Ad ogni ritorno di una festa cristiana, come Tutti i Santi o la Commemorazione dei defunti, viene da domandarsi quali interrogativi emergono nel cuore e nella mente di un uomo e di una donna che oggi vivono una quotidianità attraversata da notizie che si alternano tra il racconto di drammi dovuti a guerre e violenze e la superficialità del gossip elevato al rango di informazione.
Ha un limite la vita degli uomini e delle donne, oppure non c’è limite al male, come non c’è limite alla superficialità?
Ha un senso camminare alla ricerca di un obiettivo da raggiungere nella vita, e questo obiettivo ha un nome, un volto, una vicenda raccontabile e credibile?
È proponibile vivere con piena responsabilità i nostri giorni su questa terra, sapendo che ‘la nostra patria è nei cieli’?
Tante domande, che si intersecano e si intrecciano ma, attraverso queste domande, emerge anche un bisogno sempre più intenso, il bisogno di trovare ragioni in cui sperare.
Scrive Adrien Candiard: “Sperare, nella pratica, non è soltanto credere che siamo esseri capaci di eternità: è vivere preferendo l’eterno al resto, facendo passare l’eterno al primo posto, prima di ciò che è urgente […]
Sperare significa adottare il punto di vista dell’eternità: non un punto di vista freddo e lontano ma, al contrario, il punto di vista dell’amore”.
È guardare alla concretezza della vita del Santi, che amano perché credono e vedono “Dio faccia a faccia”.
È lasciarci interrogare dal silenzio e dall’assenza visibile dei nostri cari, che hanno già attraversato la morte per sperimentare che sono nella pienezza della vita. È vivere la speranza che è molto di più dell’ottimismo.
don Mauro