S. Messa In Cœna Domini
OMELIA
Giovedì santo
Desio, 28 Marzo 2013
don Giuseppe Corbari
«Andate in città, da un tale, e ditegli:
“Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”» (Mt 26,18)
Attorno a questa mensa, in questa chiesa, durante questa notte, dopo duemila anni di storia ancora una volta un sacerdote celebra lo tua stessa cena, con l’esito di salvezza: la tua presenza reale! Reale è il tuo Corpo, reale è il tuo Sangue, reale è la tua Anima lì contenuta, reale è la tua Divinità presente in quei doni, frutti della terra, della vite e del lavoro umano.
Perché tu sia presente in questo momento, perché tu ci possa salvare con il tuo Corpo e il tuo Sangue hai scelto di servirti degli uomini, nulla fai senza il consenso umano. Questo mi sorprende! Persino la creazione della vita, il concepimento di un bambino, squisita liturgia dell’amore, non può avvenire senza il consenso umano.
Allora ecco: da una parte il sacerdote che rende presente la tua vita, dall’altra gli sposi che rendono presente la vita nei bambini che tu concedi loro di “creare”.
Tu Dio hai scelto di non fare nulla senza il placet umano. Permettimi che, di questo, rimanga sconcertato! Questo mi fa tremare i polsi.
“Andate in città da un tale e ditegli…”
Ecco che hai deciso di avere bisogno anche di quel “tale” affinché ti concedesse la sala del ricevimento per la Pasqua. Perché Gesù hai bisogno di noi? Perché hai scelto di avere bisogno di me prete?
Io mi sento un po’ come quel “tale”, mi hai chiesto di concederti la mia stanza interiore: l’anima! Desidero donarti l’anima! Questa è la mia stanza, qui puoi trovare dimora…
Mi hai chiesto quest’anima, questa vita, mi hai chiesto l’intelletto, il cuore, i sentimenti, l’affetto, il corpo, la fertilità, la vita intera perché tu hai deciso di fare la Pasqua da me, e, perché io possa come prete, offrire la Pasqua domenicale alla tua Chiesa! Come non commuovermi? Come non rimanere meravigliati? Hai proprio bisogno di me? A questo proposito come non ricordare lo stupore del Curato di campagna al cospetto della contessa pacificata: «O meraviglia, che si possa così donare ciò che per se stessi non si possiede, o dolce miracolo delle nostre mani vuote»1. Esattamente con gli stessi sentimenti del “curato di campagna”: meravigliato perché posso donare (per grazia) ciò che in realtà non possiedo. Questo è il miracolo! Nulla puoi attribuire alla mia umanità ma tutto è dono della tua grazia! Se l’Eucaristia dipendesse dalle qualità del prete, per conto mio saresti già spacciato! Avverto tutto lo “scarto” tra ciò che si compie sul palmo della mia mano quando tengo il pane e pronuncio la preghiera di consacrazione e il mio cuore, ancora troppo lontano dalla fede di chi dice “solo Dio basta!”.
Questo scarto è anche la fonte della mia consolazione: nessuna cosa potrà mai separarci da te, neppure un cuore che balbetta poche parole di fede.
Mi consola che Tu abbia scelto Pietro non perché fosse perfetto ma perché lui stesso riconobbe la necessità della tua salvezza, proprio nella sua carne! Pietro è il primo perché è il primo a riconosce la necessità di essere guarito.
Hai deciso di aver bisogno di noi!
Hai deciso di aver bisogno della stanza per la Pasqua, hai deciso di essere sottomesso all’assenso di quel tale, hai deciso di aver avuto bisogno dei nostri piedi da lavare per darci l’esempio! Tu Dio che lavi i miei piedi!!!
Lavi i miei piedi di prete perché senta sempre la necessità di essere purificato dal tuo perdono, dalla tua misericordia. Lavi i piedi di ogni cristiano perché avverta la bellezza e la leggerezza della danza della fede, capace di muovere i passi sul ritmo della tua sequela.
