Da alcuni anni a questa parte sembra tornata, anche se a volte espressa con parole diverse, una scelta che sembrava tramontata dopo il crollo del muro di Berlino: costruire guerre.
Con la decisione di fare guerra è accresciuto il mercato delle armi e diventa sempre più difficile comprendere gli interessi parziali e globali in gioco.
Non è mio intento fare analisi ed esprimere considerazioni difficili da motivare e, ancor prima, da conoscere. Certamente ogni guerra vede aggrediti e aggressori ma, da ogni parte, per tutti i popoli coinvolti in azioni belliche, c’è sofferenza, morte, violenza e aumento dell’odio.
Accanto a questa realtà, sembra crescere una ulteriore forma di esasperazione ed è quella mediatica.
I fatti si raccontano parzialmente e, a volte, incalzando su particolari in sé orribili, ma portati nelle nostre case come fatti inevitabili, aggiungendo conflitto a conflitto e, a volte, odio ad odio. Non stupisce allora la scelta di Papa Francesco che, direttamente o attraverso suoi rappresentanti, sta cercando di compiere un’opera tanto necessaria quanto disattesa e, cioè, far parlare le parti in causa. Parti in causa che sono ben più ampie di chi ha aggredito e di chi è stato aggredito.
La questione è di riportare speranza. Infatti, come afferma il cardinale Matteo Zuppi: “Il problema è che le speranze si sono privatizzate e sono diventate passioni tristi, cioè passioni che ci deprimono e che anestetizzano il desiderio di gioia. E se le speranze si spengono, la paura si accende”.
Tocca anche a noi Cristiani di oggi tenere accesa la speranza della pace.
don Mauro