Gli auguri alla Comunità Pastorale di Desio quest’anno li vogliamo fare con la Preghiera al Signore che consideriamo universale e che proponiamo qui scritta in diverse lingue affinché la si possa recitare tutti insieme, come figli di un unico Dio e Padre.
Pater Noster (Latino)
Pater noster, qui es in cælis: sanctificétur Nomen Tuum: advéniat Regnum Tuum: fiat volúntas Tua, sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum cotidiánum da nobis hódie, et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris, et ne nos inducas in tentazionem, sed líbera nos a Malo. Amen
Ul nost pa’ (Brianzolo)
O nost Pa’ che te stét in Ciel, che ul tô Nom al vegna santificà, che vegna ul tô regn, che sia fà quel che te vöeret, inscì in Ciel cumè in tèra. Dach incöe ul nost pan de tütt i dì, cancèla i nost debit cumè anca nünch i cancèlum ai nost debitur e lassich no in mez a la tentaziun ma liberach dal mà. Amen
الصلاة الحالية (arabo)
أبانا الذي في السموات ليتقدس اسمك، ليأت ملكوتك، لتكن مشيئتك، كما في السماء كذلك على الأرض، اعطنا خبزنا كفاف يومنا، واغفر لنا ذنوبنا و خطايانا، كما نحن نغفر أيضآ لمن اخطأ واساء الينا، ولا تدخلنا في التجربة، ولكن نجنا من الشرير لأن لك المُلك والقدرة والمجد إلى أبد الدهور. آمين.
Oce nash (Serbo)
Oce nash, izhe jesi na nebesjeh! Da svjatitsja imja Tvoje; Da pridet carstvije Tvoje; Da budet volja Tvoja, Jako na nebesi i na zemlji; Hleb nash nasushni dazd nam dnes; I ostavi nam dolgi nashja Jakozhe i mi ostavljajem dolzhnikom nashim; I nevvedi nas vo iskusheniye; No izbavi nas ot lukavago. Amen
Our father (Inglese)
Our father, which art in heaven, hallowed be thy name. Thy kingdom come. Thy will be done on earth as it is in heaven. Give us this day our daily bread. and forgive us our trespasses as we forgive those who trespass against us. And lead us not into temptation, but deliver us from evil. Amen
Vater unser (Tedesco)
Vater unser in Himmel, geheiligt werde Dein Name; Dein Reich komme; Dein wille geschehe, wie in Himmel so auf Erden; unser tägliches Brot gib uns heute; und vergib uns unsere Schuld, wie auch wir vergeben unseren Schuldigern und führe uns nicht in Versuchung, sondern erlöse uns von dem Bösen. Amen
Notre père (Francese)
Notre père, qui es aux cieux, que ton nom soit sanctifié. Que ton règne vienne. Que ta volonté soit faite sur la terre comme au ciel. Donne-nous aujourd’hui notre pain quotidien. Et pardonne-nous nos offenses, comme nous pardonnons à ceux qui nous ont offensés. Et ne nous laisse pas entrer en tentation mais délivre-nous du mal. Amen
Baba yetu (Swahili)
Baba yetu, uliye mbinguni: jina lako lisifiwe, ufalme wako uje, mapenzi yako yafanyiwe duniani kama mbinguni. Utupe leo chakula chetu cha kila siku. Utusamehe makosa yetu, kama tunavyowasamehe waliotukosea. Usituache kushindwa na kishawishi, lakini utuopoe katika maovu. Amen
Padre nuestro (Spagnolo)
Padre nuestro, que estás en el cielo, santificado sea tu Nombre; venga tu reino; hágase tu voluntad en la tierra como en el cielo; da nos hoy nuestro pan de cada día; perdona nuestras ofensas, como tambien nosotros perdonamos a los que nos ofenden; no nos dejes caer en tentación, y líbra nos del mal Amen
Durante la visita alle famiglie, molti mostrano con fierezza il presepio (o i presepi) che hanno preparato per il Natale. Ne vedo due tipi.
