In comunione e pace in Terrasanta

Dal 13 al 16 giugno ho avuto il dono di partecipare al pellegrinaggio di comunione e pace in Terrasanta organizzato dalla Diocesi di Bologna ed esteso ad associazioni e movimenti cattolici italiani, accompagnati dal Card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Ad attenderci c’era il Patriarca di Gerusalemme, il Card. Pierbattista Pizzaballa.

Ma soprattutto c’erano due popoli, quello israeliano e quello palestinese.

Non è stato soltanto un pellegrinaggio in visita ai luoghi santi di Gerusalemme e Betlemme, ma soprattutto, come ha detto il Card. Zuppi “un pellegrinaggio (…) che visita le persone e i cuori e che vede in essi i luoghi della Passione di Gesù oggi”.

Abbiamo incontrato Ebrei, Cristiani e Musulmani, Israeliani e Palestinesi. Non abbiamo visto i segni della guerra, come per esempio i bombardamenti. I luoghi dove ci siamo recati erano sicuri, ma abbiamo visto le conseguenze della guerra. Desolazione, povertà, negozi chiusi, luoghi santi deserti.

Abbiamo ascoltato gli Israeliani ancora scioccati di quanto accaduto il 7 ottobre, un sabato, quando 1200 di loro sono stati trascinati fuori dai loro letti per essere uccisi nelle loro case mentre venivano filmati dai terroristi di Hamas.

Abbiamo ascoltato i soprusi che i Palestinesi vivono costantemente, quando i coloni li minacciano con fionde, bastoni e mitragliatrici per indurli a non fare la raccolta delle olive e a perdere l’annata, così da ridurli sul lastrico e impossessarsi dei loro campi.

Abbiamo ascoltato Israeliani attivisti che denunciano loro concittadini fondamentalisti quando sputano su fratelli di altre religioni che vivono le proprie feste.

Abbiamo incontrato esponenti della “Popular struggle” (la “lotta popolare”): una forma di resistenza non violenta attuata dai Palestinesi per difendere le loro terre dagli attacchi dei coloni.

Le parole più forti che sono rimaste nel cuore, però, sono quelle dell’anziano Patriarca emerito di Gerusalemme, Mons. Michel Sabbah, che il nostro gruppo ristretto ha incontrato a Taybeh, dove vive, un villaggio a 10 km da Ramallah identificato con l’evangelica Efraim

Ci ha fornito delle coordinate affidabili con cui leggere il conflitto: “Qui c’è un popolo oppressore, più forte, e un popolo oppresso, più debole“; “Dio ama tutti: Israeliani, Palestinesi, Europei, tutti i popoli del mondo“; “Uccidere viene dagli uomini, non da Dio“; e poi ha concluso con un monito che riguarda anche noi: “Se Israele non sarà aiutato dai suoi amici occidentali a cambiare e convertirsi, ne va della sopravvivenza di Israele, non dei Palestinesi“.

Siamo ripartiti da Nikopolis, un villaggio in passato erroneamente identificato con Emmaus, portando nel cuore l’incontro con il Risorto che abbiamo visto negli occhi e nei cuori anche pieni di paura e incertezza di Israeliani e Palestinesi. Con il compito inderogabile di raccontare quanto abbiamo visto e che, troppo spesso, i mezzi d’informazione tradizionali non ci raccontano in modo completo.

La Terrasanta ha bisogno oggi più che mai di pellegrini. È possibile andarci con buona sicurezza, non da soli. Ma i vescovi possono portare i loro fedeli nei luoghi santi: sarebbe una presenza che aiuterebbe molto anche a temperare il conflitto in essere.

Francesco Pasquali