Nel vangelo di Luca Gesù Risorto si presenta a discepoli sconvolti e pieni di paura: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi»; nel testo di Giovanni invita Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Gesù chiede di essere toccato: un gesto che, se non autorizzato, infastidirebbe e potrebbe persino apparire indizio di violenza. Con
Gesù invece è indizio di riconoscimento e riaffermazione di fede.
Un tocco che riserviamo al suo corpo è certamente quello dell’Eucaristia: prese il pane nelle sue mani – ma ora le mani sono quelle del sacerdote celebrante – e disse: «Questo è il mio corpo»; un corpo distribuito ai discepoli dell’Ultima Cena e, oggi, ai fedeli partecipanti al banchetto eucaristico. Non solo lo tocchiamo, ricevendolo sulle mani o in bocca, ma lo mangiamo, assimilando quel corpo al nostro.
Il passato ci aveva consegnato gesti oggi forse persi per strada: la genuflessione o l’inchino al tabernacolo; il silenzio assoluto durante le parole della consacrazione; l’estrema attenzione nella ricezione del Corpo di Cristo (arriva gente che ciondola qua e là, saluta gli amici fino a non accorgersi di essere giunta davanti al ministro che distriiuisce la comunione) e nella risposta dell’Amen della fede; il clima di raccoglimento e preghiera o il canto gioioso nel tornare al proprio posto. Lo hanno toccato, ma l’hanno riconosciuto? «Non essere incredulo, ma credente!»: come credono?