Mi viene segnalato un intervento radiofonico di Massimo Recalcati (Il mondo nuovo, Radio1, 25/10/2022), psicanalista che si dichiara non credente, ma attento ai fenomeni della religione.
Dopo avere sottolineato aspetti prevedibili, anche se fonti di angoscia – non sono più i figli a interrogarsi sull’amore dei genitori, ma sono i genitori a chiedere: mi vuoi bene? mi ami?; la tendenza a evitare ai figli esperienze di fallimento e smarrimento; il totalitarismo degli oggetti-cose per turare il “vuoto” indispensabile per la formazione – c’è un’osservazione sorprendente.
Dice: «Un tempo in una famiglia italiana normale pregare era un fatto, una consuetudine come la pioggia, la neve, il sole; i genitori non si interrogavano sul senso di questo rituale condiviso».
Il professore prosegue dicendo che, anche se i genitori oggi sono ovviamente liberi di decidere se insegnare o no ai figli a pregare, tuttavia tendono a delegare le decisioni di carattere fondamentale ad altri soggetti (scuola, chiesa ecc.).
Di per sé Recalcati cita la preghiera in famiglia solo come esempio. Ma lo inserisce nell’orizzonte più ampio dei criteri di vita che genitori ed educatori trasmettono alle nuove generazioni. Siamo interpellati anche come chiesa: la preghiera, e la stessa fede, non fanno parte del patrimonio vitale di tanti, inclusi i più piccoli. Il rimedio non è moltiplicare la quantità degli insegnamenti, ma la qualità dell’annuncio, della condivisione e della testimonianza
don Gianni