Autore: don Mauro Barlassina

  • In ascolto… In cammino!

    In ascolto… In cammino!

    Oggi con la preghiera del Vespero iniziamo la settimana degli Esercizi Spirituali.

    Cosa sono gli Esercizi Spirituali?

    Un tempo nell’anno in cui ascoltare con maggiore intensità la parola di Dio per interrogarci su quello che ci sta chiedendo lo Spirito Santo. Non è solo un momento in cui seguire una serie di prediche, ma un tempo nel quale lasciare che Gesù Cristo parli al nostro cuore. In altre parole, è una esperienza di vita.

    E’ fondamentale leggere e rileggere i brani evangelici che saranno preparati perché arrivino ad intercettare le domande che abbiamo nel cuore, permettendoci di riconoscere che Cristo ci sta comunicando qualcosa che ha a che fare con la nostra vita.

    Gli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria sono diversi da una settimana di silenzio passata in qualche casa per la preghiera. Ognuno di noi continuerà ad avere le occupazioni di sempre, ma negli impegni quotidiani può riservare spazi di ascolto e di silenzio per la riflessione.

    Per chi sono gli Esercizi Spirituali?

    Sono una proposta per tutti, adulti e giovani. Sono occasione per tornare a cercare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente.

    Ognuno di noi ha desideri e attese, interrogativi e gioie che, interpellandoci, ci conducono a ‘cercare il Signore per vivere‘.

    Nella settimana che iniziamo, ciascuno può rileggere la sua vita alla luce della Parola. E’ proprio Gesù a ricordarci che “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

    Affermare di essere credente non è solo celebrare riti, ma vivere dell’incontro del nostro ‘io‘ con il ‘tu‘ di Dio Padre.

    Quale percorso sarà proposto?

    Il filo conduttore in quest’anno giubilare è: Il cammino penitenziale del discepolo. I testi del Vangelo che approfondiremo e su cui pregare hanno come protagonisti Gesù e Pietro. Cercheremo di ascoltare il cammino che Gesù fa compiere a Pietro per essere realmente discepolo. Al tempo stesso sarà necessario arrivare a riconoscere che molte fatiche e conquiste di Pietro non sono estranee alle nostre.

    Quali attenzioni praticare?

    Perché sia esperienza di incontro con Gesù vivo è utile seguire fino in fondo il tempo degli Esercizi. Verranno offerti spunti utili per fissare ogni giorno il messaggio per noi e, nel procedere delle giornate, tornare a chiederci: quale messaggio per me Signore?

    Suggerisco di pregare così:

    O Dio affido questo tempo di ascolto della tua Parola per imparare a riconoscerti sempre più e meglio come Padre.

    In ascolto del tuo Spirito di amore e verità fa che il mio cuore e la mia mente si aprano al ristoro mai abbastanza riconosciuto ma decisamente necessario al mio vivere.

    Con i miei fratelli e sorelle chiedo questo dono in Cristo Gesù tuo Figlio. Amen

  • Alla ricerca di un porto sicuro…

    Alla ricerca di un porto sicuro…

    Nel corso di questo anno Santo sentiamo ripetere più volte che la speranza non delude! Eppure le fatiche quotidiane non mancano, i risentimenti personali e di gruppo sono rintracciabili di frequente nei discorsi anche nella comunità cristiana, alcune situazioni umane sono evidentemente senza speranza. È vero anche che ci sono innumerevoli e silenziosi segni di luminosità che tengono viva la speranza, uomini e donne che operano facendo il bene, che vivono la quotidianità con senso di responsabilità e con passione.

    Tuttavia prevale l’ansia, meglio l’affanno. Sembra che
    il tempo non basti mai per fare tutto quanto. Le previsioni e le proiezioni circa il futuro sono spesso negative e inquietanti.

    È fondamentale tornare ad ascoltare l’annuncio: ‘La speranza non delude…‘ Ma come e dove lasciar risuonare questa certezza? Quando sostare perché la dispersione imposta dal ritmo vertiginoso del presente ci permetta di ascoltare la speranza che non delude?

