Io, tu, noi: tre passi di danza

Mattia si guarda allo specchio e gioca con la sua immagine riflessa: ha 10 mesi e non è ancora in grado di riconoscere il suo volto, di distinguere i suoi lineamenti, di definire le somiglianze più o meno marcate con i suoi genitori. Mette le manine sul vetro e vuole toccare l’altro, quello che sta davanti a lui: lo fa a motivo della naturale piacevolezza che l’essere umano cerca e riceve nel contatto con un suo pari.

All’inizio è solo divertimento: Mattia non sa che quella è un’immagine e non una realtà corporea. Per lui è un “altro da sé” che non scappa, che non se ne va, che interagisce con lui rispondendo divertito alle sue mosse divertenti.

Solo verso i 18 mesi Mattia scoprirà sé stesso in quel riflesso: per la prima volta vedrà veramente chi è. Non sa ancora che quello sarà il primo di una serie molteplice di occasioni che la vita gli riserverà per incontrarsi con sé stesso.

La costruzione della propria identità personale non avviene in un ambiente asettico e neutrale, non avviene neppure in modo solitario e autocentrato: la persona umana cresce misurandosi nelle relazioni.

Si diventa chi si è grazie e attraverso l’incontro con gli altri.

Ce lo dicono l’antropologia, la filosofia, la psicologia, le neuroscienze: ormai è assodato che l’essere umano sia fatto per la relazione con i suoi pari: ha bisogno e desidera intimamente l’altro, un essere che gli stia di fronte e gli faccia da specchio, un altro simile ma diverso da lui attraverso cui la riflessione su di sé sia
possibile e matrice di nuova consapevolezza.

Alla domanda “chi sono io?” l’essere umano non può rispondere da solo: è l’altro,
il tu, che glielo rivela in un incontro.

È altrettanto vero che può rispondere in modo autorevole alla domanda sull’identità di un altro solo chi questo altro lo ama, solo chi ha una visione vera di lui, che né lo idealizza e neppure lo umilia, né lo innalza vedendone solo gli aspetti di bellezza e forza, ma nemmeno lo abbatte vedendone solo i lati critici o le
mancanze.

In primis questo specchio è dato dalle figure genitoriali che si propongono come riflessi del vero volto del proprio figlio. I bambini riconoscono quando si è sinceri rispetto alle loro reali abilità o competenze e capiscono bene quando vengono loro
mosse delle lodi non pertinenti; i bambini hanno antenne che sentono da lontano i cattivi giudizisu di loro, i preconcetti che muovono le frasi maldestre degli adulti,
le valutazioni leggere e distruttive che si infilano nei discorsi quando si parla di loro pensando non sentano…

È confermato da tutte le ricerche scientifiche che laddove al bambino viene garantita una base affettiva solida capace di rimandargli una positiva immagine di sé, come persona amata, desiderata, confermata, allora lo sguardo che egli stesso porrà su sé stesso sarà positivo, carico di stima e valore. Questo stesso sguardo fiducioso, il bambino lo poserà anche sugli altri che incontrerà: il mondo non gli apparirà spaventoso o pericoloso, ma un luogo ricco di possibilità, avventure, scoperte.

Una cosa va detta ai bambini e ai ragazzi di oggi: solo le persone che li amano possono davvero aiutarli a scoprire chi sono profondamente. Va detto innanzitutto perché imparino ad assegnarsi un valore autentico, fondato sulla realtà,non su falsi giudizi di chi non li conosce davvero o su ambigui desideri di chi ammalia per convenienza.

Pertanto, se è vero – come è vero – che è nell’altro che scopriamo chi siamo, allora è il noi la vera dimensione dell’umanità. Non può bastarci la forma egocentrica ed egoistica, non può neppure colmarci
l’altro se non facciamo con quest’altro un’unione delle due alterità.

Noi è il principio della vita veramente umana.

Dott.ssa Stefania Cagliani