40 giorni, questo è il tempo che ci è dato per convertirci, per tornare a volgere lo sguardo e l’attenzione a quella croce: segno di morte e porta per la vita.
Non so se siamo pronti per vivere la Quaresima, forse ci troviamo distratti dai mille impegni, forse siamo lontani con la mente per alcune vicende personali, forse vorremmo semplicemente che continuasse il tiepido trascorrere dei giorni, uno uguale all’altro. Ma è importante fermarci, lasciarci condurre dallo Spirito nel deserto, proprio com’è accaduto al Signore; accettiamo l’invito della Chiesa a investire sulla nostra fede in modo nuovo.
L’immagine del deserto ci parla bene dello stile che ogni cristiano deve impegnarsi a vivere in vista della Pasqua; il deserto con la sua vastità, con la sua solitudine, con la sua essenzialità. Andando nel deserto scopriremo quanto sia disarmante la bellezza del silenzio, concediamo spazio al silenzio nella nostra preghiera, così che esso ci aiuti ad intercettare la voce di Dio. Il silenzio inoltre aiuta a riscoprire il nostro sé, la nostra vita con le sue luci e ombre, con le sue doti e le sue mancanze; se sapremo guardare dentro di noi con sincerità e profondità avvicineremo l’immagine che abbiamo di noi a ciò che vede il Signore. Forse tutto questo ci spaventerà, ma di sicuro ci permetterà di avere una spinta in più per gustare della misericordia che Dio gratuitamente ci dona ogni volta che la imploriamo.
Nel deserto ogni passo pesa di più, perciò è utile portare con sé soltanto l’essenziale: diamo i nomi alle cose che riempiono la nostra vita ma non la nutrono, impariamo a conoscerle così che potremo liberarcene. Tornare all’essenziale vuol dire anche imparare a condividere, perché non siamo mai soli nel cammino e ognuno ha bisogno di trovare sostegno nel prossimo. Donare aiuto e riceverlo sono azioni strettamente connesse, la prima non può sussistere senza la seconda e viceversa.
Il deserto è luogo di sacrificio, come il digiuno che la Chiesa ci propone in questo tempo forte. La cultura dell’immagine nella quale viviamo rischia di trasformare la pratica del digiuno in una forma malata di idolatria del sé, ma a nulla serve privarmi di qualcosa se non imparo a vivere la sobrietà, se non rinnovo la mia fiducia nella Provvidenza che non mi farà mancare il necessario. Impegniamoci a dire no allo spreco, del cibo come del tempo, delle energie come delle risorse. Puntando l’attenzione su ciò che nella vita ci allontana da Dio scopriremo a quale digiuno il Signore ci chiama.
Siamo solo alle porte di questo arido paesaggio, stiamo compiendo i primi passi, eppure a me sembra già di sentire la sabbia nelle scarpe.
don Pietro