Non ci sono dubbi: la Croce per tutti in questi giorni, ormai da più di un anno, si chiama Covid e pandemia.
Proprio perché è una Croce, induce a qualche riflessione. Un’antica devozione guardava alle cinque piaghe di Gesù, perché sulla croce Gesù non patisce una volta sola. Alle piaghe delle mani, dei piedi e del fianco, potremmo aggiungere quelle interiori e spirituali: l’abbandono dei discepoli, l’ostilità dei capi religiosi, la viltà politicamente interessata di Pilato, lo scherno dei soldati e l’indifferenza della folla. Ugualmente la pandemia trascina con sé piaghe dolorose di solitudini, paure, depressioni, incertezze per il lavoro, gli studi, la vita familiare. E come non ricordare le popolazioni vittime di guerre come in Siria e in Yemen, di migrazioni forzate come in Bosnia, di repressioni militari come in Myanmar?
Ed ecco, come allora, dopo il terremoto del venerdì santo, un piccolo gruppo di uomini e donne a cercare Gesù, perché «affermano che egli è vivo» (Lc 24,23); e a trovarne i segni in un pane spezzato, in una parola di sapienza, in un gesto di fraternità.
Non si incontra il Risorto nei palazzi del potere o nei laboratori scientifici, né nelle aule universitarie o nelle redazioni dei giornali. O, meglio: non lo si incontra finché un discepolo non osi entrare là dove si vive, si lavora, si costruiscono i destini del mondo, per mostrare più con i fatti che con le parole di custodire nel cuore una grande speranza. Una speranza che fa luce sulle ombre più tristi, che scioglie le catene dell’egoismo, che può sostenere il cammino di tanti.
don Gianni
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