Autore: don Alberto Barlassina

  • VI dopo Martirio di San Giovanni

    Il Vangelo di oggi suscita in noi una reazione istintivamente negativa: il padrone è giusto con tutti, inspiegabilmente più generoso con alcuni. Ma una parabola non può essere certamente presa alla lettera, come sistema di conduzione sindacale di un’azienda. La parabola ci ricorda che Dio non può essere giudicato secondo le nostre categorie, con la tentazione di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza, un idolo. La 1a e la 2a lettura sottolineano che il nostro è un Dio che salva gratuitamente e per amore, che ci invita ad andare a Lui perchè solo in Lui si trova la salvezza.

    Dio vuole la nostra collaborazione, vuole avere bisogno di noi. Se ha una preferenza, ce l’ha per gli ultimi, per quelli che alla fine della giornata non hanno ancora trovato lavoro: per il Padrone questi sono i più sfortunati.

    Di fronte a un Dio che manifesta in questo modo la sua bontà, quale è il nostro atteggiamento? Purtroppo non riusciamo ad accettare questo comportamento di Dio pronto a perdonare, a cominciare da capo. Preferiremmo un Dio fiscale che, secondo i nostri schemi, dia poco o tanto Paradiso a seconda del nostro giudizio: più facile accettare la giustizia di Dio che la sua misericordia.

    Dobbiamo riscoprire che la vita è un dono, saperci meravigliare che Dio si interessi di noi, ci perdoni. Abbiamo bisogno di ascolto della Parola, di preghiera; dobbiamo sentirci tutti chiamati a condividere i nostri doni, a preoccuparci della vigna che per noi potrebbe essere la parrocchia o l’oratorio.

    don Alberto

  • V dopo Martirio di S. Giovanni

    La pagina di vangelo di oggi è spesso ridotta ad un invito generico di Gesù ad avere compassione per chi ha bisogno. Dovremmo chiederci se, di fronte ad un povero o ad un bisognoso, saremmo disposti a spendere tempo e soldi come il samaritano.
    Alla domanda “che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù esalta i due comandamenti che sono l’uno prova dell’altro: il primato è per Dio (v. 1a Lettura), ma l’amore verso Dio deve riflettersi sul prossimo.
    Non è sempre così: il modello della carità è un samaritano, ritenuto un impuro per razza e per fede, e non un dottore della legge, un fariseo o uno del clero.
    Alla domanda “chi è il mio prossimo?”, Gesù non risponde con un elenco di persone, ma ricorda che prossimo è la persona che vuole amare. Ed è un amore che non ha misura: attento, premuroso, disponibile, concreto. Il Card. Martini nella sua Lettera pastorale Farsi prossimo, indicava tre pericoli: la fretta (non si ha tempo per scoprire le povertà), la paura (di essere più coinvolti nel dono di sé) e infine, l’alibi e la delega, (ho altro da fare, e quindi deleghiamo la Caritas…).
    La carità è qualcosa di essenziale alla vita cristiana.
    L’amore del samaritano è l’amore del Signore: ha compassione, si fa uno di noi per guarirci dal peccato, e diventa pane per noi. Chiediamo a Gesù, buon samaritano, di rendere il nostro cuore capace di vera “com-passione”, di soffrire con le persone vicine, di donare il nostro tempo e il nostro aiuto, ma soprattutto il nostro cuore. don Alberto

  • II dopo Martirio di S. Giovanni

    La pagina di Vangelo di oggi narra la guarigione di un uomo paralizzato da 38 anni. I nemici di Gesù, invece di lodare Dio per la guarigione avvenuta, accusano Gesù di aver trasgredito la legge perché ha operato di sabato. Gesù li invita a riflettere per riscoprire nella sua persona il Mandato dal Padre, il Salvatore, ma costoro non vogliono accettare i miracoli che egli fa.
    Quali insegnamenti ci può dare questo brano?

    Il primo è che dobbiamo avere un cuore libero e disponibile, nel dialogo con Dio e con gli altri.

