Nel VI capitolo della sua proposta pastorale per l’anno 2023/24, il nostro Arcivescovo affronta il tema della guerra e della pace. Temi fin troppo attuali ai nostri giorni, in cui all’ombra dei conflitti del passato si affianca lo spettro delle guerre ancora in atto. È fin troppo facile ricordare le guerre in corso tra Russia e Ucraina, tra Israele e Palestina. È forse più complicato parlare delle tante guerre meno “importanti”… che
poi, è difficile fare una scala di importanza: la guerra piccola o grande che sia, quella che fa spettacolo o quella nascosta, quella drammaticamente raccontata in televisione o quella sconosciuta, porta sempre lo
stesso risultato: la morte.
Ma allora perché la guerra?
Che cosa si risolve con la guerra?
Chi è che vince e chi è che perde?
Il nostro Arcivescovo si pone questa domanda e cerca di dare una risposta. La guerra è semplicemente il tentativo di far prevalere degli interessi personali, è la vittoria dell’invidia, delle gelosie e delle incomprensioni. La guerra cerca di risolvere differenze tra un popolo e l’altro, tra una nazione e l’altra. La pace, invece, cerca nell’altro la differenza che può produrre ricchezza per tutti. La guerra è la corsa egoistica al prevalere sull’altro. La pace è l’interesse per le differenze, che diventano occasione di arricchimento per tutti. Per questo il cristiano è chiamato ad essere operatore di pace, perché così è
chiamato da Gesù nel vangelo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati Figli di Dio” (Mt 5,9).
Essere operatori di pace al giorno d’oggi significa essere missionari. I missionari dei giorni d’oggi sono coloro che si lasciano edificare dai valori e dalle culture degli altri popoli; sono coloro che si mettono a
servizio per gli altri, anche quelli più lontani. Essi sono coloro che non ritengono l’esplorazione culturale una necessità impellente, ma che esaltano invece il rispetto della cultura dei popoli.
I missionari di oggi sono coloro che non vedono il popolo vicino come semplice occasione di
sfruttamento delle sue ricchezze, di occasione per fare denaro, ma coloro che operano la grande
solidarietà internazionale.
I missionari di oggi non sono solo i consacrati che portano il vangelo nel mondo, ma anche quei missionari dei giorni d’oggi che a loro si affiancano, come i giornalisti che denunciano gli orrori delle guerre, i medici che portano il loro servizio in ogni angolo sperduto del mondo, i militari che invece di portare guerra cercano di garantire la pace. Sono coloro che mettono a disposizione persino la propria
vita, per essere chiamati “Figli di Dio”.
Il servo di Dio don Tonino Bello ha fatto della coscienza della pace il suo manifesto: “Prendiamo coscienza che i cuori disposti al perdono e alla comunione sono l’unica miniera da cui si estrae la materia prima della Pace, senza la quale anche le più autorevoli Cancellerie diplomatiche potranno offrirci solo
ambigue sofisticazioni e sterili surrogati”.
E allora, tocca a ciascuno di noi. Ognuno di noi può essere operatore di pace. “In piedi, costruttori di pace, e sarete chiamati: Figli di Dio”.
diac. Fabrizio Santantonio