Fu Papa Pio XI, il pontefice desiano, a introdurre nella Chiesa la solennità di Cristo Re. Destinando così l’ultima domenica dell’anno liturgico a fare sintesi dell’intero percorso: dopo aver meditato l’attesa, la nascita, la morte e risurrezione del Messia e la sua opera presente nella Chiesa, si giunge al compimento: Gesù Cristo è il centro della creazione, della vita dell’uomo, della storia. Si può chiamarlo “re” o usare altri termini equivalenti.
Il riferimento alla figura del re indica anche l’esercizio di un potere. Gesù rifiutò i poteri del mondo reagendo alla tentazione del diavolo, ma non si sottrasse a una forma di potere buono sui suoi discepoli, invitandoli ad ascoltarlo e a seguirlo.
Anche nella Chiesa, chiamata ad agire con il medesimo stile di Gesù e non altro, il potere può essere esercitato bene, a favore del popolo di Dio, o male, esaltando ruoli di singoli o gruppi.
Oggi il tema del potere – cioè del “chi fa cosa” nella Chiesa – si intreccia con la risposta che ciascuno può dare alla propria vocazione, che è sempre accoglienza della fede e servizio al prossimo. I preti e i consacrati non possono non guardare con lungimiranza alle comunità e prepararle a un tempo in cui le loro presenze saranno limitate. I laici non possono pensare che le comunità andranno avanti senza che qualcuno di loro si prepari responsabilmente – con spirito di servizio e non di occupazione di ruoli – a promuovere la preghiera, l’annuncio, la carità. Questione di potere? In un serto senso sì, ma secondo il Vangelo e sull’esempio di Gesù.
don Gianni
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