    Gesù parla a tutti, ma lo ascoltano solo i poveri e gli ultimi. Oggi il Signore ci parla attraverso le Scritture, la sua Chiesa e le persone che incontriamo. Ma non siamo abbastanza umili per ascoltare: quando la Chiesa parla selezioniamo quanto dice, accettandola solo quando il discorso coincide con le nostre idee. E, ancora, quante volte quando ragioniamo con gli altri, il nostro impegno non è quello di ascoltare e capire il loro pensiero, ma di preparare la risposta in modo che l’ultima parola sia la nostra?

    Un altro insegnamento riguarda la testimonianza.

    Gesù dice: non volete credere alle mie parole, credete alle opere che faccio. Non si limita a dire di essere il Figlio di Dio, lo dimostra con la sua vita. Questo è un richiamo per noi: non basta parlare bene, se poi le nostre opere non sono coerenti con la nostra fede.
    Chiediamo al Signore un cuore umile, disponibile all’ascolto e che ci dia la forza per essere suoi testimoni con la nostra vita.

    don Alberto

  • I dopo Martirio di S. Giovanni

    Fino ad ora nelle letture abbiamo ripercorso la storia della salvezza attraverso le figure più significative, che trovano la loro realizzazione in Gesù. Da oggi, nella 2a parte del Tempo dopo Pentecoste, il protagonista è Gesù, che si rivela nel suo mistero di Dio, fatto uomo, per salvarci.

    Questa domenica ci riporta la testimonianza del precursore, Giovanni Battista, di cui abbiamo ricordato il martirio mercoledì scorso.

    Per comprendere il brano del Vangelo, dobbiamo rifarci alle usanze di quel tempo: il 1° Testamento usa spesso l’immagine dell’amore coniugale per esprimere l’amore di Dio per Israele. Per Giovanni Battista lo sposo è Gesù, la sposa è il Popolo di Dio.

    Inoltre il brano di oggi ci riporta all’usanza dei matrimoni in Palestina: il migliore amico dello sposo lo aspetta a casa della sposa ed è lui a comunicarne l’arrivo: nel Vangelo, il miglior amico è Giovanni Battista, che annuncia lo sposo, Gesù.

    Cosa dicono queste pagine, oggi, a noi? Giovanni Battista è consapevole della sua missione: preparare la venuta e annunciare il Messia.

    Dovrebbe essere l’atteggiamento di ogni educatore: aiutare a far conoscere Gesù, lasciando, poi, che ognuno segua la sua strada.

    Un altro aspetto è la verifica del nostro rapporto col Signore, prendendo ad esempio l’immagine dell’amore sponsale. Non un rapporto cerebrale o formale ma un amore disinteressato, vissuto con il cuore. Chiediamo al Signore, di convertire il nostro cuore alla sua Parola e al suo amore.

    don Alberto

  • XI dopo Pentecoste

    XI dopo Pentecoste

    Il Vangelo parla a ciascuno di noi, ma il pericolo è che interpretiamo la Parola indirizzata ai contemporanei di Gesù. La lettura storica della parabola fa notare come, al rifiuto del popolo eletto, i vignaioli ingrati, il Regno di Dio è dato ad altri vignaioli che sono i pagani. Questi, oggi, siamo noi e la vigna che ci viene data è un dono.

    Per vigna intendiamo l’amore di Dio per noi che si esprime in infiniti doni: la vita, la fede, una famiglia, il lavoro… tutto è dono e grazia.

    Doni da far fruttare, talenti da spendere bene, di cui dobbiamo rendere conto poiché non siamo i proprietari, ma abbiamo tutto in usufrutto e per questo stiamo attenti perché anche a noi potrebbe essere sottratta la vigna o potremmo diventare rami secchi, tralci avvizziti, sia come singoli che come comunità.

    E dobbiamo stare attenti, come dice il profeta Elia, a non diventare idolatri, a confondere Dio con qualcuno o qualcosa. Siamo idolatri quando facciamo diventare una persona, una cosa (carriera, denaro, piacere) il valore assoluto cui sacrificare la nostra vita. Pensando alla vigna e al profeta Elia, proviamo ad interrogarci se la nostra preghiera ha come caratteristica la riscoperta dei doni e, quindi, la riconoscenza, la gratitudine o la richiesta e il lamento? Oppure: Dio è al centro della mia vita o c’è qualcuno o qualcosa che ha preso il suo posto? Se abbiamo sbagliato non scoraggiamoci. Dio non è un giudice che ci condanna, ma un Padre che aspetta il nostro ritorno.

