Autore: don Alberto Barlassina

  • VI dopo Pentecoste

    Questa domenica la Liturgia ci fa riflettere su Mosè, la guida del popolo eletto, il protagonista dell’Esodo dall’Egitto alla Terra promessa. Se Abramo è l’Uomo di fede, Mosè è l’Uomo alla ricerca del mistero di Dio. Mosè si trova nel deserto, in fuga dall’Egitto, quando è scosso dal roveto ardente e ascolta la voce di Dio. Mosè chiede: “chi sei tu, qual é il tuo nome” e Dio gli ricorda che non può avere un nome che lo definisca e lo limiti: “Io sono colui che sono”.
    È il Dio che ha un disegno di liberazione e per questo chiede la collaborazione di Mosè assicurandogli: “Io sarò con te, non ti abbandonerò!”

    Il mistero di Dio si rivela pienamente in Gesù. Nel Vangelo Gesù ricorda che Dio è un mistero: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.” Ma Gesù ci rivela Dio entrando nella storia.

    Gesù è Dio attento all’uomo, stanco e oppresso: è un Dio che si china sull’uomo per liberarlo da ogni schiavitù (spirituale, fisica, sociale).

    È un Dio mite e umile di cuore che ci chiama, come Mosè, per collaborare a liberare l’uomo di oggi da tutte le sue schiavitù. Interroghiamoci seriamente, pensando agli esempi di Mosè e Gesù.
    Il Dio in cui credo è un Essere astratto o è un Dio dentro la storia del popolo eletto, della Chiesa, della mia storia?

    Ho avuto anch’io l’esperienza del roveto ardente, di un incontro con Dio che mi ha rivelato il suo amore? Mi sento anch’io inviato ad annunciare agli altri questo amore, a collaborare per un mondo più giusto e fraterno?

    don Alberto

  • V dopo Pentecoste

    La liturgia ambrosiana nelle domeniche dopo Pentecoste ci fa ripercorrere la storia della salvezza attraverso i suoi personaggi più importanti.
    Questa domenica, con la figura di Abramo, ci presenta il capostipite del Popolo eletto, modello dell’uomo di fede, premessa dell’Alleanza, della salvezza.

    Abramo si fida di Dio: crede alla possibilità di una discendenza anche se Sara è  sterile; lascia la sicurezza del suo clan per recarsi nella Terra promessa; è disposto a sacrificare l’unico figlio quando Dio glielo chiede.
    La fede è anche il tema del Vangelo in cui Gesù si presenta come la “Luce del mondo” che si può accettare o rifiutare.

    C’è chi lo rifiuta, perchè Gesù non rientra nei suoi schemi.

    C’è chi lo accetta, ma non si espone perchè non vuole la scomunica dalla Sinagoga.

    C’è chi crede, e questo è dono dello Spirito Santo.

    Sono situazioni che si ripetono anche oggi, magari nella stessa persona.
    C’è chi lo rifiuta apertamente rifiutando la divinità, la risurrezione, non vivendo la sua proposta di vita.

    C’è chi ha paura a manifestare la propria fede per non sentirsi emarginato.
    Per costoro, la fede è qualcosa di intimo che non ha nulla da dire alla vita sociale.

    Ma noi vogliamo essere tra coloro che credono alla parola di Gesù che ci viene richiamata dalla Chiesa e la vivono ogni giorno attraverso i valori che ci sono stati trasmessi. Esaminiamo la nostra vita e facciamo nostra la preghiera di Pietro “Signore accresci la mia fede”.

    don Alberto

  • IV dopo Pentecoste

    La parabola del Vangelo di oggi sottolinea l’amore gratuito di Dio che chiama ogni uomo a partecipare alla sua gioia (il banchetto è ricco e abbondante). L’immagine del banchetto, frequente nella Bibbia, è segno della predilezione di Dio che vuole condividere con noi la sua mensa. Ma la risposta dell’uomo a questo invito suscita reazioni diverse.
    C’è chi lo rifiuta, anche se è un onore, perché non è disposto a mutare il centro d’interesse della propria vita. Gli invitati vanno ai propri campi, ai propri affari, anzi, qualcuno insulta ed uccide i servi meritando il castigo.

