Autore: basilica

  • Caritas e carità

    Caritas e carità

    Non c’è dubbio che Caritas oggi sia un marchio importante o, come si
    dice, un brand decisivo per la chiesa.

    Caritas opera a tutti i livelli – internazionale, nazionale, diocesano e parrocchiale – e copre tutte le aree che toccano il mondo della povertà: lavoro, casa, alimentazione, stranieri, carcere, salute mentale, disabilità, persone senza fissa dimora, dipendenze da alcool e stupefacenti, educazione alla pace. Con la rete dei Centri di Ascolto è in grado di elaborare una visione completa della diffusione della povertà e dei concreti bisogni presenti in un territorio.

    E, infatti, annualmente Caritas Italiana, e anche Caritas Ambrosiana, offrono documentatissimi rapporti sulle situazioni di povertà, con dati statistici che non possono essere ignorati né dalla politica, né dai mezzi di informazione.

    Accanto ai volontari operano persone con approfondite competenze che sanno
    affrontare correttamente i casi più diversi e supportare anche le parrocchie di periferia nella ricerca di soluzioni adatte a chi è nel bisogno. Un grande lavoro con enormi risultati positivi.

    L’obiettivo che ancora fatica a essere raggiunto, difficile da organizzare e programmare, è ciò che stava a cuore all’ispiratore di Caritas, san Paolo VI: fare di questo organismo ecclesiale il motore per lo stile di vita di ogni cristiano, che nel dono di carità al prossimo – dono di tempo, di ascolto, di compagnia, talvolta anche di denaro – trovi l’espressione più vera della propria fede.

    don Gianni

  • Il pensiero della settimana

    Il pensiero della settimana

    Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

    Oggi è l’ultima domenica dell’anno liturgico e la Chiesa ci fa celebrare la
    festa di Cristo Re dell’Universo e Pastore della Chiesa.

    Gesù è il re nel senso biblico: Gesù vince ogni opposizione, anche la morte. Ma questo non l’ha fatto sentire sopra di noi, nostro padrone: Gesù accetta il titolo di re solo sulla Croce, quando dona tutto se stesso per gli uomini, per il suo gregge.

    Alla fine della vita Gesù sarà giudice, ma il suo sarà un giudizio che arriva dopo un lungo lavoro di amore e di perdono.

    Gesù non manda nessuno all’inferno, però rispetta la nostra libertà e si allontana da noi solo se non l’abbiamo voluto. I sudditi di questo re sono persone libere, volontarie e corresponsabili che seguono Gesù nel suo stile di vita, di donazione
    e condivisione, capaci di riscoprire ed onorarlo in ogni persona. Questa è la cosa più difficile: Gesù viaggia sempre in incognita. Uno dei peccati più frequenti che possiamo fare è quello della “distrazione”, non tanto nella preghiera, quanto nella vita. Il giudizio sarà su questa domanda: siamo stati capaci di riscoprirlo in chi indossa i panni di tutti i giorni, nei volti normali, magari i meno belli?

    Oggi è la Giornata diocesana Caritas: è l’occasione per verificare se siamo “sudditi” secondo il cuore di Gesù, con il cuore attento al fratello che ha bisogno. La Caritas ha il compito di richiamarci continuamente a questo stile di vita e di aiutarci a realizzarlo. A Gesù, che nell’Eucarestia si offre come “pane spezzato”, chiediamo la capacità di spezzare, a nostra volta, il pane ai fratelli.

    don Alberto

  • GEOGRAFIA PASTORALE D’AVVENTO

    In Avvento riprendiamo contatto con i luoghi che frequentiamo per la preghiera, riconoscendone il senso e il rimando liturgico che essi ci affidano. Guarderemo con semplicità ai luoghi primari (altare, ambone, cattedra) e secondari (battistero e tabernacolo) ed in prima battuta l’aula assembleare, quella che normalmente riduciamo a “chiesa”. Lo scopo è rileggere quello che già frequentiamo ma con uno sguardo diverso, comprendendo il senso della loro architettura e il rimando più profondo alla teologia pastorale che li accompagna.

    L’aula della assemblea

    La chiesa in quanto domus Ecclesiæ è costituita come spazio per il popolo di Dio che si raduna per la celebrazione della liturgia.