    don Alberto

  • VI dopo Pentecoste

    Questa domenica la Liturgia ci fa riflettere su Mosè, la guida del popolo eletto, il protagonista dell’Esodo dall’Egitto alla Terra promessa. Se Abramo è l’Uomo di fede, Mosè è l’Uomo alla ricerca del mistero di Dio. Mosè si trova nel deserto, in fuga dall’Egitto, quando è scosso dal roveto ardente e ascolta la voce di Dio. Mosè chiede: “chi sei tu, qual é il tuo nome” e Dio gli ricorda che non può avere un nome che lo definisca e lo limiti: “Io sono colui che sono”.
    È il Dio che ha un disegno di liberazione e per questo chiede la collaborazione di Mosè assicurandogli: “Io sarò con te, non ti abbandonerò!”

    Il mistero di Dio si rivela pienamente in Gesù. Nel Vangelo Gesù ricorda che Dio è un mistero: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.” Ma Gesù ci rivela Dio entrando nella storia.

    Gesù è Dio attento all’uomo, stanco e oppresso: è un Dio che si china sull’uomo per liberarlo da ogni schiavitù (spirituale, fisica, sociale).

    È un Dio mite e umile di cuore che ci chiama, come Mosè, per collaborare a liberare l’uomo di oggi da tutte le sue schiavitù. Interroghiamoci seriamente, pensando agli esempi di Mosè e Gesù.
    Il Dio in cui credo è un Essere astratto o è un Dio dentro la storia del popolo eletto, della Chiesa, della mia storia?

    Ho avuto anch’io l’esperienza del roveto ardente, di un incontro con Dio che mi ha rivelato il suo amore? Mi sento anch’io inviato ad annunciare agli altri questo amore, a collaborare per un mondo più giusto e fraterno?

    don Alberto

  • V dopo Pentecoste

    La liturgia ambrosiana nelle domeniche dopo Pentecoste ci fa ripercorrere la storia della salvezza attraverso i suoi personaggi più importanti.
    Questa domenica, con la figura di Abramo, ci presenta il capostipite del Popolo eletto, modello dell’uomo di fede, premessa dell’Alleanza, della salvezza.

    Abramo si fida di Dio: crede alla possibilità di una discendenza anche se Sara è  sterile; lascia la sicurezza del suo clan per recarsi nella Terra promessa; è disposto a sacrificare l’unico figlio quando Dio glielo chiede.
    La fede è anche il tema del Vangelo in cui Gesù si presenta come la “Luce del mondo” che si può accettare o rifiutare.

    C’è chi lo rifiuta, perchè Gesù non rientra nei suoi schemi.

    C’è chi lo accetta, ma non si espone perchè non vuole la scomunica dalla Sinagoga.

    C’è chi crede, e questo è dono dello Spirito Santo.

    Sono situazioni che si ripetono anche oggi, magari nella stessa persona.
    C’è chi lo rifiuta apertamente rifiutando la divinità, la risurrezione, non vivendo la sua proposta di vita.

    C’è chi ha paura a manifestare la propria fede per non sentirsi emarginato.
    Per costoro, la fede è qualcosa di intimo che non ha nulla da dire alla vita sociale.

    Ma noi vogliamo essere tra coloro che credono alla parola di Gesù che ci viene richiamata dalla Chiesa e la vivono ogni giorno attraverso i valori che ci sono stati trasmessi. Esaminiamo la nostra vita e facciamo nostra la preghiera di Pietro “Signore accresci la mia fede”.

    don Alberto

  • IV dopo Pentecoste

    La parabola del Vangelo di oggi sottolinea l’amore gratuito di Dio che chiama ogni uomo a partecipare alla sua gioia (il banchetto è ricco e abbondante). L’immagine del banchetto, frequente nella Bibbia, è segno della predilezione di Dio che vuole condividere con noi la sua mensa. Ma la risposta dell’uomo a questo invito suscita reazioni diverse.
    C’è chi lo rifiuta, anche se è un onore, perché non è disposto a mutare il centro d’interesse della propria vita. Gli invitati vanno ai propri campi, ai propri affari, anzi, qualcuno insulta ed uccide i servi meritando il castigo.