    C’è chi l’accetta senza capirne il significato e non vuole indossare l’abito nuziale. L’amore del Signore è qualcosa che rinnova, cambia e, se accettiamo questo amore, “la veste” della nostra vita deve cambiare. L’evangelista Matteo non specifica in che cosa consiste questa veste nuziale: ognuno di noi ha la sua storia, i suoi pregi, i suoi difetti. Certo è che ciascuno di noi, quando entra in comunione con Dio, deve cambiare.

    Ma il Signore ci conosce bene e sa quanto è difficile per noi lasciarci trasformare dal suo amore, e per questo ha voluto un Banchetto, segno, richiamo: quello eucaristico, la Santa Messa.

    A questo Banchetto siamo chiamati ogni domenica.

    Anche noi a questo banchetto, forse, abbiamo preferito, altre cose. Chiediamo al Signore che ci faccia vivere con fede questo momento ogni domenica, nell’attesa di poter partecipare al banchetto celeste.

    don Alberto

  • Santissima Trinità

    La SS. Trinità è il mistero centrale della nostra fede e ci diversifica dalle altre religioni monoteiste: il nostro Dio è Padre e Figlio e Spirito Santo.
    È un mistero che richiamiamo continuamente: quando facciamo il segno della Croce è “nel nome” della Trinità e anche tutti i sacramenti sono amministrati nel nome della Trinità.

    È il mistero che ci ha rivelato Gesù, con la sua parola e la sua vita: il Figlio, fatto uomo, ha manifestato l’amore del Padre e con Lui ci ha donato lo Spirito Santo.

    Ma questo mistero sembra un teorema irrisolvibile, più che una “bella notizia” che interessa la nostra vita.

    Definire la Trinità un mistero, istintivamente ci toglie, forse, la volontà di approfondimento, dimenticando che un mistero non è una verità contro la ragione, ma sopra la ragione.

    Se leggessimo con attenzione e amore la Bibbia scopriremmo che il mistero dell’unico Dio in tre Persone appare nel disegno di salvezza di Dio lungo tutta la storia umana. La Trinità si manifesta nei tempi di questa storia: il Padre si rivela nella Creazione, Gesù nella redenzione, lo Spirito nella vita della Chiesa.

    Nel primo capitolo della Genesi leggiamo che siamo stati creati “a immagine e somiglianza di Dio”: se Dio è comunità di amore, se è “tre Persone” che si conoscono, si parlano, si donano totalmente l’una all’altra, l’uomo sarà il riflesso di Dio quando conosce, parla, si dona, in una parola quando ama e fa comunità con gli altri.

    don Alberto

  • Pentecoste

    La liturgia di oggi nel Salmo responsoriale recita “del tuo Spirito, Signore, è piena la terra”. La Pentecoste, il fatto avvenuto 50 giorni dopo la Pasqua e narrato nella prima lettura, ci fa constatare questa presenza, il dono che è lo Spirito e di come opera nella nostra vita. È nella presenza dello Spirito che si fonda la speranza della Chiesa: lo Spirito è l’anima della vita della Chiesa. Senza lo Spirito la Parola, i Sacramenti, sarebbero riti e gesti senza vita.
    Che cosa opera in noi lo Spirito Santo? Innanzitutto il dono della comunicazione: gli Atti degli Apostoli ci narrano di persone che si capiscono nonostante siano di provenienza diversa.

    Il comunicare esige coinvolgimento e ascolto: è lo Spirito che, ieri come oggi, dà la forza di capire l’altro e da capacità di dialogo.

    Un altro dono è quello dell’unità. Nella seconda lettura ben nove volte ricorre “uno solo”. Siamo diversi l’uno dall’altro, ci sono affidati incarichi diversi, siamo membra diverse, ma uno solo è il Signore, uno solo è Dio: siamo un corpo solo!

    Infine, il dono della forza, rappresentata dal “vento gagliardo”.
    Gli Apostoli hanno affrontato un mondo ostile o indifferente: erano una piccola minoranza chiamata ad essere sale e lievito nel mondo.

