24 marzo, giornata dei Martiri
“È doloroso ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata. Sono tanti: i martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa.”
Papa Francesco, udienza generale del 29 aprile 2020
Il termine martire vuole dire Testimone. Tertulliano diceva: “Il martirio dei cristiani è il seme dei nuovi cristiani”. Il martirio è una grazia, un segno della libertà suprema come afferma Oscar Romero: “Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà.”
Non esisterà un momento in cui la Chiesa vivrà senza il martirio. Se non c’è il martirio la Chiesa si deve interrogare sulla sua dimensione profetica. Ricorda papa Francesco: “Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù” (11 dicembre 2019).
Il cristiano si schiera dalla parte dei poveri e degli ultimi rinnegando, perciò, tutto ciò che è contrario al vangelo: ogni forma di povertà, di miseria, di esclusione, di disuguaglianza sociale, di discriminazione o di emarginazione che disumanizza l’Uomo. Quando la persona umana è calpestata nella sua dignità, quale posizione prendo: mi impegno oppure taccio (sono indifferente)?
Schierarsi dalla parte degli ultimi implica la possibilità di pagare con la propria vita: nella famiglia, sul luogo di lavoro, sulla metro/treno, nelle università. Tutti siamo esposti al martirio se prendiamo sul serio il nostro essere discepoli di Cristo. Possiamo misurare il nostro essere discepoli di Cristo leggendo con serietà Fratelli Tutti che ci invita a vedere le ombre di un mondo chiuso, quindi imitare il buon samaritano (Lc 10) che apre gli occhi su ogni fratello abbandonato lungo la strada per creare un mondo aperto e per coniugare il valore dell’identità locale con il valore dell’umanità universale nell’ambito politico, sociale ed ecclesiale. Questa amicizia sociale/universale implica l’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro tra credenti di diverse religioni e culture.
Per concludere, sono fermamente convinto che donne, uomini laici e religiosi subiscono umiliazioni e persecuzione perché hanno trovato l’autore del senso della loro vita: Cristo che si riflette nei piccoli e affermano senza vergogna come diceva Nelson Mandela: “Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. È un ideale che spero di vedere realizzato, se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire perché chi non ha un ideale per morire non ne avrà uno per vivere”.
Un essere umano, quando muore, muore due volte. La prima volta quando è morto fisicamente. E la seconda quando è dimenticato; ricordare il nome degli uccisi, dar loro un ricordo più a lungo, non solo della loro breve vita, ma anche della lunga vita che avrebbero avuto il diritto di vivere. Ricordare è fare vivere con noi anche coloro che abbiamo perduto.
Il coraggio delle idee
Suor Lucia Pulici, Suor Maria Laura Mainetti e Don Roberto Malgesini:
tre emblematiche figure per rappresentare quello che la giornata dei martiri missionari ci mostra, ovvero una testimonianza di vita con le opere, senza timore
Dare la vita per un ideale: il 24 marzo di ogni anno è indissolubilmente legato a quello del 24 marzo 1980 quando Monsignor Oscar A. Romero, Vescovo di San Salvador (centro America) venne ucciso mentre celebrava la Messa. Dal 1993 si ricorda l’evento nella giornata dei martiri missionari e per la Chiesa italiana, questo evento, si trasforma in un momento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi in varie parti del mondo. Cosa che vogliamo fare anche noi, ricordando tre figure che ci hanno accompagnato ed interrogato: suor Lucia Pulici e suor Maria Laura Mainetti, due nomi vicini alla realtà della nostra comunità pastorale ed un altro legato ad un accadimento temporalmente recente: don Roberto Malgesini, definito “Un martire della carità”. Tutte sono storie che mostrano grande fede e coraggio.
7 anni fa, nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2014 la nativa desiana del 1939 Lucia Pulici, insieme ad altre due Suore Saveriane missionarie in Burundi, Bernardetta Boggian e Olga Raschietti, vennero assassinate a Kamenge, nella periferia di Bujumbura, la capitale. Oggi il luogo è diventato la casa di Suor Lucia Pulici per la preghiera. Queste donne avevano deciso di restare in una situazione non facile, di guerra civile, sapendo i rischi che correvano, per essere segno dell’amore di Dio per il suo popolo e della sua umanità. I missionari non scappano, ma rimangono, anche quando politici e diplomatici lasciano il campo.
21 anni fa, invece, l’instancabile Suor Maria Laura Mainetti nata nel 1939, della congregazione delle Figlie della Croce, che per tanti anni sono state presenti a San Giorgio, è stata assassinata da tre ragazze durante un rito satanico nel 2000. Vi è stata adescata con una trappola: voleva dare una mano ad una ragazza in difficoltà. Le consorelle l’hanno ricordata come una persona che amava tutti, ma i suoi «prediletti» erano gli ultimi, in loro vedeva il Cristo sofferente. Il processo di beatificazione si è aperto nel 2008 e chiuso nel 2020.
Più recenti sono i fatti riguardanti don Roberto Malgesini, nato a Morbegno nel 1969, noto per l’impegno nei confronti dei senzatetto a Como.
«Acqua cheta, pozzo profondo. Ti ricordo con un proverbio, caro “Gesini” (il soprannome che ti avevano affibbiato in seminario) – ha ricordato don Angelo Riva sul Il Settimanale di Como – “Acqua cheta” perché non amavi fare chiasso: preferivi il mormorio di un vento leggero, soave. Sembrava a volte che tu chiedessi scusa per il solo fatto di esserci. La voce la tenevi sempre bassa, quasi un sussurro. Frequentemente abbassavi gli occhi a terra, come fossi un intruso. Il sorriso non ti lasciava mai, ma era mite, appena pronunciato, il contrario di una risata grassa e sguaiata. Come se ci chiedessi il permesso di sorridere. Litigare con te era praticamente impossibile, neanche a mettercela tutta. Eri un pozzo di bontà. E questo rende ancor più lunare la tua morte violenta. Sono convinto che neanche lì avrai alzato il tono della voce. Anche lì con un sorriso tenue sarai andato incontro al fendente mortale».
Poche parole, ma che aiutano a cogliere chi era don Roberto, come ha ricordato Marco Gherbi, prossimo al diaconato permanente, che lo conosceva: «La sua passione erano gli ultimi, ma non gli ultimi come siamo abituati a pensarli, quelli con il problema del lavoro, della casa, del cibo, delle fatiche di vivere, che aiuti a rialzarsi. No: proprio gli ultimi tra gli ultimi, quelli che già sono caduti più volte e hanno perso la speranza – ha raccontato – Se n’è andato lo scorso settembre, prima di poter compiere un’ultima volta quel suo servizio ai fratelli. Ha lasciato un grande vuoto nel cuore di tanti che gli erano accanto e tutti noi sicuramente sentiamo di aver perso un amico. Resta la sua voce profetica, fatta di tanti silenzi e di molti gesti di tenerezza, su cui meditare e pregare».
Queste vite sante non devono solo lasciarci a bocca aperta, ma devono essere esempio, per vedere come è possibile vivere una fede autentica, fatta di coerenza e pace con il proprio io.
Eleonora Murero
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