V Domenica dopo l’Epifania

L’episodio del Vangelo ci ricorda le parole che diciamo in ogni Messa, prima della Comunione: “O Signore non sono degno, ma dì soltanto una parola e sarò salvato“. Sono parole che ricalcano quelle del centurione, che invoca il Signore perché guarisca il suo servo. Il centurione è il protagonista del brano di Vangelo. E’ un pagano, fa parte dell’esercito romano, eppure è un uomo profondamente sensibile, è preoccupato per il suo servo, è aperto ai bisogni della comunità in cui vive. Ha una fede viva, concreta, di poche parole, umile ma senza riserve, tanto da meritare i complimenti di Gesù: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande“.

L’atteggiamento di Gesù ci ricorda che la salvezza è voluta da Dio per tutti gli uomini. Nel salmo responsoriale ripetiamo: tutti gli uomini sono amati dal Signore.

Gesù si muove subito per andare nella casa di un pagano: “Verrò e lo guarirò“. Certo, per essere salvati è indispensabile credere, come il centurione pagano.

Sono veramente tanti gli interrogativi che sorgono nel cuore e che possono diventare preghiera.

Innanzitutto, vedendo l’attenzione di questo centurione per il servo malato e la cura che Gesù ha sempre nel Vangelo per chi soffre, viene da chiedersi: è così il nostro comportamento con chi è malato (in tutti i sensi) o facilmente lo emarginiamo?

Siamo capaci di scoprire il bene che c’è in una persona a prescindere da razza, religione, ceto sociale?

La fede del centurione ci chiede di verificare la nostra fede: è sincera, umile, concreta, viva?

Infine, quando pronunciamo, prima della Comunione, le parole del centurione, le diciamo con il cuore? So o Signore che sono indegno di riceverti, ma sono certo che tu desideri venire nel mio cuore e tu puoi cambiarlo.

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