Autore: basilica

  • Cecità e miopia

    Cecità e miopia

    Nel vangelo di Giovanni, dopo l’incontro con il “cieco nato”, Gesù si scontra con gli avversari: «Alcuni dei farisei gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”». Il vangelo parla esplicitamente del percorso di fede del cieco risanato, capace di resistere a chi né lo riconosce come tale né dà credito al gesto compiuto da Gesù. Chi sono dunque i veri ciechi?

    Possiamo trovare cecità, o almeno miopie, anche oggi, in opinioni, scelte, comportamenti, che apparirebbero corretti, sensati, moderni, ma distorcono la realtà.

    Scatenare una guerra, sostenerla (come purtroppo fanno pure alcune autorità religiose), darle vigore con parole aggressive, è certamente sintomo di cecità. Potrebbe esserlo anche enfatizzare l’uso delle armi senza ricercare una sincera via di pace, dando ragione a chi sospetta che «le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono senza uccidersi».

    Il mondo occidentale, così innamorato della propria democrazia, al punto da volerla esportare con gli eserciti, è lo stesso che vuole innalzare l’aborto a diritto, restando cieco di fronte al reale diritto alla vita, quello del nascituro. In questo caso chi fa torto a chi? e chi è l’innocente aggredito?

    Ancora: chi sono davvero gli scafisti del Mediterraneo? La manovalanza o chi li organizza restando bene al riparo di complicità nebulose? E la polemica non fa dimenticare le “persone” migranti e i motivi tragici delle loro partenze (se guardiamo i paesi di provenienza…)?

    Pure qui vale un detto: il miope «guarda il dito, ma non vede la luna».

    Le catastrofi naturali sono anche conseguenza dei cambiamenti climatici, della siccità, della devastazione della natura (Amazzonia…): come è difficile per i capi della politica e dell’economia cercare un accordo per salvaguardare il creato, che è «non eredità dei padri, ma prestito delle generazioni future».

    Anche nella Chiesa, beninteso, troviamo cecità e miopie: voler conservare solo l’esistente di parrocchie e istituzioni, senza seguire la forza dello Spirito per tentare vie nuove di annuncio del Vangelo.

    O immaginare che organizzare eventi e occupare spazi sociali basti a elevare la qualità spirituale della comunità. Laviamoci tutti alla piscina di Siloe, l’Inviato!

    don Gianni

  • Il discernimento

    Il discernimento

    QUARTA settimana di quaresima

    L’itinerario di preghiera proposto dalla Diocesi in questa IV settimana di quaresima ci porta a riflettere sul discernimento, ossia su quel processo interiore che ci permette di giungere alle nostre scelte.

    Discernere non è mai un itinerario semplice: portiamo dentro di noi il dramma di dover decidere sapendo che ogni scelta, piccola o grande, porta conseguenze per sé e per gli altri. Il discernimento porta ciascuno di noi a fare i conti con le nostre resistenze interiori, con le gioie e con le possibili fatiche. In questa settimana facciamo memoria di San Giuseppe, un uomo che ha sperimentato la fatica di fidarsi di Dio che chiede disponibilità, apertura, fiducia, pur rispettando tutta la sua libertà.

    Alla base di ogni discernimento ci sia la fede, la stessa fede del cieco nato del Vangelo della IV domenica di quaresima: vogliamo fidarci di questo Dio anche quando ci chiede di fare cose impossibili o che non comprendiamo immediatamente. Proviamo a mettere come nostro modello Maria con il suo “eccomi” affinché anche noi possiamo trovare la forza e il coraggio di dire “SÌ”.
    In questa settimana vogliamo fermarci a riflettere sulle nostre scelte.

    • Come si formano le nostre scelte?
    • In che modo mettiamo dentro la nostra esperienza di Dio?
      • Riusciamo a fidarci di Lui anche quando tutto sembra venirci contro?
      • Sappiamo cogliere nella nostra vita tutti i piccoli annunci che il Signore ci comunica tra le pieghe delle nostre giornate?
  • Il silenzio

