RICORDI E SPUNTI DI RIFLESSIONE PER UNA MUSICA SACRA
Novembre è il mese dei ricordi. Da bambino era per andare alla Messa del Cimitero delle ore 8.00, in un clima freddo (erano gli anni sessanta), per cantare i brani della liturgia dei defunti. Ricordo il canto all’ingresso. “L’anima mia ha sete del Dio vivente, quando vedrò il suo volto?” E poi il versetto del salmo 42 che recita “la cerva anela”. Il verbo anelare per un bambino di sette anni aveva un significato oscuro, sconosciuto. Per me si trattava della cerva di nome Anela, un nome strano, ma si sa, ai tempi di Gesù questo era possibile, e la cosa si complicava ancora di più nel secondo verso dove si ritrova l’anima anela a Te, o Dio. Conflitti di identità!
Tutto questo fa sorridere, ma il problema del rapporto tra testo e musica è evidente. La proposta che il Coro Città di Desio fa per sabato 11 novembre in Basilica rimette tutto in ordine: testo, musica, pensiero. Il Requiem op. 9 di M. Duruflè vuole dare uno spunto di riflessione nel ricordo di chi non è più tra noi, ma che rimane vivo nei nostri pensieri.
Ecco il commento al programma.
Il Novecento sacro francese è caratterizzato da un linguaggio musicale di rarefazioni armoniche e timbriche che si rifanno alla modalità medievale. Duruflé con Choral varié sur le Veni Creator op. 4 (1930) evidenzia come l’organo, strumento musicale per i francesi determinante per la musica sacra, possa amalgamare il linguaggio antico con la nuova sensibilità musicale del Novecento. Complessità compositiva ed esecutiva dei suoi lavori vanno in conflitto con la semplicità disarmante dell’ultima
opera pubblicata nel 1977 Padre nostro a 4 voci, dedicato a Marie-Madeleine Duruflé sua moglie. Un mottetto di rara bellezza e di raffinata semplicità che sottolinea il gusto e l’eleganza di un pensiero che tocca l’anima.
La sua opera più famosa, Il Requiem op. 9, dedicato alla memoria del padre (1947, poi ripreso in versione orchestrale nel 1961) è un capolavoro di bellezza. Il recupero di temi gregoriani dona a tutta l’opera coesione e una forza spirituale che si avverte sin dall’Introito. Duruflé utilizza il canto gregoriano per rileggerlo in una forma moderna, mensuralizzando e armonizzando ciò che in origine era la classica monodia medievale.
L’organo è strumento che accompagna e integra il canto con un linguaggio etereo di rara fattura che ben si amalgama con il disegno armonico e melodico delle voci del coro. Il Kyrie è pensato come una rilettura
della grande scuola polifonica rinascimentale in contrasto con il Domine Jesu Christe dal colore scuro e dallo sfolgorante Libera eseguito dal coro con dinamiche decise e forti. Il Sanctus è un preludio, un’attesa al luminoso Hosanna.
Pagina sublime il Pie Jesu che ricorda atteggiamenti quasi impressionisti. Così come l’Agnus Dei contemplativo e rasserenante confluisce nella contemplazione del Lux aeterna, il brano successivo riprende la supplica ostinata del Libera me che precede il Dies illa sempre in fortissimo. Ma in chiusura di questa opera si percepisce la serenità dell’ultimo brano, In Paradisum che porta l’ascoltatore in una dimensione di estasi e di serenità, originata dalle armonie al limite dell’atonalismo con i timbri dell’organo vaghi e quasi indefiniti. Un vero capolavoro.
Enrico Balestrieri
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