Prima comunicazione, pomeriggio di lunedì scorso: «La situazione di ora in ora è sempre più drammatica. Si attendono nuove scosse forti. Cattedrale Iskenderun crollata. Edifici episcopio e accoglienza devastati. Vescovo e collaboratori tutti vivi. Ma migliaia di morti nelle città della zona. Ospedali crollati o inagibili. Manca elettricità e quindi pochi collegamenti telefonici o via Internet. Grazie per la vostra preghiera e aiuto» scrive il vescovo dell’Anatolia, con sede a Iskenderun, mons. Paolo Bizzeti.
A una sessantina di chilometri dalla città c’è Antiochia, dove Pietro ha sostato sulla via di Roma, dove Paolo ha iniziato la sua vita apostolica, dove anche Maria e Giovanni hanno vissuto per qualche tempo.
Qui per la prima volta si coniò il termine “cristiani”.
A un centinaio di chilometri a est c’è Aleppo, città martire della guerra in Siria, sede tutt’oggi di una vivace comunità cattolica.
Il terremoto mette le dita nelle piaghe più vive del nostro tempo: guerre senza fine, profughi in enormi quantità, poveri che pagano le politiche criminali di pochi potenti privi di scrupoli; la prevenzione sprecata con la guerra (quante risorse bruciate in Ucraina) invece che con lungimiranti progetti di salute, educazione, urbanizzazione. E anche le memorie cristiane distrutte: perché essere cristiani non esime dall’essere umani, con i rischi e le sofferenze conseguenti. «Grazie per la vostra preghiera e aiuto» dice il Vescovo. Diamoci da fare in entrambe le direzioni.
don Gianni