Autore: don Alberto Barlassina

  • Domenica II di Avvento

    L’Avvento è un corso di Esercizi spirituali in preparazione al Natale: i maestri che predicano sono Isaia, Giovanni Battista e Maria. Isaia è il profeta che più a fondo ha rivelato la natura del Messia, come l’Emmanuele (il Dio con noi) e come il Servo di Jahwè, (la sofferenza del Messia, nel mistero
    della Croce).

    Di Maria parleremo, nella festa dell’Immacolata, e nell’ultima domenica di
    Avvento, contemplando la Divina Maternità di Maria.

    Giovanni Battista è il protagonista del Vangelo di oggi, l’ultimo, il più grande dei profeti. Egli ci insegna che il Natale esige conversione. Dobbiamo “preparare la via del Signore e raddrizzare le strade”, cioè verificare la nostra condotta. Un Natale che non ci cambia non è un Natale cristiano: Gesù non viene per un viaggio di piacere, ma per rivoluzionare il mondo, in
    cui la legge diventa il servizio e l’amore, e non il dominio e l’odio. Uno dei momenti più importanti sarà il sacramento della Riconciliazione dove
    Gesù stesso opererà questa conversione.

    Il Natale secondo Giovanni presuppone il deserto che è la premessa e la condizione della riflessione e della conversione. Ma il Natale ha bisogno di tanti Giovanni Battista: ogni cristiano deve essere come Giovanni che
    prepara la strada a Gesù, che lo predica con la vita. Gesù è venuto a dirci che Dio è Padre di tutti e che, proprio perchè è Padre, gli altri sono fratelli: la nostra preghiera deve essere più filiale e la nostra solidarietà più concreta.

    don Alberto

  • Cristo Re dell’Universo

    A prima vista, la festa di Cristo Re sembra un po’ strana. Il brano di Vangelo parla della Croce, in un momento in cui non c’è nessuno che crede nella sua regalità: la folla è indifferente; i capi religiosi, i soldati, uno dei due malfattori sono concordi nell’insultarlo…

    L’unico che fa un atto di fede nella sua regalità è il ladrone. Gesù è il primo per la sua natura di Figlio di Dio. Parecchie volte hanno tentato di farlo re (dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la domenica delle Palme), ma Gesù si è sempre sottratto: ha accettato il titolo di re solo sulla Croce. La scritta che siamo abituati a vedere sopra il Crocifisso, lo dichiara. Gesù vede il suo essere re come colui che ama i suoi sudditi, fino a morire per loro, perdonando i loro peccati. Chi sono i sudditi? non sono definiti in base a un territorio, ma sono tutti volontari. Gesù chiede “se vuoi” e da questa risposta dipende essere suoi sudditi.
    Per essere suoi sudditi bisogna essere peccatori. Al Battesimo Gesù si mette in fila con i peccatori e sulla Croce è in mezzo ai ladroni.

    Che cosa è il Regno di Dio? È Gesù con tutti quelli che vivono come Lui, che si sentono amati dal Padre, che vivono la vita come dono, che, se comandano, vedono il loro potere come servizio; che sanno perdonare chi li mette in croce; che sanno scoprire il volto di Gesù nel volto di un poveraccio e che, se hanno una preferenza, l’hanno per gli ultimi.

    Adorando Cristo re dell’Universo, chiediamogli di essere suoi sudditi gioiosi, testimoni del suo amore.

    don Alberto

  • II dopo la Dedicazione

    La Liturgia di oggi completa quella della scorsa domenica: dal “Mandato missionario” alla partecipazione delle genti alla salvezza.
    Nel Vangelo i servi hanno il comando di “condurre” tutti al banchetto, anche quelli che non hanno nessun titolo per parteciparvi. Di fronte a questo invito, purtroppo, la risposta storica del popolo eletto è stata, in gran parte, di rifiuto. Ma tra coloro che sono stati chiamati in un secondo tempo ci siamo anche noi. Far parte di questo banchetto non è frutto della scelta di un momento: la risposta all’invito va confermata ogni giorno e in ogni situazione. È un dono essere amati da Dio, ma questo dono va compreso e accolto. Noi potremmo essere i protagonisti della parabola che, presi da mille cose, pur belle, non abbiamo tempo per pensare ai doni spirituali e tanto meno siamo disposti a cambiare la vita quando il dono dell’amore di Dio ci invita a condividere ciò abbiamo ricevuto.