    Ancor più in questo anno Santo siamo pellegrini di speranza e prendiamo coscienza di esserlo solo se decidiamo di fare alcune soste. Soste di ascolto per ritrovare la ragione della speranza. Soste di preghiera per lasciarci incontrare da Cristo che ci cerca appassionatamente. Soste per rientrare in noi stessi e riconoscere che le ombre del peccato sono guarite nel momento in cui vengono ravvisate e affidate all’abbraccio della misericordia del Padre buono.

    Soste che il tempo di Quaresima ci offre anche con la settimana degli Esercizi Spirituali che vivremo in comunità dal 9 al 16 marzo.

    Nell’invito a vivere l’Anno Santo Papa Francesco scrive: “Nel cammino del Giubileo, ritorniamo alla Sacra Scrittura e riconosciamo per noi queste parole della Lettera agli Ebrei:…noi che abbiamo cercato rifugio in Lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa abbiamo infatti un’ancora sicura e solida per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi”.

    Per ritrovare ogni giorno la ragione della speranza è imprescindibile fermarsi e riconoscerla, fermarsi e cercarla. In questo Anno Santo invitiamo tutti a vivere con intensità gli Esercizi Spirituali, per capire che è possibile stare al mondo
    senza eccessivi contraccolpi e scossoni quando cerchiamo rifugio in Lui, quando Cristo è davvero àncora sicura e solida. Se il silenzio è il linguaggio di Dio, mettiamoci in ascolto, in silenzio, degli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria.

    La speranza non delude…, non ci lascia nella con-
    fusione, ma ci offre il porto sicuro nella navigazione
    della vita.

  • Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Alcuni mesi fa abbiamo sentito uomini di governo affermare: “Se vuoi la pace prepara la guerra!”. Altri sono decisamente convinti che solo una guerra può risolvere alcuni dei problemi strutturali dell’epoca in cui viviamo. La conseguenza, banale e semplicistica, interessata e fuorviante, è deridere chi sceglie di operare, sostenere e pregare per la pace tra i popoli e le nazioni.

    Spesso il modo migliore per sostenere posizioni ingannevoli e pericolose per l’umanità è proprio quella di deridere o accusare (a prescindere) chi non è allineato al pensiero dominante.

    I social e le innumerevoli modalità manipolative del reale creano consensi finali, dispensando l’individuo dal considerare tutti gli aspetti in gioco.

    Proporre per la giornata del 9 febbraio la marcia della pace in città è una scelta che vorrebbe favorire un dialogo tra le genti, una sinergia tra le componenti sociali, religiose e culturali presenti sul territorio.

    Cattolici, musulmani, agnostici, cercatori di senso, non sono uomini e donne in contrasto tra di loro, ma persone capaci di riflessione, di considerazioni e di pensiero.

    Il pensiero e le conclusioni non sono certamente identiche, ma alcune scelte ci accomunano. E ogni uomo e donna di buona volontà non può che arrivare a riconoscere che la guerra non può che distruggere, mentre la pace (in certi tempi più difficile da scegliere) non può che costruire.

    Senza azzardare conclusioni troppo semplicistiche, ho l’impressione che il diffondersi di una cultura di guerra e, quindi, di morte e distruzione, sia conseguenza di mancanza di respiro nel cuore di molti. Il cercare a tutti i costi e senza limiti di possedere, avere, utilizzare, alla lunga può renderci uomini e donne senza speranza, appunto senza respiro!

    Quando non si vede un ‘oltre’, il rischio è di cadere nell’inganno, cioè che solo la legge del più forte risolve i problemi personali e strutturali.

    Scendere in piazza, percorrere le strade della città per dire che siamo per la pace è scegliere per l’uomo. L’uomo che “ha delle domande di senso insopprimibili, che ha in sé il desiderio di vivere in pienezza ogni aspetto della vita: l’amore, l’amicizia, le relazioni, il lavoro, l’impegno nella società… L’uomo che, in ultima analisi è aperto a una dimensione trascendente della vita e che si sente inquieto fino a che non riesce a trovare una risposta globale alle sue domande, quel qualcosa che dà senso a tutto” (Card. Farrell nel XX anniversario della morte di don Luigi Giussani).

