa milanese può rinnovarsi ed incarnarsi meglio nella storia personale e sociale delle donne e degli uomini che abitano le terre ambrosiane.
La Solennità della Santissima Trinità che oggi celebriamo allarga il nostro cuore e rende più incisivo l’insopprimibile desiderio di vedere Dio: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto”. Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto» (Sal 27 [26] 8-9a).
Angelo Card. Scola
Arcivescovo
Nella Solennità della Santissima Trinità
Milano, 11 giugno 2017