Il pensiero della settimana – V domenica dopo il Martirio di San Giovanni

La parabola del buon Sa­ma­ritano è spesso ri­dot­ta a un invito generico di Gesù ad avere compassione per chi ha bisogno. Ma l’in­se­gnamento di Gesù è mol­to più profondo: il contesto ed i personaggi non sono ca­­suali.

A Gesù non piacciono i di­scor­si sterili. I suoi di­sce­po­li non devono essere gen­te d’accademia, ma gente che sa amare Dio e il pros­simo, unendo i due co­man­da­men­ti, perché l’uno è pro­va dall’altro.

Purtroppo, non è sempre così: il sacerdote ed il le­vi­ta, le persone più vicine a Dio per il culto, non si fer­mano. Il modello della ca­ri­tà è, invece, un samaritano, ritenuto un impuro per raz­za e per fede. Spesso nel Vangelo si fa notare che chi ha più fede o è più di­spo­nibile al Signore, non ap­par­tiene al popolo eletto, ma è tra i lontani.

Gesù vuole uno stile par­ticolare. Alla domanda chi è il mio prossimo, Gesù non risponde con un elenco di persone da amare, ma ri­cor­da che prossimo è la per­sona che vuole amare: prossimo va inteso non in senso passivo, ma attivo.

Dovremmo ricordare quan­to insegnava il Card. Martini quando metteva in guardia da tre pericoli fa­ci­le nell’amore verso gli altri: la fretta, la paura di essere sempre più coinvolti nel dono di sé, l’alibi e la de­le­ga: ci sono altre cose da fare, non siamo capaci e, quindi, deleghiamo la Caritas…

C’è infine una lettura an­co­ra più profonda della pa­ra­bola. Il vero sa­ma­ri­ta­no è il Signore: ha com­pas­sione; si fa uno di noi per guarirci dal pec­cato, fino a di­ven­ta­re nell’Eucarestia pane spez­­za­to per noi.