    Non è quindi una platea per spettatori, ma uno spazio per fedeli che, ciascuno secondo il proprio ruolo ministeriale, sono veri e propri protagonisti dell’azione rituale. Pensiamo al fatto che con il battesimo TUTTI siamo diventati SACERDOTI, cioè “celebranti”. È lo spazio per il popolo di Dio in preghiera, preghiera di cui questo popolo è attore in prima persona. L’assemblea liturgica è, infatti, il popolo sacerdotale che nella sua totalità, pur nella differenziazione dei ministeri, in forza del Battesimo e della Cresima, è deputato alla celebrazione della liturgia cristiana. É molto importante ricordare, ora, ciò che a questo riguardo scrive il Concilio, e cioè che ogni celebrazione liturgica è «opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa» (SC 7).

    Parlando dell’assemblea liturgica, ci riferiamo al soggetto della liturgia nella sua componente umana, che, in quanto inserita in Cristo, agisce a pieno titolo nella celebrazione liturgica cristiana. Di conseguenza, il luogo di culto è la domus Ecclesiæ, lo spazio per il popolo di Dio in preghiera, inteso come uno spazio aperto dove la Trinità è il protagonista qualificante. Accanto alla globalità dell’assemblea liturgica è da considerare il ruolo di coloro che svolgono un ministero specifico. Si
    tratta del presidente dell’assemblea, ordinariamente il vescovo o il presbitero, i diaconi, i lettori, gli accoliti, i ministranti, i ministri musicali (coro, salmista, solisti, organista/strumentisti). Lo spazio che viene occupato da tutti questi soggetti è espressivo del loro servizio ministeriale, a significare non la separazione dal resto dell’assemblea ma la distinzione del compito specifico che viene esercitato.

    Possiede un ruolo rilevante lo spazio chiamato “presbiterio” o “area presbiteriale”. Quest’area è qualificata dalla presenza dell’altare e, eventualmente ma non necessariamente, anche dell’ambone e della cattedra. Per l’importanza primaria delle azioni che vi si svolgono e degli spazi rituali che lo costituiscono, il presbiterio deve essere distinto come un’area qualificante, sebbene non separato, dal resto dell’aula liturgica.

    don Flavio Speroni

  • Fatti di Voce

    Fatti di Voce

    Chiamati ad essere evangelizzatori, testimoniamo con passione il nostro essere cristiani nei luoghi che frequentiamo, con le persone che incontriamo. É questione di “fatti” che si realizzano, di incontri che accadono, di parole che ricordano, grazie allo Spirito, la Parola. La nostra voce diventa allora strumento con cui Dio si fa vicino, dona la sua forza, ama,dà senso all’esistenza di ognuno.

    06 NOVEMBRE – A VIVA VOCE

    (Matteo 28,16-20) alle ore 15,30 – c/o Saveriani – Desio. Sarà previsto un incontro: “Andate e battezzate le nazioni…” testimonianza di padre Carlos Reinoso, missionario saveriano. Successivamente, ci sarà un commento al dipinto “Il falso specchio” di R.Magritte, a cura di Letizia Casati

    4 DICEMBRE – GIORNATA DELL’ADESIONE

    alle ore 15,30 – c/o Casa Parrocchiale della Basilica – Desio è previsto un momento di preghiera, seguito dall’intervento di Maria Malacrida (vicepresidente Adulti AC ambrosiana).
    Verranno consegnate le tessere.

  • Meglio santi

    Meglio santi

    «Non sono un/una santo/santa»: quando ci si deve giustificare per un’arrabbiatura o per aver trascurato qualche appuntamento di preghiera, si dice così.

    Già, perché si assimila il “santo” a padre Pio con la sua tonaca francescana e il suo volto mite e rigoroso, o a Teresa di Lisieux, con il suo sorriso infantile e gli occhi pieni di Dio. Poi si va a studiare meglio la vita dei santi e si vengono a conoscere i loro momenti di dubbio, di incertezza, o alcuni caratteri non sempre accomodanti. Due tra i più famosi, Francesco di Assisi e Ignazio di Loyola, hanno cominciato cercando la gloria del mondo nientemeno che in imprese militari, per fortuna (nostra!) miseramente fallite.

    Il primo passaggio per la santità è la coscienza – precisa, non approssimativa – del proprio peccato, cioè dell’incolmabile distanza da Dio, l’unico veramente Santo. Una distanza che viene ridotta non dagli sforzi mistici e morali della persona, ma dal dono che viene dall’alto: il dono della fede, del sapere che a Dio la vita può essere totalmente affidata e che ogni peccato potrà essere perdonato.