    L’uomo credente e, in particolare al riguardo Achille Ratti, arriva a offrire la propria vita per la pace. Nel radiomessaggio del 29 settembre 1938 così si esprime Pio XI: “Indicibilmente grati per le preghiere che per Noi sono state fatte e si fanno dai fedeli di tutto il mondo cattolico, questa vita, che in grazia di tali preghiere il Signore Ci ha concesso e quasi rinnovato, Noi di tutto cuore offriamo per la salute e per la pace del mondo, o che il Signore della vita e della morte voglia toglierci l’inestimabile già lungo dono della vita o voglia invece prolungare ancor più la giornata di lavoro all’afflitto e stanco operaio…”. Un intervento che, segnato dal linguaggio del tempo, ha un’attualità straordinaria perché descrive la santità di questo uomo che, in nome del Vangelo, è operatore di pace non solo con proclami, ma con l’offerta della propria vita, per scongiurare l’ormai imminente secondo conflitto mondiale che poi farà milioni di vittime e catastrofiche distruzioni.

    Eppure, alcuni continuano a ritenere inevitabili le distruzioni per ripartire!

  • Il Giubileo: pausa salutare

    Il Giubileo: pausa salutare

    I nostri ritmi quotidiani sono caratterizzati da impegni e scadenze ravvicinate (al punto da non riconoscere ciò che è importante) oppure da giornate passate nella solitudine e nello sconforto. Non tutti vivono contemporaneamente la stessa situazione di vita! A partire da questa constatazione viene da chiedersi cosa rende la vita interessante.

    Nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, l’Arcivescovo Mario affermava: “Il Giubileo segna il tempo e invita a una pausa nel nostro ’fare’, in cui potersi porre le domande veramente essenziali: che cosa ho ricevuto?
    Che ne ho fatto? Che cosa ho generato? Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? (Mt 16,26)
    ”.

    L’anno di fede iniziato è un’opportunità per interrogarsi su ciò che è essenziale per vivere ogni stagione della vita, da quelle piene di impegni, ai giorni della solitudine e dell’improduttività. È un tempo anche per riposare, ma non per annoiarsi.

    È sempre l’Arcivescovo Mario ad affermare: “Il Giubileo contiene un messaggio di giubilo, di gioia, di sollievo che deve interpretare la stanchezza della gente, della terra, della città come appello, provocazione, indicazione di cammino”.

    In particolare, il mese che abbiamo davanti ci permette di tornare sulle domande essenziali, accompagnati da alcune occasioni che diventano riposo nella misura in cui non ci lasciamo fagocitare dalla buona riuscita o, all’opposto, dalla noia della ripetitività.

    • la Festa della Famiglia di oggi 26 gennaio, è l’opportunità per riconoscere quanto la nostra famiglia è un luogo di speranza, dove ringraziare per quanto riceviamo e offriamo, dove pensare la pace, cercarla, operare per la pace proprio a partire dalle relazioni familiari.
    • la settimana dell’educazione, che si concluderà il 31 gennaio con la Messa alle 21 in Basilica nella festa di San Giovanni Bosco, è il momento per condividere la gioia di educare ad essere educato anche attraverso la realtà dell’oratorio.
    • la giornata per la promozione della vita del 2 febbraio è l’occasione per interrogarci su cosa abbiamo generato, su come siamo amici della vita in ogni sua stagione e situazione e sulla gratuità con cui siamo trasmettitori di vita.
    • l’anniversario dell’elezione a Papa (6 febbraio 1922) e al tempo stesso della morte (10 febbraio 1939) di Pio XI e di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005), entrambi desiani, è uno stimolo di riflessione sui messaggi che ci arrivano da veri testimoni del Vangelo delle beatitudini.

    Vivere insieme queste oasi di riposo e di interrogativi salutari è occasione di Giubilo!

  • Se fossi un personaggio del presepe?

    Se fossi un personaggio del presepe?

    I personaggi che popolano il presepe sono tanti! Ognuno ne può aggiungere altri al punto che, in alcuni luoghi, ogni anno viene proposta una nuova statuina da collocare tra quelle già esistenti.

