Mia zia diceva che “nelle situazioni difficili bisogna sempre ringraziare Dio che c’è la famiglia”. Oggi verrebbe da chiedersi: quale? Sorvolando qualsiasi sterile polemica, vorrei focalizzare l’attenzione sull’etimologia della parola “famiglia”, proveniente dal latino “familia” che deriva da “famulus” ossia “servitore, domestico”.
Ecco, il cuore della famiglia è “servire”, come Gesù ha sempre testimoniato nel corso della sua vita, lasciandoci numerosi insegnamenti sull’importanza di essere servitori umili e sensibili all’altro. Anche nella famiglia bisogna imparare a servire: tra la coppia, verso i figli, nei confronti dei genitori. Un continuo atto proteso a donare senza chiedere, ad amare senza pretendere.
In famiglia si parla al plurale, l’egoismo del singolo non può avere alcun valore. Certo è necessaria una unione di intenti seppur nella “pluriformità nell’unità”, come afferma il Card. Scola nella sua lettera pastorale “Il campo è il mondo”. La famiglia è sì lo specchio della società ma non deve diventare schiava di essa.
Proviamo a ritornare a una vita di famiglia domestica: ritrovarsi insieme a tavola, parlare tra genitori e figli, mettere al centro la semplicità del rispetto, tracciare dei percorsi di crescita e di fede secondo le capacità di ciascun componente con l’obiettivo di raggiungere il medesimo traguardo: la bellezza dell’Amore. Sono sfide che combattono contro l’orgoglio moderno. Vincerle non è facile. Almeno, però, proviamo a equipaggiare le nostre famiglie con gli strumenti necessari per non farci sopraffare: il sorriso fraterno, la piena condivisione, la serenità di una fede viva.
Stefano S.