    Anche oggi i cristiani si avviano ad essere una minoranza. Ma proprio la Pentecoste ci ricorda che la forza del cristianesimo non sta nel numero ma nella presenza dello Spirito Santo e nel lasciarsi trasformare da Lui.

    don Alberto

  • VII di Pasqua

    Le letture di questa domenica, inserita tra l’Ascensione e la Pentecoste, ci narrano sia dell’Ascensione di Gesù che dell’attesa del dono dello Spirito Santo.

    Gesù, nel Vangelo, ci riporta una lunga preghiera e afferma: “io vengo a te, Padre”. Questo ci fa pensare all’Ascensione di Gesù, uomo-Dio che sale al Padre, siede alla sua destra e quindi, è onnipotente e onnipresente come il Padre.

    Contemporaneamente la liturgia ci invita a pensare alla solennità di Pentecoste con il dono dello Spirito che rende presente Gesù oggi, nella storia e nella vita.
    Gesù, nella preghiera al Padre, è preoccupato per i discepoli che rimarranno soli e chiede per loro la pienezza della gioia. E quali grazie Gesù chiede al Padre? Chiede “che siano una cosa sola come noi” e più avanti dirà che questa sarà la testimonianza più forte dei suoi discepoli, “che siano una cosa sola perché il mondo creda”.

    Le sorgenti della gioia sono l’unità, la comunione, la condivisione, il perdono… segno che Gesù risorto è con loro.

    L’altra grazia che chiede al Padre è di custodire i suoi discepoli nel suo nome, di consacrarli nella verità, così che siano fedeli alla sua Parola. Solo così saranno “nel mondo senza essere del mondo”.

    I suoi discepoli devono essere nel mondo, ma come lievito, luce e sale.

    Chiediamo al Signore di donarci il suo Spirito per essere attenti ai problemi e testimoni veri del suo Vangelo in un mondo che spesso lo ostacola o lo ignora.

    don Alberto

  • VI di Pasqua

    Il brano della Lettera ai Corinzi ci riporta il nucleo della fede cristiana: “Fratelli, ho trasmesso a voi quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e, quindi, ai Dodici”. La nostra fede si fonda sulla Pasqua di Gesù, la sua morte e risurrezione, premessa e garanzia della nostra risurrezione.

    Un fatto difficile da accettare: abbiamo visto quante volte Gesù risorto è apparso e ha dovuto dimostrare che era Lui, e parlando con l’apostolo Tommaso ha riconosciuto la difficoltà di credere nella risurrezione, proclamando “beati coloro che senza vedere, crederanno”.

    La vita cristiana incomincia nell’incontro con Gesù risorto, che può avvenire in modo spettacolare, come Paolo sulla via di Damasco, o in modo misterioso ma reale, nel Sacramento del Battesimo.

    In tutti i casi, il cambiamento è radicale: è l’inizio di una vita nuova in Gesù che crescerà in noi nella misura in cui ci lasciamo trasformare dallo Spirito Santo, donatoci nel Battesimo.

    Le occasioni per incontrare Gesù sono molteplici: l’ascolto della Parola, la preghiera, i Sacramenti… Ma l’incontro più importante e significativo è quello che avviene nell’Eucarestia: è l’incontro fondamentale da cui iniziare la nuova settimana, testimoniando Gesù risorto, in un rapporto rinnovato con i fratelli, ricordandoci che ogni atto di bontà è un gesto di culto al Signore.

    don Alberto

  • V di Pasqua

    Il Vangelo di questa domenica ci riporta all’Ultima Cena di Gesù, un momento di intimità profonda in cui Gesù confida e dona ai suoi amici quanto più gli sta a cuore.
    Il brano fa parte della bellissima preghiera di Gesù al Padre (detta preghiera sacerdotale) che ci rivela il sentimento di profonda comunione tra Gesù ed il Padre ed il desiderio che anche i discepoli entrino in questa comunione di vita, “perchè siano una sola cosa, come noi”.

    Se riflettiamo bene, ci accorgiamo che questa preghiera può essere presa come modello del nostro modo di pregare.

    Innanzi tutto, la preghiera di Gesù è sempre in un clima di amore filiale, di riconoscenza e di gratitudine al Padre: ringrazia ancor prima che il Padre gli conceda quanto chiede.