    Ma dovremmo farlo, non per paura dei castighi minacciati, ma perché siamo contenti del dono ricevuto e vogliamo condividerlo con gli altri.

    Quando veniamo a Messa è per il desiderio di incontrare il Signore? Lo stare in Chiesa è un momento di gioia?
    Il ritorno a casa è con il sorriso di chi ha vissuto una bella esperienza?

    Quando facciamo qualcosa per gli altri siamo contenti che il Signore si è servito di noi per fare un po’ di bene? Siamo convinti che abbiamo condiviso un po’ del tutto che abbiamo ricevuto?
    Sia così per ciascuno di noi.

    don Alberto

  • I dopo la Dedicazione

    Nel Vangelo di oggi risuona il comando di Gesù: “Andate in tutto mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Perciò questa domenica è detta del “Mandato Missionario” e celebriamo quindi la “Giornata Missionaria”.
    Ma cosa dobbiamo annunciare? II Vangelo, la Bella Notizia: Gesù risorto. Nei brani della liturgia, troviamo molte indicazioni sulla missionarietà, caratteristica essenziale della Chiesa. Nella prima lettura, Filippo guidato dallo Spirito, incontra un uomo che sta leggendo Isaia, gli chiede se capisce il testo e alla richiesta dell’Eunuco, l’aiuta a capire che si parla di Gesù. Anche noi dovremmo camminare vicino agli uomini ed aiutarli a scoprire che tutte le attese e gli interrogativi della vita trovano una risposta in Gesù, così da suscitare in loro il desiderio dei Sacramenti. Chiediamo allo Spirito di donare a ciascuno di noi la forza e l’impegno per essere missionari.

    Oggi è anche l’occasione per ricordare i nostri missionari e pensare a come aiutarli: con la preghiera, perchè il Signore li sostenga nel compito bello, ma difficile, di annunciare il vangelo, incarnandolo nella cultura dei popoli a cui sono inviati; e con l’aiuto materiale, perché spesso c’è da assicurare il minimo per dare alle popolazioni più povere un’esistenza dignitosa.

    L’annuncio che, in Gesù, siamo tutti figli dello stesso Padre, il missionario lo fa con la Parola, con i Sacramenti, e con la sua testimonianza. E, anche noi, per essere davvero cristiani, dobbiamo scoprire il nostro “essere missionari”.

    don Alberto

  • Il Pensiero della settimana

    La liturgia celebra oggi la festa della Dedicazione della cattedrale, cioè l’anniversario della consacrazione del Duomo, detto cattedrale perchè il Vescovo, come successore degli Apostoli e Pastore del gregge, ha lì la sua sede e la sua cattedra.

    Il Duomo è il cuore della diocesi: in esso vengono consacrati gli Oli santi per i Sacramenti, e vengono ordinati i Sacerdoti.
    Nella Proposta pastorale, l’Arcivescovo ci invita a pregare e a collaborare perché la nostra Comunità sia profondamente unita, libera e testimone della gioia del Signore.

    La riflessione, inoltre, ci fa pensare alla nostra chiesa che dovremmo sentire come nostra “seconda casa”, in cui veniamo spesso, ci troviamo bene, preoccupandoci che sia bella e accogliente.

    Dio non ha bisogno di una casa. Siamo noi ad averne bisogno, come segno della sua presenza. Dovremmo ricordare che è “casa di Dio” anche il silenzio, il raccoglimento, la genuflessione, l’inchino, l’abbigliamento. Su questo punto del “galateo” in chiesa dobbiamo migliorare molto.