In tutto ciò vi confesso un forte coinvolgimento e anche l’imbarazzo che nasce dal contrasto tra ciò che dirò e farò in questa liturgia e ciò che la mia vita è capace di fare e mostrare nella quotidianità come prete. Vi chiedo di avere pietà ogni volta che noterete questo evidente contrasto!
Ma lui, il Signore, ha deciso di aver bisogno anche di me!
Proprio questa indegnità crea la condizione affinché il “miracolo delle nostre mani vuote” possa compiersi, perché emerga la sua grazia. La “sua” grazia… la SUA grazia!!!
Tutti abbiamo piedi e mani e cuori sporchi! All’inizio di questo Triduo Pasquale, ognuno di noi si renda capace di nuovo del coraggio avuto da Gesù. Il coraggio dell’umiltà. E non era lui a doversi umiliare: tra quei Dodici nessuno si salvava… tutti di lì a poco lo avrebbero abbandonato, rinnegato, tradito.
Ricordate quando Giacomo e Giovanni avevano chiesto al Signore di prendere i primi posti nella gloria? Ebbene, Gesù si toglie le vesti e prende un asciugamano. Giuda ha preso i denari e Gesù si cinge l’asciugamano attorno alla vita. Pietro dirà tre “no”, e Gesù versa l’acqua nel catino e comincia a lavare i piedi. Noi ci riempiamo la bocca di tante parole… Gesù non parla, agisce!!!
Ecco, davanti alla nostra indegnità di partecipare alla sua mensa Gesù ci si fa vicino, perché ci ama, mi ama così come sono. Perché l’amore vero non guarda in faccia; non cerca sorrisi di approvazione, sguardi di compiacimento; non teme occhi pieni di rabbia o lacrime da dovere asciugare; l’amore vero si china ai piedi anche quando sei calunniato, disprezzato e deriso. E quando si lavano i piedi non puoi guardare in faccia la persona che hai davanti. I piedi, anche a differenza delle mani che possono aprirsi e chiudersi, non hanno espressione. Sì, puoi distinguere il piede di un adulto da quello di un bambino, il piede di un uomo o di una donna, il colore della pelle… ma alla fine tutti sono ugualmente bisognosi di essere lavati.
Ne fa esperienza chi accudisce un malato!
Anche Gesù aveva sperimentato cosa significasse avere i piedi lavati… da una peccatrice. Un giorno una donna nella casa di Simone il fariseo era corsa ai suoi piedi, li aveva bagnati con le lacrime, asciugati con i capelli… Una donna, immagine dell’umanità, che esprimeva così tutto l’amore per Gesù.
Ora è Gesù a ricambiare il gesto, non per cercare il perdono, ma per darlo. Ha voluto lavare le impurità, non solo dei piedi degli apostoli, ma di tutta l’umanità … anche le nostre. Ma perché tutto questo? Un gesto così radicale e concreto? Per amore e solo per amore! Un amore sino alla fine! Ma in questo modo amare significa fallire, essere perdenti, essere incompresi! Sì, agli occhi del mondo… Ma agli occhi di Dio no… L’amore vero non è mai un fallimento!
Se l’amore fosse un fallimento, la stessa Eucarestia, sacramento dell’amore, sarebbe un controsenso.
Il problema è che noi non ci crediamo veramente, o almeno che non ci crediamo abbastanza! Perché se credessimo in questo Dio fatto così, subito la vita, noi stessi, le cose, gli avvenimenti, il dolore stesso, la nostra comunità, tutto si trasfigurerebbe davanti ai nostri occhi.
Il mondo ha reso sempre più difficile credere in Dio, nell’amore. Pensate che sono arrivato a credere che persino le parrocchie, per certi versi, non aiutano a credere in Dio! Si mettono davanti le proprie idee, i bisogni, i disaccordi, antiche nostalgie… si è diventati schiavi delle strutture e così si trascura la “grazia” di Dio, che è anzitutto credere in lui, nel Dio di Gesù Cristo!
