Edoardo Mauri, originario di San Pio X, è un seminarista al quarto anno della teologia nella diocesi di Milano, ha vissuto un’esperienza di un anno nel carcere di San Vittore a Milano. Qui la racconta per noi, per la nostra Comunità Pastorale.
Cari amici desiani, sono felice di potervi scrivere per raccontare un po’ la mia esperienza di quest’anno. Come seminarista del 4° anno infatti ho vissuto l’anno pastorale nel carcere di San Vittore a Milano. Un anno intenso, ricco in cui ho potuto
imparare molto.
“Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato
e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Con questo versetto semplice e conosciutissimo del Vangelo ho cercato di vivere i diversi incontri coi detenuti.
Tanti i pensieri, le domande, i sani timori prima di iniziare questa avventura desiderata e attesa. Ripenso al primo giorno, alle primissime ore in cui ho varcato i cancelli del carcere e ho due immagini che mi accompagnano e mai mi scorderò.
La prima, è la netta separazione dal mondo esterno: non si percepisce più la città caotica, il traffico, i rumori che siamo tutti abituati a sentire in un centro abitato.
Questa sensazione di separazione assumeva sempre più peso passando i tanti cancelli per arrivare nella zona in cui ci sono i detenuti accompagnato dal rumore delle chiavi, dei cancelli che si aprono dietro le tue spalle e vengono sbattuti violentemente.
La seconda immagine che mi porto sono gli odori che mai ho sentito altrove. Un odore che solo il carcere può offrire: un mix tra sigaretta, ambiente chiuso, umidità e…umanità data dalla presenza di tante persone. Immagini molto concrete per
me, un giovane che entra per la prima volta in un ambiente del genere, ma che aiutano a cogliere l’unicità del posto.
L’esperienza del carcere è l’esperienza dell’ultimo che viene privato di ciò che si dà più per scontato nella nostra quotidianità ovvero il dono della libertà. Questa assenza di libertà si tramuta in tante distrazioni, pensieri, occasione di riflessione e rilettura di sé o dei famigliari che sono all’esterno e spesso raccogliamo tutto questo cercando di dare spunti per vivere il periodo della detenzione con un altro sguardo. Il mio servizio spazia molto dai colloqui personali coi detenuti, ai piccoli gruppi di preghiera in cui si abbozza una lectio su brani scelti ad hoc, oppure percorsi di catechismo, accompagnando coloro che desiderano ricevere i sacramenti.
Dopo ormai 9 mesi di incontri, di colloqui personali in carcere, arrivo sempre più alla consapevolezza che la maggior parte delle persone che sono dentro lì, non hanno mai sperimentato nella loro vita cosa sia l’amore puro, semplice, il sentirsi veramente voluti bene da qualcun altro. È quindi interessante vedere quanto le relazioni dentro siano intense, quanto sia importante avere degli amici su cui contare, di cui fidarsi. Ho in mente la situazione di due ragazzi, appena maggiorenni, che sono stati arrestati insieme.
Tante, insomma, le emozioni e i sentimenti che provo in questi mesi, ma soprattutto sempre più la convinzione che la frase di Vangelo con cui ho iniziato a scrivervi, diventa per me ancora più vera quando leggo la risposta di Gesù: “Lo avete fatto a
me”. Ho l’occasione preziosa ogni volta di incontrare il volto di Gesù, nel volto dei detenuti, di visitare il Signore e lasciarmi da Lui toccare! Mi è data questa responsabilità unica, sta a me e a noi non sprecarla. Il Signore viene, non ci resta che riconoscerlo.
Edoardo Mauri
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