    Ma il discorso sulla chiesa edificio, non fa che riportarci alla Chiesa, con la “C” maiuscola, al nostro essere Chiesa. A questo significato ci riporta la lettera di san Paolo che raffigura la Chiesa come un edificio in cui Cristo è la pietra angolare e noi siamo “pietre vive”. Preghiamo, allora, perchè possiamo sentire la chiesa come nostra seconda casa e perchè ciascuno di noi si senta corresponsabile della vita della Chiesa, riscoprendo la sua vocazione.

    don Alberto

  • VI dopo Martirio di San Giovanni

    Il Vangelo di oggi suscita in noi una reazione istintivamente negativa: il padrone è giusto con tutti, inspiegabilmente più generoso con alcuni. Ma una parabola non può essere certamente presa alla lettera, come sistema di conduzione sindacale di un’azienda. La parabola ci ricorda che Dio non può essere giudicato secondo le nostre categorie, con la tentazione di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza, un idolo. La 1a e la 2a lettura sottolineano che il nostro è un Dio che salva gratuitamente e per amore, che ci invita ad andare a Lui perchè solo in Lui si trova la salvezza.

    Dio vuole la nostra collaborazione, vuole avere bisogno di noi. Se ha una preferenza, ce l’ha per gli ultimi, per quelli che alla fine della giornata non hanno ancora trovato lavoro: per il Padrone questi sono i più sfortunati.

    Di fronte a un Dio che manifesta in questo modo la sua bontà, quale è il nostro atteggiamento? Purtroppo non riusciamo ad accettare questo comportamento di Dio pronto a perdonare, a cominciare da capo. Preferiremmo un Dio fiscale che, secondo i nostri schemi, dia poco o tanto Paradiso a seconda del nostro giudizio: più facile accettare la giustizia di Dio che la sua misericordia.

    Dobbiamo riscoprire che la vita è un dono, saperci meravigliare che Dio si interessi di noi, ci perdoni. Abbiamo bisogno di ascolto della Parola, di preghiera; dobbiamo sentirci tutti chiamati a condividere i nostri doni, a preoccuparci della vigna che per noi potrebbe essere la parrocchia o l’oratorio.

    don Alberto

  • V dopo Martirio di S. Giovanni

    La pagina di vangelo di oggi è spesso ridotta ad un invito generico di Gesù ad avere compassione per chi ha bisogno. Dovremmo chiederci se, di fronte ad un povero o ad un bisognoso, saremmo disposti a spendere tempo e soldi come il samaritano.
    Alla domanda “che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù esalta i due comandamenti che sono l’uno prova dell’altro: il primato è per Dio (v. 1a Lettura), ma l’amore verso Dio deve riflettersi sul prossimo.
    Non è sempre così: il modello della carità è un samaritano, ritenuto un impuro per razza e per fede, e non un dottore della legge, un fariseo o uno del clero.
    Alla domanda “chi è il mio prossimo?”, Gesù non risponde con un elenco di persone, ma ricorda che prossimo è la persona che vuole amare. Ed è un amore che non ha misura: attento, premuroso, disponibile, concreto. Il Card. Martini nella sua Lettera pastorale Farsi prossimo, indicava tre pericoli: la fretta (non si ha tempo per scoprire le povertà), la paura (di essere più coinvolti nel dono di sé) e infine, l’alibi e la delega, (ho altro da fare, e quindi deleghiamo la Caritas…).
    La carità è qualcosa di essenziale alla vita cristiana.
    L’amore del samaritano è l’amore del Signore: ha compassione, si fa uno di noi per guarirci dal peccato, e diventa pane per noi. Chiediamo a Gesù, buon samaritano, di rendere il nostro cuore capace di vera “com-passione”, di soffrire con le persone vicine, di donare il nostro tempo e il nostro aiuto, ma soprattutto il nostro cuore. don Alberto

  • II dopo Martirio di S. Giovanni

    La pagina di Vangelo di oggi narra la guarigione di un uomo paralizzato da 38 anni. I nemici di Gesù, invece di lodare Dio per la guarigione avvenuta, accusano Gesù di aver trasgredito la legge perché ha operato di sabato. Gesù li invita a riflettere per riscoprire nella sua persona il Mandato dal Padre, il Salvatore, ma costoro non vogliono accettare i miracoli che egli fa.
    Quali insegnamenti ci può dare questo brano?

    Il primo è che dobbiamo avere un cuore libero e disponibile, nel dialogo con Dio e con gli altri.

    Gesù parla a tutti, ma lo ascoltano solo i poveri e gli ultimi. Oggi il Signore ci parla attraverso le Scritture, la sua Chiesa e le persone che incontriamo. Ma non siamo abbastanza umili per ascoltare: quando la Chiesa parla selezioniamo quanto dice, accettandola solo quando il discorso coincide con le nostre idee. E, ancora, quante volte quando ragioniamo con gli altri, il nostro impegno non è quello di ascoltare e capire il loro pensiero, ma di preparare la risposta in modo che l’ultima parola sia la nostra?