Ma noi crediamo in Dio? Siamo capaci di pregare?
Gli uomini hanno bisogno di sapere che Dio li ama e nessuno meglio dei discepoli di Cristo è in grado di recare loro questa buona notizia. O noi diventiamo suoi discepoli oppure Gesù non può essere fatto conoscere… Quando Gesù riprende posto a tavola lascia la consegna ai suoi apostoli, ancora stupiti: Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io (Gv 13,15).
Vi dono me stesso nell’Eucaristia, perché anche voi possiate diventare eucaristia per l’altro, anche voi siete chiamati a spezzarvi per il prossimo. Ho bisogno che voi siate eucaristia!!!
«Andate in città, da un tale, e ditegli:
“Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”»
Allora Signore Gesù ti accogliamo nel nostro cuore per esaudire il tuo desiderio di fare la Pasqua da noi! Ma non sarai solo poiché ci saranno anche i tuoi discepoli… chi sarà discepolo farà la Pasqua, quella autentica!
Mi piace concludere con una famosa preghiera al Crocifisso2 di un anonimo fiammingo del XV secolo:
Cristo non ha più mani,
ha soltanto le nostre mani
per fare le sue opere.Cristo non ha più piedi,
ha soltanto i nostri piedi
per andare oggi agli uomini.Cristo non ha più voce,
ha soltanto la nostra voce
per parlare oggi di sé.Cristo non ha più forze,
ha soltanto le nostre forze
per guidare gli uomini a sé.Cristo non ha più Vangeli
che essi leggano ancora.Ma ciò che facciamo in parole e opere
è l’evangelio che si sta scrivendo.
don Giuseppe Corbari
Venerdì santo
Desio, 29 Marzo 2013
Celebrazione della
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo
OMELIA
21 Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. 22 Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio, 23 e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. 24 Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. 25 Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. [Mc 15,21-25]
Gentilissimo Sig. Simone di Cirene, e con lei saluto i suoi figli Alessandro e Rufo,
Non senza un certo imbarazzo mi accingo a scriverle queste righe, infatti io e lei non ci conosciamo e neppure mai veduti, probabilmente a causa dei duemila anni che separano la mia vicenda dalla sua. Se è vero che mai ci siamo incontrati, è altrettanto vero che già mi pare di conoscerla bene. Scusi questa mia invadente supponenza che rasenta l’antipatia, ma alcuni maestri mi hanno insegnato a scoprire la bellezza del suo cuore, non attraverso esami cardiaci o elettromagnetici, bensì con la tecnica dell’esegesi biblica. Si tratta di una particolare procedura che, per la vita che conduco, è particolarmente consigliata e suggerita…
Come senz’altro saprà, il suo nome compare nel libro del Vangelo: un testo che, nella storia, ha sbaragliato ogni classifica commerciale. So certamente che Rufo, il più giovane dei suoi figli andava fiero di quest’illustre citazione. Insistette molto con Marco (l’autore di questa pagina) affinché nella redazione finale comparisse, sebbene in maniera stringata, la descrizione di quel fatto, a tutti noto. Marco, con molta disponibilità, riuscì ad aprire un varco nella stesura del testo ed ecco che tra la riga venti e ventidue del capitolo quindici glossò con arguzia di sintesi quel che a lei capitò.
Alessandro mi pare fosse alquanto indispettito di questa violazione della privacy, era seriamente preoccupato delle conseguenze che avrebbe potuto provocare nel suo posto di lavoro. Sappiamo che egli era conosciuto nell’ambiente romano e che questa improvvisa pubblicità avrebbe inevitabilmente bloccato ogni possibile carriera. Suppongo siano state furenti le liti tra i suoi due figli ma la decisione di Marco bloccò sul nascere ogni successiva disputa: fu dato alle stampe il manoscritto completo come da Stato di famiglia, preciso: nome del padre, nome del figlio maggiore, nome degli altri eventuali figli, mentre la moglie, com’è noto, compariva solo nell’affetto del marito e non certo sui documenti ufficiali romani. Anche oggi è rischioso, altamente rischioso, essere coinvolti nella vicenda del Nazareno, oltre che cambiarti la vita (e… scusi se è poco!), potrebbe inficiare le relazioni sociali avute sinora. Oggi come allora. E’ il rischio affascinante della vita che, da un lato suscita le ragionevoli preoccupazioni di Alessandro, e dall’altro apre nuovi orizzonti di possibilità che riempiono di divino la vita umana.