    Alcuni personaggi sono indispensabili.

    Non c’è racconto della nascita senza Maria e Giuseppe che, stupiti, si lasciano interrogare da quanto sta accadendo. Non c’è presepe senza i pastori che, accogliendo il canto degli angeli, si dirigono con il gregge verso Betlemme; senza chi porta frutti della terra e del lavoro al Bambino; senza i Re partiti da lontano che, guidati da una stella, si dirigono, tra momenti di sicurezza e altri di incertezza, verso l’oscura città di Betlemme. Non c’è presepe senza Erode che, con un esercizio spietato del potere, vorrebbe spegnere ogni luce del racconto natalizio. Non c’è presepe senza l’asino, il bue e tanti altri personaggi.

    Con un po’ di attenzione si può affermare che non c’è presepe senza di noi, senza di te e di me. In fondo è condivisibile quanto afferma don Primo Mazzolari, profeta negli anni ’50 di una Chiesa ancora popolare: “Il mondo è in cerca di gioia, ha diritto di accorgersi che, con il Natale di Gesù, la gioia è entrata nel mondo… Coloro che credono in Lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravedere la sorgente inesauribile della perfetta letizia”.

    In altre parole, tutti i personaggi del presepe sono attratti dal protagonista del Natale, dall’Emmanuele, il Dio con noi che, nel segno povero di un Bambino deposto in una mangiatoia si fa presenza.

    Dal riconoscimento di questa presenza nasce il popolo degli uomini e donne lieti. Lieti non perché senza problemi, affanni, fatiche e solitudini, ma perché hanno incontrato la sorgente della gioia che non lascia senza conseguenze, che non ci permette più di vivere come se Dio non ci fosse!

    Con un pensiero di un prete poeta, don Angelo Casati, possiamo affermare che l’origine della gioia condivisa è l’infinita tenerezza di Dio: “Chissà se ce ne siamo accorti. Il segno del presepe non è il segno della potenza che atterrisce, non ci sono troni: c’è il segno della semplicità, dell’infinito della semplicità; il segno della povertà, dell’infinito della povertà; il segno della tenerezza, dell’infinito della tenerezza. Niente spaventi. Il segno è quello della nascita di un bambino. A incantarti è la vita, sono gli occhi di quella madre e di quel padre, a parlarti non sono i palazzi, è quella mangiatoia, sono quelle fasce, cose da pastori, cose familiari a quei pastori. I pastori riferirono l’inimmaginabile: un Messia in fasce, nella mangiatoia, il Messia nella tenerezza.” Ecco perché non possiamo non esserci nel presepe della vita quotidiana. Ecco perché non possiamo più non essere lieti nel Signore!

  • “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività!” Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività!” Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività! E occorre avere una visione d’insieme per rilanciare la città”

    Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare.
    Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.

    L’Arcivescovo Mario Delpini nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato: “Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”. Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.

    Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città.
    Segni di speranza e ombre che li oscurano

    I segni di speranza in città non mancano.

    Hanno il volto di uomini e donne di ogni età che in modo gratuito, costruttivo e sinergico mettono a disposizione il loro tempo nelle associazioni di volontariato sociale e in tutte le altre realtà che si occupano della cura della persona in tutte le fasi della vita, anche attraverso l’impegno educativo delle scuole e dei nostri oratori. Sappiamo tutti che di fronte a questo segno di speranza emerge sempre di più la fatica del ricambio generazionale.

    Sono segni di speranza la tenacia dei commercianti nel sostenere le attività nonostante la spietata concorrenza soprattutto dei centri commerciali, nonostante la burocrazia sempre più gravosa e, in molti casi, nonostante i costi degli affitti, spesso esorbitanti, non consoni ai ricavi.

    Sono segno di speranza in città gli operatori sanitari che, in ospedale e in altre strutture e in varie forme, si dedicano alle persone malate, anziane e sofferenti, nonostante i tagli economici sempre più pesanti. Dico questo pensando in particolare alla non sufficiente valorizzazione data al nostro ospedale intitolato a Pio XI, non ancora riconosciuto come riferimento territoriale per la cura della persona nel panorama degli investimenti economici nel territorio di Monza e Brianza.