    La seconda caratteristica della preghiera cristiana, non è costringere Dio nei nostri schemi, nell’obbligarlo a pensare come noi, ma è l’aprirsi a Lui, è mettersi in ascolto, è dichiararsi disponibili a quanto ci chiede, “compiendo l’opera che mi hai dato da fare”.

    Ecco perchè il dono fondamentale da chiedere, ci ricorda sempre Paolo, è lo Spirito Santo che ci permette “di conoscere i segreti, le profondità di Dio”.

    La nostra preghiera sia, innanzitutto, un invocare il dono dello Spirito, mettendoci in ascolto e offrendo la nostra disponibilità a quanto il Signore ci chiede, ringraziandolo sempre perchè tutto è dono e grazia.

    don Alberto

  • Il pensiero della settimana: IV di Pasqua

    La figura che domina il Vangelo di oggi è quella di Gesù “buon Pastore” che conosce, ama ed è ascoltato dalle sue pecore.

    Questa immagine, poco familiare per noi, è invece, una figura importante nella Bibbia: spesso Dio viene presentato, nell’Antico Testamento, come il “pastore di Israele” e i profeti sono mandati da Lui a “pascere il suo popolo”.

    Gesù, è il Pastore per eccellenza che guida, ama, si dona per il suo gregge e, prima di salire al cielo, affida ai suoi apostoli il compito di pascere il suo gregge .

    In questo gregge ciascuno ha il suo posto, il suo compito, la sua “vocazione”: c’è chi è chiamato ad essere il segno vivente dell’amore di Cristo per la Chiesa nel sacramento del Matrimonio, c’è chi deve continuare la sua missione di pastore nel popolo di Dio (Sacerdoti e Vescovi), c’è chi deve richiamarci al senso del servizio nella vita cristiana (Diaconi), c’è chi ha il compito del primo annuncio come missionario, c’è chi deve richiamarci il primato di Dio e la vita futura con i voti di castità, povertà e obbedienza, nella Vita Consacrata. 

    Tutte queste Vocazioni sono importanti nella vita della Chiesa, che sarà segno vivo di Cristo risorto, quanto più ciascuno di noi riscoprirà la sua vocazione e sarà disponibile, con la grazia del Signore, ad attuarla.
    Se siamo genitori ed educatori, cerchiamo di presentare la vita come dono da spendere “dove e come” vuole il Signore, nella certezza che così si realizza pienamente.

    don Alberto

  • Domenica III di Pasqua

    La domanda di Filippo, nell’ultima cena “Signore mostraci il Padre e ci basta”, è una richiesta da una parte comprensibile e dall’altra è segno che gli Apostoli non avevano ancora capito chi fosse Gesù.
    Gesù parla del Padre, a 12 anni, dicendo: “non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre?”.

    Poi nella sua predicazione: “le parole che dico non sono mie, ma del Padre” e “sono venuto per fare la volontà del Padre”.
    Chi è dunque questo Padre di cui così spesso parla?

    La richiesta di Filippo è anche l’espressione del desiderio di ogni uomo di poter vedere Dio, di parlare con lui.

    Ma questa domanda rivela anche che gli Apostoli non avevano ancora capito che Gesù è la rivelazione del Padre: la sua parola, i suoi gesti, i suoi miracoli sono tutte occasioni che rivelano il Padre, il suo amore, il suo perdono. E il culmine dalla rivelazione dell’amore del Padre per l’uomo è Gesù sulla Croce, che la trasforma da strumento di tortura, in segno di salvezza.

    Oggi il compito di rivelare il Padre, Gesù risorto lo affida alla sua Chiesa, che deve essere annuncio e segno dell’amore del Padre.
    Ricordiamoci, però, che la Chiesa siamo tutti noi, non solo i vescovi, i sacerdoti e i religiosi. Tocca a ciascuno di noi portare il Vangelo al mondo, parlare di Gesù, continuare l’opera di rivelazione del Padre con una testimonianza coraggiosa e con una vita dedicata al servizio, alla donazione e al perdono.

    don Alberto