Dando credito alla mia curiosità le sarei grato se potesse farmi avere notizie più precise circa le conseguenze che Alessandro ha dovuto subire. Purtroppo, di lui si son perse le tracce… anche se, a onor del vero, l’apostolo Paolo (ricorda quel tale di nome Saulo?) cita un certo Alessandro nelle sue lettere3 e, con il cuore in gola, debbo dirle che le notizie giunte ai nostri orecchi di questo suo figlio Alessandro non sono così lusinghiere.
Sostiene, infatti, l’Apostolo delle Genti che Alessandro è stato consegnato a satana a causa delle sue continue bestemmie e delle sue azioni malefiche.
Mio caro Simone, questo Alessandro, di cui parla Paolo, è suo figlio?
So bene che lei non potrà rispondermi ora, ma prima di sapere il responso definitivo nell’aldilà ho interpellato alcuni uomini dotti e studiosi nell’aldiqua, i quali mi hanno consegnato risposte opposte. Appunto! Alcuni sostengono di “sì” e altri “no”, è come vedere i talk show televisivi… dove la “verità” viene continuamente affossata dalla futilità del pensiero debole e ignorante!
Però, oggi, qui, mi sento di prender le difese degli esegeti poiché l’esiguo materiale loro a disposizione non consente un’indagine precisa e accurata su questo mio interrogativo.
A questo punto, caro Simone, nell’impossibilità del dato storico faccio appello alla mia creatività, e senza nulla pretendere, afferro con baldanza la libertà di immaginare che fosse realmente suo figlio!
Affermo ciò, perché lei Simone di Cirene non è migliore di tutti i genitori (mamme e papà) di oggi! Anche lei ha avuto le sue “croci” e quella del Nazareno è stata “semplicemente” la sintesi di quelle che sino ad allora ha dovuto portarsi sulle spalle del suo animo.
Chissà suo figlio, Alessandro il ramaio, quante gliene ha fatte passare… chissà quante disubbidienze e volgarità sentiva svolazzare nella sua bottega… chissà quanta vergogna, quanti imbarazzi, quanti timori, quante ansie e preoccupazioni… (e chi più ne ha più ne metta) gli ha procurato questo suo figlio Alessandro.
Paolo, nella sua missiva a Timoteo, gli confida che Alessandro era amico di Imenèo e, loro due assieme, approfittavano della bontà della povera gente, irridendo la loro fede con le imprecazioni. Immagino lei, padre e marito, quale dolore provava nel suo cuore.
Sa, questo dolore, non è distante da quello che oggi un gran numero di genitori vive nella propria anima a causa dei propri figli.
Le preoccupazioni per le giuste amicizie dei figli (Imenèo insegna), il futuro sempre più incerto, la noia che si esprime con la rabbia e l’imprecazione, il lavoro sempre più insicuro e volubile, i progetti e i sogni ancora troppo soffocati dalla difficoltà dei mutui bancari, la violenza, l’inciviltà, l’oscenità, la pornografia, il vuoto dei modelli televisivi… sono tutti elementi che i nostri figli respirano quotidianamente. E la lotta si fa aspra!
Noi la ricordiamo, caro Simone di Cirene, nella quinta stazione della nostra Via Crucis: è la preghiera devota che ricorda il percorso fatto dal Nazareno fin sul Calvario e poi laggiù nel sepolcro. In questa quinta tappa, però, non esiste solo lei. Lì, in quella scena, ci sono tutti i padri e le madri che portano pesanti croci proprio a causa di tutti gli “alessandri” della storia…
Ma quanto pesava quella croce di Gesù? Eh? Eppure, sono convinto, non fu il peso di quella croce portata solo qualche minuto a curvare le sue spalle, ma fu esattamente il suo sguardo pensieroso rivolto a terra ad incrinare le sue vertebre cervicali riflettendo quotidianamente sulla sua vocazione di genitore.