Nel primo la culla è vuota perché «Gesù non è ancora nato, lo metteremo alla notte di Natale»; c’è anche una variante: Gesù è nella culla (spesso perché culla e bambino sono un pezzo solo), ma ricoperto da un velo che verrà rimosso nella Notte Santa. In questa rappresentazione c’è il valore dell’attesa: si aspetta qualcosa, anzi Qualcuno, una Buona Notizia, una nuova compagnia. Questo modo di organizzare il presepio dice che è bello avere desideri, quelli infantili legati magari ancora ai regali, e quelli adulti, più profondi.
L’altro tipo è di coloro che già hanno messo Gesù al suo posto, ben visibile, al centro della scena. A questo forse si riferisce il nostro Arcivescovo che in una recente intervista ha dichiarato: «Gesù è già nato e non nasce di nuovo. Questa visione del Natale come rievocazione di un mito archetipo ed esemplare a me non piace molto. Gesù non rinasce in nessuna parte del mondo: è già nato, la sua testimonianza è palpitante. Però ogni bambino che nasce sperimenta che Gesù è dalla sua parte: che nasca su un barcone o sotto un portico».
Anch’io preferisco vedere subito Gesù nella culla, nella capanna. Per dire che quel fatto antico è vivo per noi, che quel messaggio ci fa sentire Dio vicino; un Dio povero che ogni giorno rinasce nella nostra fede e che possiamo mostrare e portare ai poveri del mondo.
Oggi celebriamo la Maternità divina di Maria e il mistero dell’Incarnazione: il Figlio di Dio, al sì di Maria, per opera dello Spirito Santo, prende carne e diventa uno di noi.
È il fondamento di tutti gli altri misteri riguardanti Gesù. Un mistero accennato nell’Antico Testamento che supera tutte le aspettative: nessun profeta o patriarca ha pensato a tanto!
Ci sono due verità evidenti.
La prima è che è un fatto storico ben preciso, non una favola o un racconto: viene presentato il luogo, il nome della ragazza, la sua situazione familiare; tutto avviene per iniziativa di Dio che entra nella storia. Lo Spirito Santo rende Maria, Madre di Dio.
È un mistero che supera la nostra capacità di comprensione, eppure Dio l’ha voluto perché ha mantenuto le sue promesse. Il Signore fa sua la nostra esperienza umana, condivide la nostra vita, dandole un senso e un valore nuovo in tutto, anche al dolore, e ci dà la certezza che la vittoria sarà sempre del bene.
La seconda verità è che anche questo mistero è un dono che va accolto. La prima lettura è un invito a preparare il nostro cuore. Il Signore agisce nella storia da Padre: per realizzare questo mistero chiede il “Sì” di una ragazzina di Nazareth, paesino sconosciuto della Galilea.
Dio, per nascere dentro di noi, chiede il “Sì” della nostra libertà; per continuare la sua presenza nel mondo, chiede il “Sì” di ciascuno di noi, per essere testimoni del suo amore.
Chiediamo al Signore che ciascuno di noi possa dire, come Maria, il proprio “Sì”.
Una giusta inquietudine davanti ai problemi del nostro tempo, da affrontare con il realismo della speranza proprio dei cristiani e la buona politica di cui è capace il nostro territorio: questo il nucleo del pronunciamento dell’Arcivescovo, di cui proponiamo una sintesi
«Il linguaggio di Milano e di questa nostra terra è la fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili». Esprime così in sintesi i suoi sentimenti l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nel Discorso alla città pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio lo scorso 6 dicembre. Ad ascoltarlo, amministratori pubblici, politici e responsabili del bene comune che operano nel territorio della Diocesi.
Chi sono gli altri?
Ma chi sono in particolare gli altri per il pastore della Chiesa ambrosiana? «Mi sembra che tutti coloro che hanno responsabilità vivano quell’inquietudine provocata dall’interrogativo: e gli altri? E gli altri, i bambini che subiscono violenze e abusi? Le altre, le donne maltrattate, umiliate, picchiate in casa? E gli altri, gli anziani soli, chiusi nelle loro case per paura, per abitudine, perché impossibilitati a partecipare alla vita sociale? Gli altri, quelli che non hanno voce, quelli che abitano la città senza che noi ce ne accorgiamo? Gli altri, quelli per cui non abbiamo stanziato risorse sufficienti? E gli altri, quelli che non vanno a scuola, quelli che non lavorano? E gli altri, quelli che non hanno casa, quelli che non hanno assistenza sanitaria? E gli altri, quelli che lavorano troppo e sono pagati troppo poco? E gli altri, quelli che subiscono prepotenze, estorsioni, ricatti dalla malavita organizzata che si insinua dovunque può conquistarsi profitti e potere? E gli altri, i ragazzi che si associano per commettere violenze, per rovinare i muri della città e le cose di tutti, per rovinare la propria giovinezza e rendersi schiavi di dipendenze spesso irrimediabili?». Monsignor Delpini confessa che trova «sempre più insopportabile il malumore. Trovo irragionevole il lamento. Trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e risentimento».
