Cesare Bidinotto vive a Desio, coniugato con Cristina, è diacono permanente dal 2005 e svolge il suo ministero nella cappellania dell’Istituto “Corberi” di Limbiate. Abbiamo chiesto a lui una testimonianza sul suo ministero e sulla sua esperienza di fede a contatto con gli ammalati, spesso gravi e dimenticati.
“L’immagine che mi è venuta in mente quando entrai al Corberi per la prima volta è quella del quadro di Munch intitolato “Il grido” dove viene espressa la disperazione, la paura, lo smarrimento, l’angoscia, il senso di solitudine dell’uomo, dato che questo è un luogo di sofferenza, fragilità, emarginazione,
“Tu che Sei Chiesa, cosa fai per noi?” – “Se il tuo Dio è così buono, perché non fa qualcosa per mio figlio?” – “io in Chiesa non ci verrò mai e so io il perché” – “che fede vuoi che io abbia?” – “non venire da me a parlarmi di fede, di preghiera o di Dio, perché io con Dio e con la Chiesa sono arrabbiato. Non sempre
vengo accolto con amore dalla mia comunità parrocchiale, vista la mia situazione complicata”. Queste sono alcune provocazioni con le quali fui accolto al mio arrivo quale assistente spirituale presso il Presidio Neuropsichiatrico Corberi in Limbiate diciassette anni fa, subito dopo l’ordinazione. Si tratta
di alcuni genitori e familiari dei malati che risiedono in questo luogo. Mi sono chiesto: come accompagnare questi “fratelli” con così profonde ferite attraverso la fase di disperazione espressa dall’acclamazione “Dio mio Dio mio perchè mi hai abbandonato?” verso la speranza che viene ponendo fiducia in Dio e che fa invece dire: “Tu Signore non stare lontano”? come accompagnarli all’incontro con Cristo Gesù ? E’ vero che io sono lì accanto a loro con la mia presenza, prego per loro e li ascolto con pazienza, ma come Chiesa cosa possiamo fare di più?
In questa comunità, anche se piccola, mi pare di cogliere le medesime dinamiche esistenti nelle Parrocchie e nella Chiesa in generale. Anziché trovarsi di fronte ad un “campo” con diverse tipologie di terreno che potrebbero dare molteplici frutti per il bene di tutti, il più delle volte si ha l’impatto con “piccoli
orti” con recinti e presidi che impediscono di accedere e condividerne vicendevolmente i frutti. Sono consapevole che il nemico è sempre pronto a seminare “zizzania”. Il lavoro più oneroso e sfibrante per me fin da subito è stato quello di abbattere le mura esterne del Presidio, (Fare conoscere alla società che
esistono anche gli “invisibili”) ma soprattutto quello di cercare di demolire gli steccati interni degli orticelli che impediscono la Comunicazione (Spirito di Auto- referenzialità – Mancanza di Relazione – Narcisismo). È molto difficile raggiungere, ma soprattutto mantenere la comunione tra le diverse presenze (Dirigenza di Presidio, Associazioni di Volontariato con differenti finalità, volontari “senza alcuna etichetta”, genitori e familiari, operatori).
Mi domando spesso come far sì che la pluriformità nell’unità sia veramente tale e non motivo di divisione col pretesto di difendere una propria identità ed un determinato posto fisso “tipo cariatide”.
Nonostante ciò, e pur essendo luogo abitato dalla tribolazione e dalla sofferenza, il Corberi è anche luogo dell’incontro con Dio, dove Dio è presente nei malati, si fa vicino e si fa scorgere attraverso gli sguardi, gli abbracci, le mani, le carezze, i bacetti che questi malati donano a chi è disposto ad accoglierli come persone nella loro interezza e non solo come utenti destinatari di cure. È anche luogo di conversione dei cuori, che favorisce una revisione delle priorità, un cambiamento di stile di vita, e questo è attestato dalle diverse testimonianze raccolte negli anni.
Da Marzo 2020, a causa della pandemia, purtroppo è stato possibile accedere solo saltuariamente alla struttura che è tra l’altro oggetto di ristrutturazione e trasformazione in “cittadella della fragilità” la quale
comprenderà anche un Hospice. Intravvedo quindi nuove vie di servizio da percorrere nel prossimo futuro che la provvidenza sta preparando.
Diacono Cesare Bidinotto