4 novembre 2023
C’è un fortissimo legame tra il senso dell’umiltà e la nostra diocesi ambrosiana: “Humilitas” era il motto del Cardinale ambrosiano Carlo Borromeo, che la Chiesa celebra il 4 novembre e che dell’umiltà ha fatto il suo motto e lo stile di vita del suo operato come vescovo e guida spirituale della diocesi milanese.
“Le anime si conquistano in ginocchio”, cosi egli ripeteva ai suoi pastori incitandoli a credere nella forza della preghiera e del digiuno per trasformare la loro vita in cammino di santità…
“San Carlo, desiderava Pastori che fossero servi di Dio e padri per la gente, soprattutto per i poveri” (Papa Francesco).
Chi si trova a passare da Arona sulle rive del lago Maggiore, vede subito la statua che rappresenta il “vescovo ragazzino” (così venne chiamato San Carlo Borromeo, colui che diverrà però un gigante della fede).
La particolarità del monumento sta nella la possibilità di visitarne l’interno, fino ad arrivare alla sommità, e da qui guardare il mondo sottostante attraverso due feritoie poste proprio sugli occhi. Così si può cogliere l’insegnamento che questo Santo ha lasciato: guardare il mondo attraverso gli occhi della carità e dell’umiltà, che fu il suo motto episcopale: “Humilitas”.
Essendo il secondogenito della nobile famiglia Borromeo, già a 12 anni riceve il titolo onorifico di “Commendatario” di un’abbazia e la relativa rendita, ma si distingue subito nel donare tutti i suoi averi ai poveri. A 21 anni diventa dottore in diritto civile e canonico all’Università di Pavia. Dovrebbe secondo la famiglia e lo zio Papa Pio IV, sposare la moglie del fratello maggiore morto improvvisamente, per gestire i tanti interessi della famiglia ma lui si oppone, vuole diventare prete! A 25 anni, Pio IV lo ordina prete e subito dopo vescovo di Milano ma senza obbligo di governare la diocesi. Partecipa al concilio di Trento e alla stesura della “Controriforma” e si convince così che il suo vero posto deve essere a Milano. Lo attendono 750 parrocchie, spesso abbandonate, centinaia di conventi (che durante il suo ministero a Milano visiterà pastoralmente per tre volte) 5000 tra preti e frati e 3400 suore. Un clero spesso ignorante e anche scostumato.
Il suo primo provvedimento: da vescovo rinuncia a 12 abbazie, feudi, benefici e pensioni destinando tutto alla pubblica utilità, ospedali, collegi, scuole, rifugi e mense sempre aperte per i poveri. Tra il 1576 e il 1577, durante il suo episcopato, nel territorio di Milano dilaga una terribile pestilenza e lui non si risparmia: visita, conforta e spende tutti i suoi beni per aiutare gli ammalati, tanto che il periodo storico verrà ricordato come la “peste di San Carlo”.
Quando la sacra Sindone verrà portata a Torino dalla Francia, dai duchi di Savoia da lui sollecitati, vi si reca in pellegrinaggio a piedi, camminando per quattro giorni, in digiuno e preghiera.
Ma, il fisico provato dalle tante fatiche, comincia a cedere, ed il 3 novembre 1584, muore a Milano a 46 anni e 21 giorni. Sul letto di morte, a chi gli diceva che avrebbe dovuto risparmiarsi, risponde sereno: «la candela per dare luce deve consumarsi».
“L’esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le loro stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l’unica vera causa di tristezza e di infelicità per l’uomo è vivere lontano da Lui”.
(Benedetto XVI)
Fabrizio Zo
Umiltà
Prendendo spunto dalla parola Umiltà proponiamo alcune riflessioni tratte dall’omelia di un presbitero e teologo residente a Desio
Nel calendario liturgico della chiesa cattolica, a luglio, ricorre la festività di San Benedetto, patrono d’Europa e fondatore del monachesimo. San Benedetto da Norcia, fratello di Santa Scolastica, nacque verso il 480 d.C., da un’agiata famiglia romana. La sua nota “Regula” è la base a cui, dal VI secolo, si ispirano tutti i monasteri del mondo occidentale.
È convinzione comune che il filo conduttore di questa regola debba essere il senso della preghiera e l’obbedienza (a Dio, ai dogmi della fede, all’abate, ai confratelli). In realtà la chiave di lettura di tutta la Regula è l’umiltà, intesa nel senso letterale del termine: umiltà viene da humus cioè terra. Umile è colui che costantemente ha “i piedi per terra”, conoscendo sia i propri limiti, sia i propri pregi, sapendo valorizzare le proprie risorse per ciò che valgono, soprattutto al servizio della comunità. La sintesi estrema è nel motto: “ora et labora”.
Non è un discorso banale: oggi come oggi moltissime persone (oltre il 90%) vivono fuori dall’umiltà. Alcuni vivono paurosamente “sotto le righe”, senza alcuna fiducia nelle proprie capacità, convinti di non essere capaci, persuasi che gli altri fanno meglio, che hanno tutte le fortune, certi che la sorte non sorride mai a loro, ecc… Viceversa, qualcun altro vive clamorosamente al di “sopra delle righe”, nella convinzione di essere molto più di ciò che in realtà sia, autoconvincendosi di essere più importante, impegnato a far pesare una sua (presunta) superiorità, dando per scontato che a lui gli altri “devono” a prescindere… In un modo o nell’altro costoro sono persone poco felici, che vivono in un loro mondo (parallelo), percepito come vero o presunto tale, in realtà distorto e fuori della realtà, e queste convinzioni li portano in un perenne stato di frustrazione e sofferenza.
Riscoprire il senso dell’umiltà, apprezzare le poche o tante cose che si è capaci di fare, sapersi allineare alla concretezza della vita quotidiana, imparare a confrontarsi senza necessariamente competere e prevaricare ecc. Queste sono criteri che si potrebbero identificare come “regole di vita”, basi per una serenità che troppo spesso oggi manca.
Apprezzare il senso dell’umiltà significa anche la scoperta dell’altro e dei suoi valori, la reciprocità e la condivisione come fece San Carlo Borromeo di cui, qui a lato, presentiamo una breve biografia.
Guido Feltrin
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