Ora, però, svoltiamo pagina, e incontriamo l’altro suo figlio: Rufo.
A sostegno della nostra tesi sin qui percorsa, l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani, ad un certo punto si esprime così: “Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia”4. Ecco, dunque, che Paolo cita Rufo chiamandolo “eletto nel Signore”.
Rufo gode la stima della comunità, a differenza di Alessandro che invece è stato biasimato (come abbiamo detto prima) a causa del suo comportamento. Nonostante ciò, sarebbe troppo facile e superficiale apostrofare l’uno come il figlio cattivo e l’altro come il buono. Sarebbe un giudizio assai pericoloso e assolutamente inutile e fuorviante.
Certamente Rufo vive le stesse difficoltà del fratello, infatti vengono nominati insieme perché stavano insieme, e stavano con lei: il padre. Insieme tornavate dal lavoro dei campi. Insieme avete sudato sotto il sole di quel maledetto Venerdì, insieme avete condiviso la scena raccapricciante del Golgota, insieme avete incrociato gli occhi del Salvatore.
La croce però l’ha portata lei, padre. I figli stavano a guardare!
Perché Rufo non ha avuto il guizzo di offrirgli la sua spalla? Capisco Alessandro… ma Rufo! Eppure solo lei poteva portare quella croce! Davanti a tre uomini, uno vecchio e due giovani, i romani hanno scelto l’anziano!
Ma quella scena mai se la scorderanno i suoi figli. Hanno visto! I loro occhi l’hanno vista portare la croce! Tutte le belle parole… gli insegnamenti… i discorsi… che lei ha rivolto negli anni ai suoi figli, ora vengono confermati dal suo bell’esempio!. Qui ci si gioca tutto!
Bravo, Simone!
Rufo vivrà affianco di Paolo, intriso pure lui della passione del Vangelo, sua moglie e madre di Rufo si prenderà cura dello stesso Paolo così come lui ricorda nella sua lettera.
Il destino di Alessandro, dopo aver avuto quello scontro con Paolo, pare essere stato di “conversione”. Alcuni studiosi ritengono che “il gesto del padre di aiutare Gesù, non li aveva lasciati indifferenti e avevano aderito alla nuova religione diventandone membri noti” 5.
Il suo gesto, Simone, non nasce dal “caso” (anche se apparentemente dal racconto pare così), bensì ha origine dalla predisposizione a servire, nasce dall’umiltà, dall’istinto paterno di dare l’esempio… per poi attendere, nella pace di Dio, lo sbocciare del fiore.
Oggi, noi, in questa chiesa, contempliamo quella croce intrisa anche del suo sudore ma soprattutto impregnata del sangue di Gesù, salvezza del mondo.
Oggi tanti genitori, tanti papà e tante mamme guarderanno questa croce con occhi meravigliati di un amore così grande ma anche preoccupati per il futuro dei loro figli, di qualsiasi età, perché un figlio non ha età!
Oh tu, uomo della croce, ascolta la preghiera di ogni genitore ed esaudiscila secondo il tuo cuore!
Dal canto nostro noi, con gli stessi occhi di Alessandro e Rufo guardiamo la croce che squarcia la nostra coscienza e ci fa vedere l’Alessandro e il Rufo che c’è dentro di noi.
Noi siamo i “bestemmiatori” ogni volta che ci allontaniamo da Te, Signore Gesù, siamo in balia di satana a causa dei nostri peccati di orgoglio, di supponenza, di invidia… ma siamo anche gli “eletti nel Signore” perché ti vogliamo bene, Gesù. E tu lo sai!