    Il silenzio: la condizione fondamentale per potere ascoltare… la propria anima

    Continuando il tema della preghiera iniziato la scorsa settimana, una delle condizioni fondamentali per potere entrare in una dimensione di dialogo (preghiera) è l’ascolto, ma per quanto ovvio, questo non è possibile senza fare silenzio. La cosa vale sia nei rapporti umani sempre più condizionati dal fare prevalere la propria voce, ma vale anche nei confronti di Dio, dove ci sembra necessario parlare anche nei tempi che pensiamo di dedicargli. Per domandare più che accogliere, per porre a lui tutte le nostre istanze, i nostri pensieri… perché abbiamo perso o forse non abbiamo mai imparato, a fermarci per ascoltare…
    Un noto sacerdote filosofo e teologo italiano, naturalizzato tedesco, Romano Guardini, scrisse che, non volere o non riuscire a rimanere nella dimensione del silenzio, è come volere solamente espirare e mai inspirare. L’uomo che non vuole e non sa tacere è come se volesse solo espirare, quindi senza mai inspirare è destinato alla morte… Quantomeno alla morte spirituale. Il rapporto tra il silenzio intimo e la parola che esce da noi è strettissimo, la parola viene generata dal silenzio. La parola è vera quando è generata dal cuore del silenzio. Quando questo non avviene, la parola è svilita, diminuisce di significato. A volte si può tacere eppure dire molto, cosi come si può parlare molto ma non dire niente… Spesso il parlare molto serve a coprire il vuoto interiore. Abbiamo la necessità, soprattutto in questo tempo che la Chiesa ci propone alla riflessione, di meditare sul perché Dio abbia scelto di farsi uomo, morire e risorgere, mostrandoci quale Amore il Padre abbia verso di noi sue creature. Dobbiamo ri-entrare in noi stessi e accogliere quella parola che può aprirci il cuore ad accogliere lo Spirito di Dio. Il quale non parla nel rombo del tuono ma nel soffio di una brezza leggera… (1Re 19, 12-13). Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta del 13 Giugno 2014, usa queste parole bellissime e chiare per commentare questo passo della Bibbia: «Il Signore non era nel vento, nel terremoto o nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera: nella pace». O «come dice proprio l’originale, un’espressione bellissima: il Signore era in un filo di silenzio sonoro». In questa frase si racchiude il modo in cui possiamo accoglierlo ed ascoltarlo anche noi: entrare nella grotta del nostro cuore e nel silenzio accogliere la sua pace, il suo sonoro silenzio. Silenzio che non è solo vuoto, l’assenza di rumore, ma la condizione per cui il Signore può parlare al nostro cuore come ha fatto con il profeta Elia. Possa questo tempo che ci conduce alla Pasqua aiutarci a riscoprire il valore del silenzio perché possiamo tornare ad ascoltare in noi quella parola che sola può portare alla pace.
    Fabrizio Zo

  • Giornata dei Missionari Martiri

    Giornata dei Missionari Martiri

    Manifesto-Giornata-Missionari-martiri-2023

    Il 24 marzo 2023 si celebra in tutta la Chiesa italiana la 31esima edizione della GIORNATA DI PREGHIERA E DIGIUNO IN MEMORIA DEI MISSIONARI MARTIRI, appuntamento istituito nel 1993 dal Movimento Giovanile Missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie.
    Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani è “Di me sarete testimoni (At 1,8)”, espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso.

    La celebrazione della Giornata dei missionari martiri si colloca nel giorno dell’uccisione di monsignor Oscar Romero, avvenuta il 24 marzo 1980 in El Salvador, e vuole fare memoria del suo impegno a fianco del popolo salvadoregno, oppresso da un regime elitario incurante della sorte dei più poveri e dei lavoratori.

  • “Di me sarete testimoni”

    Suor Maria e suor Lucia hanno donato l’intera vita rispondendo ai bisogni di due popoli, martoriati da guerre, calamità, criminalità e soprusi

    Sono 18 i missionari uccisi nel mondo nel 2022: 12 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 1 seminarista, 1 laico. Nove hanno perso la vita in Africa, otto in America Latina, uno in Asia.

    Due le italiane: suor Maria de Coppi, uccisa in Mozambico, dove aveva trascorso quasi sessant’anni della sua vita, e suor Luisa Dell’Orto, uccisa a Haiti dove si trovava da vent’anni, dopo aver vissuto in Camerun e Madagascar.

    Suor Luisa Dell’Orto, Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, la mattina di sabato 25 giugno è stata vittima di un’aggressione armata a Port-au-Prince, capitale di Haiti, forse vittima – così si è detto – di un tentativo di rapina. Da vent’anni si occupava soprattutto dei bambini di strada, colonna portante di Kay Chal, “Casa Carlo”, una casa famiglia per bambini di strada in un sobborgo poverissimo di Port-au-Prince. La notizia ha prodotto un fortissimo impatto nella capitale haitiana, dove “soeur Luisa” era molto conosciuta e amata.

    Suor Maria De Coppi, 84 anni, missionaria comboniana in Mozambico dal 1963, è stata uccisa nell’assalto alla missione di Chipene, nell’instabile nord del paese, nella notte tra il 6 e il 7 settembre 2022. Gli assalitori hanno distrutto le strutture della missione, tra cui la chiesa, l’ospedale e la scuola primaria e secondaria. Suor Maria è stata colpita da un proiettile alla testa, morendo all’istante, mentre cercava di raggiungere il dormitorio dove si trovavano le poche studentesse rimaste. La provincia di Nampula, assieme a quella di Cabo Delgado, è vittima dell’instabilità causata dalla presenza di gruppi terroristici che si richiamano allo Stato Islamico. Suor Maria conosceva bene i rischi, ma non ha mai smesso di denunciare le ingiustizie subite dalla popolazione. Mons. Sithembele Sipuka, Presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa meridionale (SACBC), in un messaggio di condoglianze sottolinea che “suor Maria si unisce a tante vite innocenti che sono state brutalmente stroncate… la sua è stata la morte di una martire, perché non ha abbandonato i poveri anche in questi tempi difficili”.

