Anche le intenzioni migliori possono essere fraintese.
Invitare a trattare per individuare vie di pace, viene ritenuta debolezza.
Suggerire vie di uscita non conflittuali a relazioni che si stanno deteriorando, è mancanza di coraggio. Essere invitati a ripensare il desiderio di possesso dell’uomo nei confronti della donna, genera, troppe volte, una reazione di violenza impensata.
Scorgere differenze di pensiero, invece di attivare confronto e arricchimento, può creare reazioni di rabbia.
Le esemplificazioni potrebbero continuare, dal momento che sembra prevalere nelle relazioni, ad ogni livello, un approccio pregiudiziale e difensivo.
Non è fuori luogo definire questa situazione “fratellanza inquieta”.
“Fratellanza”, perché ogni uomo e donna è partecipe di elementi di comunione, di attese condivise, di gioie e sofferenze comuni.
“Inquieta”, dal momento che il ‘sentire’ comune è sempre meno riconosciuto, con il prevalere dell’autoreferenzialità egocentrica.
Non ho la pretesa di dare giudizi e di arrivare ad affermazioni psicologicamente e sociologicamente documentate, ma è certamente possibile riconoscere in tutto ciò un affanno di umanità che grida il bisogno di ritrovare una paternità perduta da tempo, che ha lasciato il posto ad un’inquieta e illusoria decisione di fare a meno di un Padre che ha cura di ogni figlio, per evitare a Caino di sopprimere Abele.
Un autore afferma:
“Mi sembra di essere un gabbiano,
che dall’alto guarda con supponenza,
noi piccoli esseri umani che ci crediamo semidei,
ma non siamo neppure capaci di volare”.
E Gesù, il Crocifisso, annuncia “amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”.
Riconoscere il Padre, è accorgersi di essere “fratelli e sorelle”.