In questo Venerdì santo preghiamo e preghiamo tanto, perché, come Simone di Cirene, non parliamo più con la retorica delle parole ma, ancora una volta, con la forza dirompente dell’esempio!
Amen.
don Giuseppe Corbari
Sabato santo
Desio, 30 Marzo 2013
S. Messa nella Veglia di Risurrezione
OMELIA
Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. … «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto» (Mt 28,3ss)
Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Già “rotolò la pietra…”: benedetto angelo!!!
Abbiamo un bisogno estremo di qualcuno che rotoli via la pietra… siccome noi uomini non siamo capaci, tu, o Dio, fai intervenire gli angeli… ne abbiamo bisogno!
Togli la pietra dal nostro sepolcro interiore, per assaporare e gustare la notizia della Pasqua: “Cristo, Signore, è Risorto!”
Ma come riesco a vedere viva questa notizia?
L’annuncio di resurrezione non posso non vederlo in chi ha una passione sincera a cercare veramente, nella sua vita, i segni dello Spirito, i germi di Vangelo dentro il vissuto, spesso anche incoerente, drammatico, scomposto, della nostra epoca storica, sia sociale, sia ecclesiale, sia personale.
Vedo i segni di risurrezione nel giovane Andrea che vuole riprendere in mano il suo cammino di fede dopo un periodo di abbandono e che mi dice “non sto bene lontano dal Signore, voglio riprendere la mia fede laddove l’ho lasciata, aiutami tu!”.
Vedo la pietra rotolata in Carlo e Luca, due piccoli ragazzi strappati via dalla vita ma già giganti della fede.
Vedo Gesù in chi è assetato di calore e che non si rassegna a qualificare inesorabilmente come deserto arido il campo che quotidianamente attraversa e allora scommette sul futuro regalando una famiglia a quel bambino che non l’ha più!
Vedo in alcuni bambini il desiderio forte di svolgere il servizio dei chierichetti e quindi con tenacia chiedono di salire sull’altare per essere più vicini a Gesù.
Vedo la pietra spostata dalle mani dei tuoi angeli ogni volta che entro nella casa di nonna Bice e mi accoglie con un sorriso dal suo capezzale quando avrebbe mille motivi per elencare i suoi dolori, tuttavia mi parla come se nulla fosse…
Vedo i segni in chi pronuncia la preghiera “sia fatta la tua volontà” quando è difficile dirla ed accettarla… sapendo che lì si gioca la verità di anni di sequela!
Non posso non vedere i segni di resurrezione in quei genitori che mi dicono che stanno riscoprendo la bellezza della fede proprio dai loro bambini che frequentano il catechismo.
Vedo la bellezza di uomini e donne che nella chiesa consacrano la loro vita nell’obbedienza, nella povertà, nella castità per il Regno e sono felici!
Vedo i segni del Risorto quando due giovani decidono di sposarsi e giustamente affrontano le nozze con un sentimento incomparabile di trionfo, senza essersi concessi scappatoie o sotterfugi.
Rimango ammirato da tutto il volontariato che uomini e donne, giovani e ragazzi svolgono per il bene del prossimo, dentro la chiesa e nella società.
E allora come non commuoversi davanti a coloro che vanno in giro a cercare dove hanno posto il corpo di Gesù perché hanno visto che non è più nel sepolcro? Ma dove lo avranno posto il corpo di Gesù? Dov’è il Risorto? Gente che in fondo è quotidianamente in ricerca per capire dov’è il Vivente, il Risorto. E allora trovi tutte le risposte più inattese: basta un povero per capire dov’è il corpo di Gesù, basta una drammatica situazione di peccato e di morte per riconoscere che lì hanno posto il corpo del Signore e così fare un’esperienza viva del Risorto.
Quando ti accorgi che inaspettatamente rinasce la speranza in Giovanna laddove credevi che tutte le porte sarebbero state chiuse… lì hanno posto il corpo del Signore.
