Tre passi di danza
Quando Massimo aveva 4 anni e sua sorella Maddalena poco più di 7, in famiglia scoppiavano spesso dei litigi che i genitori definivano “esasperanti”: a volte la questione era legata al posto a tavola, altre su chi dovesse ricevere prima il piatto della cena, altre volte sulla quantità dei maccheroni messi nel piatto di ciascuno… e questo era solo l’inizio del pasto serale.
Non parliamo poi dei giochi: “è mio e non lo puoi usare”, “non te lo presto perché tu poi me lo rompi!”, “allora io te lo prendo quando tu non mi vedi e lo nascondo”…
Per la verità, in altri momenti i due fratelli riuscivano a giocare molto bene insieme, si aiutavano in caso di difficoltà, comprendevano le emozioni reciproche; tuttavia le situazioni in cui tra i due scoppiava il litigio e in cui si rendeva necessario l’intervento dei genitori erano davvero numerose.
I genitori a volte ascoltavano cosa era successo, cercavano di risolvere le criticità, li aiutavano a scendere a compromessi, altre volte invece – anche loro sopraffatti dalle loro stanchezze o impegni – esplodevano in urla, ricorrevano alle punizioni, mettevano in castigo.
Tuttavia niente sembrava funzionare.
Pochi genitori accettano il fatto che il conflitto faccia parte della vita e che non sia necessariamente di natura dannosa. Molti ritengono che il litigio sia qualcosa da evitare a tutti i costi; credono ad esempio che i “fratelli che si vogliono davvero bene” non litigano e che più il castigo che infliggono è pesante, più sia alta la possibilità di raggiungere l’obiettivo educativo desiderato.
In realtà, perché si litiga?
Semplicemente perché le persone sono diverse le une dalle altre, pensano in modo diverso, hanno bisogni diversi e aspettative che non sempre combaciano.
I conflitti possono certamente allontanare le persone, ma possono anche avvicinarle in un’unione ancora più intima, far nascere un’unità ancora più consolidata e generare una comprensione reciproca ancora più profonda.
Il conflitto nasce spesso dal desiderio forte di far valere la propria posizione; nelle famiglie in cui ciò avviene, il figlio ha l’opportunità di imparare a gestirlo e di essere più preparato ad affrontarlo negli anni a venire. Se i conflitti familiari vengono visti come preparazione necessaria per poter affrontare i conflitti in cui il figlio in maniera inevitabile si imbatterà fuori casa, potrebbero addirittura risultare benefici per lui a condizione che essi vengano superati in maniera costruttiva.
È questo il punto critico di ogni rapporto: come viene risolto il conflitto, non la quantità di conflitti che insorgono.
Purtroppo come adulti facciamo nostra la tradizione che vuole che il “bravo genitore” intervenga per cercare il colpevole tra i figli, dare ragione a uno dei due, punire chi litiga, dare una risoluzione con la pace, il bacino…, proibire o comunque chiudere velocemente la situazione.
Segue poi l’inevitabile frustrazione poiché si realizza che tutto questo darsi da fare non funziona granché: i figli continuano a reclamare la nostra presenza quando litigano e il numero dei loro litigi non diminuisce affatto.
Può aiutarci la proposta di D. Novara1 che suggerisce al genitore di affrontare il litigio tra i figli (dai 3 ai 10 anni) staccando la propria spina emotiva per analizzare meglio la situazione e adottare un atteggiamento di sospensione del giudizio in cui non si vuole dare una risposta al problema. A questi due passi indietro rispetto all’intervento immediato, è bene che seguano due passi avanti: permettere ai bambini di parlarsi tra loro del loro litigio e favorire il raggiungimento di un accordo creato tra loro stessi.
Ciò significa che, dopo aver ascoltato in silenzio il bambino che ci ha chiesto aiuto, invitiamo entrambi i figli a parlarsi (con parole, disegni, immagini) all’interno di uno spazio che in casa è dedicato alla risoluzione dei litigi. L’ascolto reciproco può avvenire alla nostra silenziosa presenza (possiamo mediare la conversazione, dando la parola prima all’uno e poi all’altro), senza preoccuparci della coerenza dei contenuti, senza dare opinioni, senza obbligare a parlare.
I bambini potranno così imparare che i conflitti si possono affrontare, che il punto di vista dell’altro è importante per avere la situazione chiara, che ci si può far rispettare con forza anche senza danneggiare l’altro, che parlarsi è più importante che vincere a tutti i costi, che si può sempre trovare un accordo, che essere amici non significa non avere disaccordi, che rinunciare a volte significa cercare qualcosa di più interessante…
In questo modo la logica del vinco io (a scapito tuo) o vinci tu (a scapito mio) decade.
La vittoria è di entrambi perché ciò che vince è il noi: la relazione è salva.
Dott.ssa Stefania Cagliani
1 D. Novara, Litigare fa bene. Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti, per crescerli più sicuri e felici, Rizzoli, 2015.