Di per sé è una mancanza veniale, ma lascia trasparire un che di superficiale, disattento, irrisolto. Nulla di eticamente riprovevole – sia chiaro –, ma capita talvolta che nel momento della distribuzione della comunione, mentre il sacerdote o il ministro presentano l’Eucaristia al fedele che la riceve dicendo le parole di rito – “Il Corpo di Cristo” –, come risposta ricevano un sorridente ed educato “Grazie!”, al posto del più corretto e intenso “Amen”.
Dal lato del fedele si pensa probabilmente che sia corretto ringraziare (chi, però: Dio? il prete?) per ciò che si prende, segno di squisita educazione.
I più dotti potrebbero addirittura argomentare che la traduzione della parola greca “eucaristia” significa proprio “ringraziamento”.
Qui però non si tratta di educazione o di esegesi, ma di coscienza del dono che viene elargito. Il catechismo antico su questo punto mi pare l’avesse indovinata quando metteva tra le condizioni per ricevere degnamente il Corpo del Signore “sapere e pensare cosa si sta per ricevere”. Comprendere cioè che in gioco c’è non un gesto magico o l’adesione sociale a un rito collettivo, ma il rapporto stesso con Gesù Cristo, la memoria viva della sua morte e risurrezione.
Quell’“Amen” significa: ho pensato, mi rendo conto, accolgo il Signore nella mia vita, mi intrattengo con lui nel silenzio della preghiera, mi lascio trasformare da questa sua presenza.
La buona educazione è sempre un valore essenziale, ma al cristiano è richiesto sempre qualcosa di più: la fede che cambia la vita, a partire da quel pane divenuto Corpo di Cristo.
don Gianni
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.