La scuola è ripartita ma le chiusure dei mesi scorsi a causa della pandemia hanno fatto emergere tutta la fatica della didattica a distanza e della restrizione fisica e psicologica, in una fase in cui
i nostri ragazzi e, in particolare gli adolescenti, hanno bisogno di fare gruppo, di comunicare.
Due insegnanti ci aiutano a capire le loro difficoltà e come li possiamo aiutare.
Ptof, Invalsi, Dad, Bes, Dsa… il mondo della scuola è ormai invaso da un’infinita serie di acronimi. Solo uno di questi però provoca un certo senso di malessere, di fastidio, e può arrivare a scatenare crisi di ansia e vero panico: la DAD!
Ebbene sì, la Didattica a Distanza – significato della spaventosa abbreviazione – si è trasformata nell’incubo più ricorrente delle famiglie e dei docenti italiani. Gli insegnanti si sono ritrovati immersi nei corsi di aggiornamento, pardon, Webinar, su ZOOM, Meet, Google Classroom, GSuite, e chi più ne ha più ne metta; le famiglie hanno compiuto tripli salti mortali per gestire a casa le lezioni di due, tre, quattro figli contemporaneamente.
L’ultimo anno scolastico homemade ha messo in luce problemi logistici (“Mio figlio non può stare a casa da solo”), tecnologici (“Prof, non la vedo… non la sento…”), economici (“Non ho quattro pc…”), ma, soprattutto, sociali.
Se esistesse un foglietto illustrativo della DAD, ci sarebbe sicuramente scritto: “Non assumere a dosi eccessive, può provocare isolamento, apatia e solitudine”.
Tra tutti, quello della carenza di socialità è di certo il problema più preoccupante scaturito dalle lezioni a distanza e non deve assolutamente passare inosservato.
Un ragazzino di 13 anni non può essere apatico.
Può essere arrabbiato, triste, malinconico, ma apatico no. Una ragazzina di 12 anni che rimane passiva e indifferente a qualunque stimolo le venga proposto è un importante campanello d’allarme non solo per la scuola o la famiglia, ma per tutta la società.
La DAD ci ha trovati a marzo 2020 totalmente impreparati e inadeguati, e dura ormai da troppo tempo. Ha portato via la classe, che, per un adolescente, non è solo un luogo fisico ma quasi un surrogato della famiglia. Senza SCUOLA manca il rapporto diretto con il docente, elemento essenziale e imprescindibile dell’insegnamento e dell’apprendimento. Sono venute meno le discussioni, i lavori di gruppo, i cartelloni pieni di glitter e di amichevoli litigi per chi deve colorare la scritta principale, tutte le attività pomeridiane extrascolastiche che diventavano posto di ritrovo e aggregazione.
Noi docenti guardiamo tutte le mattine nel nostro schermo cercando ancora un lampo di energia e positività negli occhi dei ragazzi, ma sappiamo che trovarlo è cosa assai rara. Si fanno i compiti perché si deve, ci si connette nella classe virtuale perché è obbligatorio, ma è davvero difficile vedere dell’entusiasmo, soprattutto nei volti degli studenti in piena fase adolescenziale.
Noi “grandi” abbiamo quindi un compito essenziale, che è anche un dovere morale: dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a riappropriarsi delle emozioni perdute. Insegniamo loro la resilienza e la tenacia, ricordiamo che i nostri amici sono là fuori e aspettano solo di poterci riabbracciare. Sosteniamoli sempre e ricominciamo anche a usare un vecchio acronimo, che tanto piaceva e che, chissà perché, ora non si sente più: TVB (Ti Voglio Bene).
Laura Zappa
insegnante di scuola media
Una premessa: non tutti gli insegnanti e non tutti i genitori sono uguali. Quello che vi racconto oggi è quindi la mia esperienza di mamma ed insegnante, criticabile… ma autentica.
In questi prolungati mesi di DAD ogni docente appassionato ed innamorato dei suoi alunni ha inevitabilmente cambiato il suo metodo di insegnamento, ogni genitore ha riorganizzato tempi e spazi domestici, come un camaleonte ci siamo tutti adeguati alla situazione cercando di rispondere ai nuovi stimoli.
Quello che è mancato a tanti studenti non credo quindi essere stato il non potere imparare. Guardo i miei colleghi e gli insegnanti dei miei figli e vedo lezioni davvero stimolanti: la perdita maggiore è stata, senza dubbio, l’assenza della relazione tra pari e con il docente, la mancanza fisica di qualcuno che si prendesse realmente cura di te e camminasse al tuo fianco.
È un tale vuoto che, come docente e genitore, ho cercato di colmare imparando a svestirmi della mia ansia da valutazione, e mettermi più in ascolto di quelle che sono le esigenze dei miei alunni, ad adeguarmi maggiormente ai loro tempi che spesso non coincidono con i miei che per natura sono un treno ad alta velocità. Ho capito, proprio in questo presente traballante, quanto per loro fosse importante una scuola che sostenesse invece la loro esigenza di guardare il futuro, che insegnasse loro a non aver paura di sognare.
Una studentessa di una delle mie quinte liceo mi scrive: ‘’L’esperienza di DAD è abbastanza positiva. Riesco a stare nella mia stanza in silenzio e ho sempre il p.c. a disposizione. È comunque più faticoso perché è facile distrarsi e non hai un professore che ti motivi. Io preferisco mille volte fare una didattica a distanza che andare in presenza rischiando di diffondere ancora il virus.’’
Ed un suo compagno sottolinea: ‘’Dopo più di un anno di DAD in molti hanno capito quanto sia importante la scuola e quanto si impegnino i nostri professori per insegnarci ad affrontare a testa alta le difficoltà che incontreremo. La DAD non è così terribile, anzi ha aiutato molte persone a capire le proprie passioni, le materie che si preferiscono e quelle che proprio non si sopportano.’’
A loro rispondo citando versi di una poesia di Tognolini ‘’A casa io sono, a scuola io divento, a casa c’è il nido, a scuola c’è il mondo’’.
Come si fa a trovare la propria strada stando in una stanza? Quindi buon cammino ragazzi verso lezioni di vita in presenza nella nostra scuola o dovunque sarete il prossimo anno.
Francesca Lissoni,
insegnante alla scuola superiore
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.