L’elogio dell’inquietudine
Nella sua analisi l’Arcivescovo parte dall’elogio dell’inquietudine «che bussa alle porte della paura. La paura serpeggia nella città e nella nostra terra… Alle porte della paura bussa l’inquietudine con la sua provocazione: e gli altri?».
La città che corre: dove trovare la casa?
Un’inquietudine che bussa a «una città che corre, la città che riqualifica quartieri e palazzi, la città che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, la città che seduce i turisti e gli uomini d’affari, la città che demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili. Dove troveranno casa le famiglie giovani, il futuro della città? Dove troveranno casa coloro che in città devono lavorare, studiare, invecchiare?».
Delpini avanza una critica all’egoismo di una società ricca a scapito di altri: «Come si può giustificare un sistema di vita che pretende il proprio benessere a spese delle risorse altrui? Come si può immaginare una civiltà che si chiude e muore e lascia morire popoli pieni di vita?».
Attenzione alla complessità
«Elogio l’inquietudine perché pensieri, decisioni, interventi siano attenti alla complessità e là dove sembra produttivo e popolare essere sbrigativi e semplicisti, istintivi e presuntuosi, l’inquietudine suggerisca saggezza e disponibilità al confronto, studio approfondito e concertazione ampia, per quanto possibile».
L’elogio del realismo della speranza
Fin qui l’inquietudine manifestata dall’Arcivescovo, che però «non è un’inclinazione depressiva che può paralizzare il pensiero e l’azione nell’incertezza e nello scontento. È piuttosto un rimedio per contrastare la soddisfazione narcisista che si assesta in un egocentrismo rovinoso. Il confronto con “gli altri”, l’ascolto del gemito, la costruzione di rapporti fondati sulla stima, sull’attenzione, sulla riconoscenza, sono fattori di quell’umanesimo realista che rende desiderabili la convivenza civile e i rapporti tra i popoli».
Vocazione alla fraternità, l’illusione dell’individualismo
Diverse le motivazioni che propone l’Arcivescovo con l’elogio del realismo della speranza. Innanzitutto quando «riconosce la vocazione alla fraternità iscritta in ogni vita umana. Il realismo della speranza smaschera l’illusione dell’individualismo, forse la radice più profonda dell’infelicità del nostro tempo».
Tutela della salute e cura dei più fragili
Propone inoltre l’elogio del realismo della speranza «che consente di affrontare la tutela della salute e il prendersi cura nelle situazioni limite della malattia».
L’assurdità della guerra
Per l’Arcivescovo è necessario porre l’attenzione a consolidare relazioni internazionali impostati sul rispetto e la costruzione di una pace duratura: «Voglio fare l’elogio del realismo della speranza che interpreta i rapporti tra le nazioni come condizione necessaria per rendere abitabile il pianeta e promettente il futuro… Non possiamo lasciarci rubare la speranza: crediamo alla promessa della vocazione alla fraternità di tutti gli abitanti del pianeta. Non possiamo rinunciare al realismo: percorriamo e incoraggiamo a percorrere le vie della diplomazia, della preghiera, della reazione popolare alla guerra, agli affari sporchi che la guerra favorisce».
Solidarietà, principio rivoluzionario
Le terre ambrosiane sono storicamente ricche di solidarietà. Eppure anche su questo punto l’Arcivescovo mette in guardia. «Voglio fare l’elogio del realismo della speranza per incoraggiare il pensiero e l’azione a interpretare la vocazione della nostra terra alla solidarietà. In molti modi le risorse sono state condivise: il tempo è diventato dono per il volontariato, le risorse economiche sono diventate supporto per opere di carità, gli spazi sono diventati luoghi per accogliere. È necessario però riconoscere ed evitare di praticare la “generosità del superfluo” o “degli avanzi”. Soprattutto in un settore che vede tutti impegnati in modo diretto e prioritario: l’assistenza ai fragili e la cura dei sofferenti. La gran parte delle risorse delle nostre istituzioni è investita in questo settore».