Quando vedi fiorire la fraternità e la comunione e l’interiore magnanimità che rende sempre capaci di perdono, lì ti accorgi che hanno nascosto il corpo di Gesù! Quando comprendi che una persona avrebbe avuto l’occasione per tradire ma non l’ha fatto per rispetto della promessa fatta: lì c’è il sigillo del Signore! Quando uno si sente accolto e amato per quello che è, senza che subdolamente lo si voglia diverso, lì c’è il Risorto che non ti giudica!
E allora vedo i segni di resurrezione ogni volta che incontro persone che si appassionano della storia degli uomini, che non fanno i sostenuti a fronte delle fragilità e delle fatiche, ma diventano uomini e donne compassionevoli, carichi di una umanità bella, vibrante, solidale. E’ gente che ha capito dove è stato posto il corpo di Gesù.
Vedo il Risorto in quelle famiglie che vivono una situazione di “fatica” a motivo di un famigliare con qualche disabilità e che sono sempre contenti dell’affetto che ricevono piuttosto che vedere il limite che subiscono!
E a te, fratello e sorella, che in questa santa notte hai voluto celebrare la Pasqua in questa chiesa (e che per questo hai la mia stima e il mio ringraziamento) ma che fai fatica a celebrarla tutte le domeniche dico: abbi il coraggio di togliere la pietra dal tuo cuore e vedere in faccia Gesù nella fedeltà dell’Eucaristia domenicale… se vuoi conoscere la verità della tua vita abbi il coraggio di andare a Messa tutte le domeniche perché è lì che il Signore risorge dentro di te e ti chiede “fate questo in memoria di me”! Non puoi essere felice senza la Messa!
E allora mettiamoci tutti in ricerca con la pace nel cuore senza subire l’insidia dell’affanno. Siamo consapevoli che c’è un sepolcro vuoto e che quindi la partita non la si gioca tutta qua, che questo è solo l’inizio ma c’è un oltre, un compimento, una pienezza.
E così uno impara ad amare anche la povertà dei propri giorni, la fragilità dei propri passi, non si inquieta perché non riesce a realizzare tutto… e che ha bisogno di affidarsi quotidianamente al Signore: questa è la Pasqua che germoglia dentro, qui c’è il corpo di Gesù!
E allora permettetemi una sorta di confessio fidei a conclusione di questo Triduo sacro.
Rendo grazie perché vedo a chi ho consegnato e legato la mia vita: è Gesù il vivente oggi, il Risorto che costituisce l’evento della mia vita. Mi commuove sapere che sono nelle mani del Signore risorto e che lì trovo coloro che non sono più tra noi, amici, conoscenti, parenti, parrocchiani… E questa appartenenza avverto che dilata il mio cuore, mi educa ogni giorno a pregare con l’orizzonte del mondo e della storia e insieme con i tratti della familiarità e della casa.
E allora la fede rende ragione della corsa al sepolcro e della corsa in città. Se il correre è per Lui io ci sto a correre tutta la vita, se la ragione è la Pasqua. Questa fede mi consente di sedare l’affanno che può sempre insorgere nella vita, perché avverto che in questo ambito la ricerca è infinita. Sto in pace perché il Signore non è soltanto in un luogo, il suo corpo è stato messo in tanti luoghi, in tanti volti, in tanti drammi, in tante storie, in tante speranze. E allora vivo la gioia dello stupore di ogni giorno e non vorrei più inquietarmi se non riesco a fare tutte le esperienze che sogno. Mi bastano gli incontri di ogni giorno che mi consentono di riconoscere dove il Signore è!
Ma non potrei conoscere la Pasqua di Gesù senza la parola della fede di uomini, di donne, destati dalla voce di coloro che tornano dal sepolcro. Ho bisogno della vostra fede, cari amici, da cui apprendo la notizia della Pasqua; non potrei conoscerla fino in fondo questa notizia se non ci sono fratelli e sorelle che me la dicono… questa è la confessio fidei!
Grazie Gesù perché i tuoi angeli hanno rotolato via la pietra dal sepolcro!
Amen.
3 1Tm 1,14 : “tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare”. 2Tm 4,14 : “Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere”.