«Non sono un/una santo/santa»: quando ci si deve giustificare per un’arrabbiatura o per aver trascurato qualche appuntamento di preghiera, si dice così.
Già, perché si assimila il “santo” a padre Pio con la sua tonaca francescana e il suo volto mite e rigoroso, o a Teresa di Lisieux, con il suo sorriso infantile e gli occhi pieni di Dio. Poi si va a studiare meglio la vita dei santi e si vengono a conoscere i loro momenti di dubbio, di incertezza, o alcuni caratteri non sempre accomodanti. Due tra i più famosi, Francesco di Assisi e Ignazio di Loyola, hanno cominciato cercando la gloria del mondo nientemeno che in imprese militari, per fortuna (nostra!) miseramente fallite.
Il primo passaggio per la santità è la coscienza – precisa, non approssimativa – del proprio peccato, cioè dell’incolmabile distanza da Dio, l’unico veramente Santo. Una distanza che viene ridotta non dagli sforzi mistici e morali della persona, ma dal dono che viene dall’alto: il dono della fede, del sapere che a Dio la vita può essere totalmente affidata e che ogni peccato potrà essere perdonato.
Tra loro i primi cristiani si chiamavano “santi”, senza vanto, certi di formare una comunità di fratelli e sorelle, dove favorire la buona vita di ciascuno. E certi di un destino che nella fede in Gesù Risorto supera, pur temendola, la morte. E per evitare da subito la “morte secunda”, che non tocca “quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati”, come scrive san Francesco nel suo Cantico.
don Gianni