don Luigi Giussani

don Luigi Giussani: 1922 – 2022 Centenario della nascita

Luigi Giovanni Giussani nasce il 15 ottobre 1922 a Desio, e lo vogliamo ricordare con la testimonianza di don Giorgio Lavezzari

«E tu chi sei? Come mai sei qui? Chi sono i tuoi amici?» Sono le prime parole che mi sono sentito rivolgere da don Giussani un pomeriggio di alcuni anni fa (forse più di trenta, anzi quasi quaranta ormai) durante la pausa di uno degli incontri che lui teneva regolarmente al Pime per i preti ed i seminaristi che partecipavano al Movimento di Comunione e Liberazione. Queste domande non erano poste a caso: sicuramente riecheggiavano il suo tratto ed il suo modo di porsi profondamente brianzolo (“Chi l’è ul to pà? Dùve te sté de cà?”: erano le domande che una volta si rivolgevano a uno per sapere chi era) ma in lui erano anche l’eco di una domanda molto più profonda e costante nella sua vita: “Maestro, dove abiti?”. Anche l’incontro casuale in un corridoio del Pime con un insignificante seminarista per lui nascondeva i tratti di una trama misteriosa – ma reale – intessuta dalla presenza di Cristo nella storia; trama che lui desiderava conoscere, vedere e valorizzare il più possibile. Per cui ti rivolgeva queste domande fissandoti con il suo sguardo limpido e penetrante per poter letteralmente intravvedere le tracce di questo Mistero e, contemporaneamente, accogliere te nella sua vita. Sguardo che nel tempo e nel susseguirsi degli incontri non fletteva né scemava, tanto che più volte sono rimasto stupito dal fatto che don Giussani mi avesse presente e si ricordasse di me molto più di quanto mi sarei potuto aspettare.

Ero stato spinto a partecipare a questi incontri dall’invito di alcuni amici preti che avevo incontrato negli anni del liceo ed in parrocchia, ma anche da una frase di un mio (pro)zio, missionario del Pime, padre Franco Vernocchi, che alla sua veneranda età non se ne perdeva uno: “Quando partecipo agli incontri che don Giussani tiene con i preti o con gli universitari ritrovo gli ideali della mia giovinezza. Peccato che ho già ottant’anni …” mi disse un giorno. Mio zio, amico personale di Clemente Vismara, suor Lucia di Fatima e Pio XII, padre spirituale e rettore del seminario del Pime, che aveva vissuto in prima persona gli anni ‘20, in cui gli iscritti dell’Azione Cattolica manifestavano contro il regime fascista ed erano portati in questura per essere picchiati, ritrovava in Giussani lo stesso impeto e la stessa carica ideale in cui la sua vocazione aveva mosso i primi passi.

Più volte ho avuto modo di incontrare don Giussani negli anni successivi, da solo o in compagnia di alcuni amici. Ricordo in particolare gli incontri con Giussani – sempre impegnatissimo ma che non rinunciava a questi appuntamenti – che si svolgevano in genere il lunedì di Pasquetta a casa sua, in via Martinengo a Milano. Ci riceveva nel suo studio, una stanza letteralmente ricoperta dai libri perché gli scaffali andavano dal pavimento al soffitto e ricoprivano tutte le pareti: “leggere un libro è come andare in missione” ci diceva, evidentemente consapevole del nostro stupore. Immedesimarsi nello sguardo degli altri, capire, vagliare ogni accento umano: le sue letture -sterminate- lungi dal rimanere pura attività accademica o intellettuale diventavano occasione di apertura a tutto il mondo ed alle più disparate esperienze: da quelle degli studenti che incontrava a lezione ai monaci buddhisti del Monte Koya in Giappone.

I nostri incontri dovevano durare – secondo il mitico Martinelli che faceva da segretario – non più di un ora. Ma egli ce lo comunicava, prima che entrassimo dal Gius, già rassegnato al fatto che l’orario non sarebbe stato rispettato e sarebbe diventato un’ora e mezza ed anche più, includendo magari anche il momento del tè, in cui al nostro incontro si aggiungeva sempre padre Romano Scalfi che Giussani chiamava scherzando “il mio superiore”, perchè abitava nel piano sopra della villetta in cui abitava lui.

Si parlava di tutto con don Giussani: gli argomenti spaziavano dalle nostre domande personali ai fatti ecclesiali o civili di quel momento; ma Giussani teneva moltissimo a raccontarci anche di sé, e soprattutto a comunicarci quelli che erano stati i punti di riferimento della sua esperienza umana e sacerdotale. Mi sono rimasti profondamente impressi molti suoi suggerimenti, oltre a tante indicazioni personali: quello di essere innanzi tutto uomini prima che preti, per evitare che l’essere prete diventi semplicemente un ruolo da ricoprire come funzionario o da recitare come attore. L’invito ad immedesimarsi nella preghiera del breviario, che lui considerava la vera sorgente della propria spiritualità; e quello a celebrare la messa “obbedendo al messale fino alla virgola”, cosa che per lui costituiva la più alta espressione di obbedienza a Cristo ed alla Chiesa. Ma su tutti questi richiami se ne stagliava uno. Il modo e l’insistenza con cui me lo ha ripetuto nel tempo e nei vari incontri mi ha fatto capire l’urgenza e l’importanza che lui attribuiva a questa cosa: “domanda sempre alla Madonna la grazia di poter conoscere ed amare Cristo, suo figlio. Di poterlo conoscere ed amare davvero”. Penso che se si volesse riassumere e concentrare la vita e la personalità di don Giussani in un tratto solo, in una pennellata, essa sarebbe indubbiamente questa.

Sono rimasto molto legato a don Giussani; anche oggi vado spesso a trovarlo al Monumentale dove sulla sua tomba spicca quella frase che lui stesso ha voluto fosse posta a perenne richiamo per tutti: “O Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza”.

Gli racconto quello che mi accade o gli faccio le mie domande, esattamente come facevo un tempo: e devo dire che non ho mai avuto l’impressione di parlare a vuoto o di non essere ascoltato o fattivamente aiutato. Esattamente come un tempo.