    Un altro insegnamento riguarda la testimonianza.

    Gesù dice: non volete credere alle mie parole, credete alle opere che faccio. Non si limita a dire di essere il Figlio di Dio, lo dimostra con la sua vita. Questo è un richiamo per noi: non basta parlare bene, se poi le nostre opere non sono coerenti con la nostra fede.
    Chiediamo al Signore un cuore umile, disponibile all’ascolto e che ci dia la forza per essere suoi testimoni con la nostra vita.

    don Alberto

  • I dopo Martirio di S. Giovanni

    Fino ad ora nelle letture abbiamo ripercorso la storia della salvezza attraverso le figure più significative, che trovano la loro realizzazione in Gesù. Da oggi, nella 2a parte del Tempo dopo Pentecoste, il protagonista è Gesù, che si rivela nel suo mistero di Dio, fatto uomo, per salvarci.

    Questa domenica ci riporta la testimonianza del precursore, Giovanni Battista, di cui abbiamo ricordato il martirio mercoledì scorso.

    Per comprendere il brano del Vangelo, dobbiamo rifarci alle usanze di quel tempo: il 1° Testamento usa spesso l’immagine dell’amore coniugale per esprimere l’amore di Dio per Israele. Per Giovanni Battista lo sposo è Gesù, la sposa è il Popolo di Dio.

    Inoltre il brano di oggi ci riporta all’usanza dei matrimoni in Palestina: il migliore amico dello sposo lo aspetta a casa della sposa ed è lui a comunicarne l’arrivo: nel Vangelo, il miglior amico è Giovanni Battista, che annuncia lo sposo, Gesù.

    Cosa dicono queste pagine, oggi, a noi? Giovanni Battista è consapevole della sua missione: preparare la venuta e annunciare il Messia.

    Dovrebbe essere l’atteggiamento di ogni educatore: aiutare a far conoscere Gesù, lasciando, poi, che ognuno segua la sua strada.

    Un altro aspetto è la verifica del nostro rapporto col Signore, prendendo ad esempio l’immagine dell’amore sponsale. Non un rapporto cerebrale o formale ma un amore disinteressato, vissuto con il cuore. Chiediamo al Signore, di convertire il nostro cuore alla sua Parola e al suo amore.

    don Alberto

  • XI dopo Pentecoste

    XI dopo Pentecoste

    Il Vangelo parla a ciascuno di noi, ma il pericolo è che interpretiamo la Parola indirizzata ai contemporanei di Gesù. La lettura storica della parabola fa notare come, al rifiuto del popolo eletto, i vignaioli ingrati, il Regno di Dio è dato ad altri vignaioli che sono i pagani. Questi, oggi, siamo noi e la vigna che ci viene data è un dono.

    Per vigna intendiamo l’amore di Dio per noi che si esprime in infiniti doni: la vita, la fede, una famiglia, il lavoro… tutto è dono e grazia.

    Doni da far fruttare, talenti da spendere bene, di cui dobbiamo rendere conto poiché non siamo i proprietari, ma abbiamo tutto in usufrutto e per questo stiamo attenti perché anche a noi potrebbe essere sottratta la vigna o potremmo diventare rami secchi, tralci avvizziti, sia come singoli che come comunità.

    E dobbiamo stare attenti, come dice il profeta Elia, a non diventare idolatri, a confondere Dio con qualcuno o qualcosa. Siamo idolatri quando facciamo diventare una persona, una cosa (carriera, denaro, piacere) il valore assoluto cui sacrificare la nostra vita. Pensando alla vigna e al profeta Elia, proviamo ad interrogarci se la nostra preghiera ha come caratteristica la riscoperta dei doni e, quindi, la riconoscenza, la gratitudine o la richiesta e il lamento? Oppure: Dio è al centro della mia vita o c’è qualcuno o qualcosa che ha preso il suo posto? Se abbiamo sbagliato non scoraggiamoci. Dio non è un giudice che ci condanna, ma un Padre che aspetta il nostro ritorno.

    don Alberto