    C’è chi l’accetta senza capirne il significato e non vuole indossare l’abito nuziale. L’amore del Signore è qualcosa che rinnova, cambia e, se accettiamo questo amore, “la veste” della nostra vita deve cambiare. L’evangelista Matteo non specifica in che cosa consiste questa veste nuziale: ognuno di noi ha la sua storia, i suoi pregi, i suoi difetti. Certo è che ciascuno di noi, quando entra in comunione con Dio, deve cambiare.

    Ma il Signore ci conosce bene e sa quanto è difficile per noi lasciarci trasformare dal suo amore, e per questo ha voluto un Banchetto, segno, richiamo: quello eucaristico, la Santa Messa.

    A questo Banchetto siamo chiamati ogni domenica.

    Anche noi a questo banchetto, forse, abbiamo preferito, altre cose. Chiediamo al Signore che ci faccia vivere con fede questo momento ogni domenica, nell’attesa di poter partecipare al banchetto celeste.

    don Alberto

  • Santissima Trinità

    La SS. Trinità è il mistero centrale della nostra fede e ci diversifica dalle altre religioni monoteiste: il nostro Dio è Padre e Figlio e Spirito Santo.
    È un mistero che richiamiamo continuamente: quando facciamo il segno della Croce è “nel nome” della Trinità e anche tutti i sacramenti sono amministrati nel nome della Trinità.

    È il mistero che ci ha rivelato Gesù, con la sua parola e la sua vita: il Figlio, fatto uomo, ha manifestato l’amore del Padre e con Lui ci ha donato lo Spirito Santo.

    Ma questo mistero sembra un teorema irrisolvibile, più che una “bella notizia” che interessa la nostra vita.

    Definire la Trinità un mistero, istintivamente ci toglie, forse, la volontà di approfondimento, dimenticando che un mistero non è una verità contro la ragione, ma sopra la ragione.

    Se leggessimo con attenzione e amore la Bibbia scopriremmo che il mistero dell’unico Dio in tre Persone appare nel disegno di salvezza di Dio lungo tutta la storia umana. La Trinità si manifesta nei tempi di questa storia: il Padre si rivela nella Creazione, Gesù nella redenzione, lo Spirito nella vita della Chiesa.

    Nel primo capitolo della Genesi leggiamo che siamo stati creati “a immagine e somiglianza di Dio”: se Dio è comunità di amore, se è “tre Persone” che si conoscono, si parlano, si donano totalmente l’una all’altra, l’uomo sarà il riflesso di Dio quando conosce, parla, si dona, in una parola quando ama e fa comunità con gli altri.

    don Alberto

  • Pentecoste

    La liturgia di oggi nel Salmo responsoriale recita “del tuo Spirito, Signore, è piena la terra”. La Pentecoste, il fatto avvenuto 50 giorni dopo la Pasqua e narrato nella prima lettura, ci fa constatare questa presenza, il dono che è lo Spirito e di come opera nella nostra vita. È nella presenza dello Spirito che si fonda la speranza della Chiesa: lo Spirito è l’anima della vita della Chiesa. Senza lo Spirito la Parola, i Sacramenti, sarebbero riti e gesti senza vita.
    Che cosa opera in noi lo Spirito Santo? Innanzitutto il dono della comunicazione: gli Atti degli Apostoli ci narrano di persone che si capiscono nonostante siano di provenienza diversa.

    Il comunicare esige coinvolgimento e ascolto: è lo Spirito che, ieri come oggi, dà la forza di capire l’altro e da capacità di dialogo.

    Un altro dono è quello dell’unità. Nella seconda lettura ben nove volte ricorre “uno solo”. Siamo diversi l’uno dall’altro, ci sono affidati incarichi diversi, siamo membra diverse, ma uno solo è il Signore, uno solo è Dio: siamo un corpo solo!

    Infine, il dono della forza, rappresentata dal “vento gagliardo”.
    Gli Apostoli hanno affrontato un mondo ostile o indifferente: erano una piccola minoranza chiamata ad essere sale e lievito nel mondo.

    Anche oggi i cristiani si avviano ad essere una minoranza. Ma proprio la Pentecoste ci ricorda che la forza del cristianesimo non sta nel numero ma nella presenza dello Spirito Santo e nel lasciarsi trasformare da Lui.

    don Alberto