Il Vangelo parla a ciascuno di noi, ma il pericolo è che interpretiamo la Parola indirizzata ai contemporanei di Gesù. La lettura storica della parabola fa notare come, al rifiuto del popolo eletto, i vignaioli ingrati, il Regno di Dio è dato ad altri vignaioli che sono i pagani. Questi, oggi, siamo noi e la vigna che ci viene data è un dono.
Per vigna intendiamo l’amore di Dio per noi che si esprime in infiniti doni: la vita, la fede, una famiglia, il lavoro… tutto è dono e grazia.
Doni da far fruttare, talenti da spendere bene, di cui dobbiamo rendere conto poiché non siamo i proprietari, ma abbiamo tutto in usufrutto e per questo stiamo attenti perché anche a noi potrebbe essere sottratta la vigna o potremmo diventare rami secchi, tralci avvizziti, sia come singoli che come comunità.
E dobbiamo stare attenti, come dice il profeta Elia, a non diventare idolatri, a confondere Dio con qualcuno o qualcosa. Siamo idolatri quando facciamo diventare una persona, una cosa (carriera, denaro, piacere) il valore assoluto cui sacrificare la nostra vita. Pensando alla vigna e al profeta Elia, proviamo ad interrogarci se la nostra preghiera ha come caratteristica la riscoperta dei doni e, quindi, la riconoscenza, la gratitudine o la richiesta e il lamento? Oppure: Dio è al centro della mia vita o c’è qualcuno o qualcosa che ha preso il suo posto? Se abbiamo sbagliato non scoraggiamoci. Dio non è un giudice che ci condanna, ma un Padre che aspetta il nostro ritorno.
don Alberto