    Ed è proprio questo un punto centrale: è giusto e doveroso ricordare il sacrificio di chi dona la vita, ucciso per il servizio ai più poveri e dimenticati o per il servizio alla verità e alla giustizia, compiuto senza piegarsi ai soprusi. Ma rischia di diventare un ricordo fine a se stesso, se non si ha anche il coraggio di chiedere giustizia e verità, di indagare le cause delle loro uccisioni violente, dovute a un sistema di ingiustizia che miete tante più vittime fra le popolazioni locali, indifese e che non hanno nemmeno i riflettori del mondo a illuminare il loro calvario quotidiano. Faremmo un torto per primi ai missionari e alle missionarie uccisi, se ci limitassimo a celebrare il loro martirio, dimenticando di ricordare le popolazioni che hanno servito e aiutato in vita, impegnandoci fattivamente perché possano vivere in pace e con dignità.

    Giusy Baioni

  • Vita Comune
    Giovani 2023

    Lo stile cristiano del vivere

    Vita Comune Giovani 2023

    Una settimana di vita insieme nella quale approfondire le dimensioni della vita cristiana mettendoci in gioco per scoprire qualcosa di incredibile e inaspettato

    Dal 26 marzo al 1 aprile presso l’Oratorio di San Giorgio

    Se sei interessato iscriviti su Sansone

  • San Giuseppe, l’arte di essere padre

    San Giuseppe, l’arte di essere padre

    Oggi, festa dei papà, riscopriamo la figura del padre terreno di Gesù, modello di virtù umane e religiose, attraverso un capolavoro dell’arte lombarda

    Capita spesso di emozionarsi di fronte all’immagine cara e familiare della Madonna col Bambino. Per questo innumerevoli sono le raffigurazioni di Maria che regge il piccolo Gesù: testimonianza straordinaria del Mistero del Dio che si fa uomo per amore e allo stesso tempo esperienza a tutti comune .

    Giuseppe in tutto questo rischia di rimanere in disparte: presente in ogni Natività, ma come in secondo piano, nell’ombra. Lui che è padre, ma putativo. Lui che deve accettare qualcosa che va al di là dell’umana comprensione. Lui che, in quelle poche pagine dei Vangeli in cui compare, non dice una parola. Obbediente, fiducioso, premuroso.

    Per questo vogliamo proporre una sua immagine artistica particolare, dove per una volta non è Maria a tenere in braccio il Bambino Gesù, a cullarlo, a rimirarlo, ma proprio lui, Giuseppe.

    Nel Museo Diocesano di Milano, è conservato un dipinto di struggente bellezza (raffigurato qui a lato), capolavoro del pittore bolognese Guido Reni.

    Giuseppe è raffigurato in piedi, mentre sorregge il Divino infante, nudo e libero dalle fasce, che giace quieto, come nella mangiatoia di Betlemme. La testolina di Gesù e il profilo del padre putativo si stagliano sullo sfondo di un paesaggio montano, con la diagonale della cresta che separa e unisce cielo e terra, richiamando così la duplice natura del Cristo, vero uomo e vero Dio.

    Ogni singolo dettaglio è sorprendente in questa magnifica tela: il roseo e realistico incarnato del neonato; la resa del panneggio del mantello dell’uomo; il virtuosistico effetto dei ciuffi argentati della barba e dei capelli; fino alla scena della fuga in Egitto, che si scopre inaspettatamente dietro alle spalle di Giuseppe.

    L’opera databile attorno al 1630, può essere considerata la prima di una serie di quadri con san Giuseppe che “culla” il Bambin Gesù, realizzati fino agli ultimi anni e oggi conservati all’Ermitage di San Pietroburgo e in altre collezioni.

    A ben osservare il quadro milanese, tuttavia, si può cogliere come, oltre alla dolcezza della scena, vi sia come una nota malinconica, quasi un fremito di timore. Giuseppe e Gesù, del resto, non si stanno guardando negli occhi. Mentre il Cristo leva gli occhi al cielo, infatti, quelli del padre putativo sembrano fissarsi in un pensiero tutto interiore, come una premonizione: una sensibilità che qui sembra manifestarsi anche in Giuseppe, quasi concentrato sul destino di questo “figlio”, porgendolo inconsciamente alla nostra contemplazione nel gesto dell’offerta sacrificale…