    Segni di speranza sono, ancora, i desiani di nascita e di adozione che si impegnano a favore dell’amministrazione della città nonostante un clima sempre più individualistico, personalistico e conflittuale: si ha infatti la sensazione che prevalgano visioni di parte, a volte (Dio non voglia!) oscuri interessi, mentre dovrebbe essere ben altro ad animare chi è chiamato a lavorare per la città, ovvero il bene comune e la costruzione di un contesto sociale accogliente e attrattivo. Il mercato della casa, con le proprie logiche, se non è il più trasparente possibile, viene condizionato da interessi che favoriscono alcuni ma rendono sempre più poveri altri. La nostra città non merita di essere ancor di più impoverita, rischiando di diventare un quartiere dormitorio della vicina metropoli.

    Segni di speranza sono i dipendenti pubblici che compiono il proprio lavoro come servizio al bene comune e non come esercizio di un potere burocratico sempre più farraginoso, cavilloso e incapace di offrire risposte alla unanimemente riconosciuta concretezza brianzola, che cerca la realizzazione di obiettivi e non il rinvio all’infinito del compimento dei progetti. Diceva un grande Cardinale, anche capace di ironia: “Il nostro mondo è caratterizzato da ‘problematologi’, ma di ‘soluzionologi’ non se ne vedono”.

    Insomma, segni di speranza sono i tanti che cercano di rendere la città luogo di relazioni oneste, accoglienti, capaci di integrare e includere le diverse presenze culturali, razziali e religiose; sono i tanti che non si limitano al “si dovrebbe”, al “dovrebbero fare”, ma che piuttosto si chiedono “come possiamo contribuire al bene della nostra città?”; sono i tanti che – all’interno della Chiesa locale – si chiedono come poter camminare più uniti, passando da quel periodo del riferimento campanilistico a un percorso attento ad ogni frazione del territorio di Desio, ma in una comunione di intenti e di fraternità.

    Una proposta: avere una visione di insieme

    In questo contrastante panorama, caratterizzato da segni di speranza e dalle ombre che li oscurano, mi sono chiesto: quali suggerimenti posso dare?

    Un prete giornalista, don Vinicio Albanesi, coglie con chiarezza cosa ci manca e come cambiare rotta: “Agli italiani manca una prospettiva. Negli ultimi anni nessuno ha suggerito loro un futuro, indicato una strada, lanciato uno sguardo al di là del presente. Chi è che ci ha fatto sognare? Nessuno … siamo sopravvissuti.” In questa affermazione, dura e sferzante, mi sembra di poter indicare una strada per ciascuno di noi, per la nostra città, per la presenza della Chiesa nella città, per chi è chiamato ad amministrarla.
    E’ necessario, ora più che mai, avere una visione d’insieme.

    Occorre muoversi con audacia e creatività.

    Non è più tempo di interessi parziali, non è più tempo di fare spazio a chi ha magari ancora interessi illegali: queste persone devono essere amate, ma non seguite.

    E’ tempo di idee e progetti che possano essere condivisi da tutte le parti politiche: occorre avviare un percorso virtuoso, tra persone che sappiano sporcarsi le mani, che sappiano lasciarsi coinvolgere e che offrano prospettiva.

    Non possiamo permetterci di lasciare a un destino di abbandono la bella città di Desio, la città del lavoro e dell’intraprendenza, la città della cura e della prossimità, la città dell’accoglienza e dell’integrazione culturale e religiosa, la città dell’educazione pensata e realizzata, una città pronta ad accogliere e dare spazio di espressione a tutte le generazioni, attraente per i giovani e vivibile per gli anziani.

    Non è più tempo che la città paghi per la conflittualità tra le forze politiche, vuote di visione e di progettualità, incapaci di dare futuro e prospettiva, perché troppo impegnate a ‘guardarsi addosso’ e a difendere i propri fortini.

    Siamo ancora in tempo!