L’elogio della politica
L’Arcivescovo ringrazia chi è impegnato nelle istituzioni e nei ruoli di maggiore responsabilità. «Mi sembra che coloro che hanno responsabilità per il bene comune coltivino quel realismo della speranza che incoraggia ogni giorno a fare il proprio dovere, a pensare, a dialogare, a decidere, a interrogarsi sulle vie da percorrere. Chi ha responsabilità, infatti, deve guardare lontano».
La democrazia rappresentativa
L’Arcivescovo tesse invece le lodi del sistema democratico fondamentale per la convivenza civile, ricordando le radici della Costituzione nata dalla Resistenza: «Voglio fare l’elogio della politica che si esprime nella democrazia rappresentativa, il sistema costituzionale in cui viviamo, esito di un doloroso travaglio, della tragedia della guerra, dell’oppressione della dittatura, della sapienza dei legislatori». Va colmata la distanza tra chi è impegnato in politica e il cittadino: «L’elogio della democrazia rappresentativa chiede che ci sia un impegno condiviso per contestare e correggere la sfiducia che è presente in chi non vuole essere coinvolto, si chiude nel proprio punto di vista e non si interessa degli altri, pretende che siano soddisfatti i propri bisogni ma non si cura del bene dell’insieme».
Rilanciare la partecipazione
Per questo è fondamentale che tutti si sentano protagonisti e responsabili rilanciando un termine forse antico, ma ancora così carico di prospettiva: la partecipazione: «…che discute, ascolta, offre le proprie idee, pretende supporto per le forme di aggregazione e di presenza costruttiva nel sociale per prendersi cura degli altri, soprattutto di quelli che non contano, non parlano, non votano».
Prendersi cura del bene comune
In conclusione l’elogio di chi è impegnato per il bene comune: «Voglio fare l’elogio di voi, uomini delle istituzioni, onesti, dedicati, responsabili, espressione di una democrazia seria, faticosa e promettente, decisi a far funzionare il servizio che i cittadini vi hanno affidato. Voglio fare l’elogio di voi, che sapete che cos’è il bene comune e lo servite. Faccio il vostro elogio, perché io vi stimo».
Il testo integrale del Discorso alla città 2022 è intitolato «E gli altri? Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico» ed è disponibile nelle librerie o sul sito www.chiesadimilano.it
Mi viene segnalato un intervento radiofonico di Massimo Recalcati (Il mondo nuovo, Radio1, 25/10/2022), psicanalista che si dichiara non credente, ma attento ai fenomeni della religione.
Dopo avere sottolineato aspetti prevedibili, anche se fonti di angoscia – non sono più i figli a interrogarsi sull’amore dei genitori, ma sono i genitori a chiedere: mi vuoi bene? mi ami?; la tendenza a evitare ai figli esperienze di fallimento e smarrimento; il totalitarismo degli oggetti-cose per turare il “vuoto” indispensabile per la formazione – c’è un’osservazione sorprendente.
Dice: «Un tempo in una famiglia italiana normale pregare era un fatto, una consuetudine come la pioggia, la neve, il sole; i genitori non si interrogavano sul senso di questo rituale condiviso».
Il professore prosegue dicendo che, anche se i genitori oggi sono ovviamente liberi di decidere se insegnare o no ai figli a pregare, tuttavia tendono a delegare le decisioni di carattere fondamentale ad altri soggetti (scuola, chiesa ecc.).
Di per sé Recalcati cita la preghiera in famiglia solo come esempio. Ma lo inserisce nell’orizzonte più ampio dei criteri di vita che genitori ed educatori trasmettono alle nuove generazioni. Siamo interpellati anche come chiesa: la preghiera, e la stessa fede, non fanno parte del patrimonio vitale di tanti, inclusi i più piccoli. Il rimedio non è moltiplicare la quantità degli insegnamenti, ma la qualità dell’annuncio, della condivisione e della testimonianza
don Gianni
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