    Tra loro i primi cristiani si chiamavano “santi”, senza vanto, certi di formare una comunità di fratelli e sorelle, dove favorire la buona vita di ciascuno. E certi di un destino che nella fede in Gesù Risorto supera, pur temendola, la morte. E per evitare da subito la “morte secunda”, che non tocca “quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati”, come scrive san Francesco nel suo Cantico.

    don Gianni

  • Il pensiero della settimana

    Il pensiero della settimana

    La parabola del Vangelo è una lettura della storia della salvezza: i primi invitati al banchetto sono gli Ebrei, ma a questo segno di elezione alcuni rispondono con indifferenza, rifiuto, perfino ostilità violenta.

    A questo punto c’è il castigo e la chiamata alla salvezza anche dei pagani.
    Nella parabola si evidenzia l’amore gratuito, totale di Dio che chiama ogni uomo a partecipare alla sua gioia.

    Si sottolinea, insieme alla chiamata, la risposta dell’uomo. L’invito al banchetto ha risposte diverse: c’è chi lo rifiuta perché non è disposto a mutare il centro d’interesse della propria vita. C’è chi, invece, lo accetta, ma non ne capisce il significato: l’amore del Signore è qualcosa che rinnova e, se accettiamo questo amore, ”la veste” della nostra vita deve cambiare.

    Matteo non specifica in che cosa consiste questa veste nuziale: ma ognuno di noi quando entra in comunione con Dio, deve cambiare.

    Il Signore ci conosce profondamente: sa quanto è difficile per noi lasciarci amare, per questo ha voluto che ci fosse un banchetto, segno, richiamo, anticipo di quel Banchetto Eucaristico a cui ci invita.

    Anche noi a questo banchetto, talvolta forse abbiamo preferito altre cose…
    Ma il Signore non si stanca, continua a chiamarci, vuole che diventiamo partecipi della sua gioia, si fa cibo per noi.

    Chiediamo al Signore di saper sempre vivere con fede e speranza l’Eucaristia, ogni domenica, nell’attesa di partecipare, alla fine, al Banchetto celeste.

    don Alberto

  • Commemorare i defuntie i santi (sempre)!

    Commemorare i defunti
    e i santi (sempre)!

    La festa di Ognissanti e la commemorazione di tutti i fedeli defunti (1 e 2 novembre) ci invitatano ad approfondire il senso della vita e della morte.

    Nelle nostre case sono presenti le fotografie dei familiari defunti. A volte, sulle pareti o sui mobili di alcune camere, si trovano anche le immagini dei santi a cui siamo più devoti. Abbiamo bisogno che i nostri occhi incrocino il loro sguardo, per ravvivare la fiamma d’amore che cova sotto la cenere.

    Quando ci rechiamo presso la tomba dei nostri cari abbiamo il desiderio di continuare a parlare con loro, così come facevamo quando erano accanto a noi. Questo colloquio diventa preghiera, perchè sappiamo che loro vivono presso il Signore e Lui può rendere sempre nuovo questo legame.

    Anche con i santi si innesca un procedimento simile; a volte li abbiamo incrociati durante la giovinezza, altre volte li abbiamo conosciuti tramite la televisione o un episodio della loro vita letta su un giornale … Il Signore ce li fa ritrovare in maniera improvvisa, soprattutto quando c’è un dispiacere che ci consuma. Proprio in queste circostanze è sufficiente il loro sguardo, oppure una frase incisiva che ci hanno trasmesso, per mettere la pace di Dio nel nostro cuore.

    In questi anni però ci accorgiamo che stanno diminuendo sia i pellegrinaggi nei luoghi dove sono vissuti i santi più famosi, sia la visita frequente ai cimiteri per ricordare i propri defunti. Sono tanti i motivi che possono spiegare questo fenomeno: la secolarizzazione; la vita più intensa che lascia solo poche pause lungo la settimana …

    Io penso che ci sia anche un’altra motivazione: è lo sgomento che ci prende quando sperimentiamo accanto a noi la realtà della morte. Sappiamo che anche noi dovremo morire, ma non riusciamo a meditare su questo argomento in modo maturo. Istintivamente allontaniamo questo pensiero con parecchi espedienti: ci illudiamo di essere ancora giovani; contro le malattie prendiamo tante precauzioni; il rischio della guerra riguarda sempre altri popoli …

    Nel momento in cui si immaginano il proprio futuro, per molti cristiani, che pure credono che Gesù è risorto da morte, anche la speranza nella vita eterna rischia di rimanere un miraggio.

    Quando durante un funerale i nipoti promettono al nonno che non lo dimenticheranno mai, sembra che, senza il loro ricordo, questa persona scomparirà per sempre.

    Invece i credenti sanno che Gesù è il Signore dei vivi e dei morti; per questo in Lui, che è vivo per sempre, questa comunicazione con i santi e i defunti è un’opportunità perenne.

    don Sandro