    E per questo prego, con un augurio: “Desio, il Signore già volge lo sguardo su di te.
    Il Signore ti doni la pace sempre invocata – in un tempo altrettanto complesso – dal nostro Papa Pio XI.
    Il Signore benedica tutti gli uomini e le donne che seminano speranza nella città perché siano costruttori di futuro.”

    Camminiamo insieme, perché amiamo questa città”.

  • Un solo grido: Pace

    Un solo grido: Pace

    Da qualche anno al vocabolario della pace si va sostituendo quello della guerra.

    Negli anni ’80 del secolo scorso si affermava la necessità di ridurre la spesa degli stati per gli armamenti, mentre ai nostri giorni quasi tutti i paesi europei, Italia compresa, hanno varato con i loro governi, democraticamente eletti, l’aumento dei fondi per rinnovare armi di distruzione. Allora si decideva l’abolizione del servizio di leva, mentre oggi si insiste ad affermare, e non solo negli ambienti militari, che dobbiamo prepararci a una guerra (ci sono ben 56 conflitti in atto in quasi tutti i continenti).

    I governanti e i responsabili degli organismi internazionali tentavano in ogni modo di arrivare a mediazioni concrete, sulla scia della Dichiarazione di Helsinki circa la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1975), per evitare attacchi di guerra. Oggi gli stessi Stati sembrano invece preparare la guerra.

    Quali sono le cause di tale deriva? Sicuramente sono da ricondurre a motivazioni politiche, economico-finanziarie e di carattere intrinseco alla crescita esponenziale del mondo negli ultimi 40 anni. Solo queste? O c’entra anche la conflittualità sempre più diffusa negli ambienti familiari, sociali, civili, politici, ecclesiali? Negli anni ’80 si manifestava contro ogni forma di guerra. Siamo ancora capaci, oggi, di dire no alla guerra, sì alla pace o questa è solo una pura illusione di qualche irriducibile pacifista deriso dal pensiero che si impone?

    È fondamentale non smettere di pensare e di valutare quanto è in gioco attorno ai conflitti. Lo è per tutti e ancor di più per noi cristiani, nell’Anno Santo 2025. Afferma il Vescovo Mario nel discorso alla città del dicembre scorso: «L’anno giubilare può essere il tempo propizio per diventare pellegrini di Speranza, per farci carico dell’educazione alla pace nelle scuole, negli oratori, nelle attività culturali, nelle pratiche sportive, in ogni ambito della vita sociale».

    E Papa Francesco, una delle poche voci, se non l’unica, a ricordarci che nulla è perduto con la pace mentre tutto è perduto con la guerra, scrive nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: «Utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei paesi più poveri attività educative volte a promuovere lo sviluppo sostenibile».

    Sono i poveri che gridano e inquietano, ma non sono forse loro i prediletti del Bambino nato a Betlemme? Non sono forse i poveri i primi annunciatori di pace a Betlemme, ieri, e oggi nelle nostre città, chiese e realtà di vita? Non si può dimenticare: “Gloria nei cieli e pace sulla terra”.

  • La speranza non delude

    La speranza non delude

    Abbi fiducia! Cerca di non perdere la speranza! Ognuno di noi, dopo aver ascoltato persone in difficoltà, ha certamente pronunciato frasi simili. Si tratta di frasi fatte, vie di uscita di fronte a situazioni imbarazzanti oppure espressioni capaci di offrire indicazioni concrete per affrontare la
    realtà, a volte tortuosa della vita?

    Alda Merini, poetessa milanese, segnata da non poche fatiche, scrive in una poesia quasi autobiografica:

    È così diseguale la mia vita da quello che vorrei sapere. Eppure al di là di ogni immondizia e sutura, c’è la grande speranza che il tempo redima i folli e l’amore spazzi via ogni cosa e lasci inaspettatamente viva
    una rima baciata.

    Drammatica e intensa, la poesia della Merini ci riporta nella realtà di una vita segnata dal travaglio
    della disperazione che comun que non vince sulla speranza di un atto d’amore capace di ridare coraggio e intraprendenza. Quando noi pensiamo alla speranza, dunque, non facciamo riferimento a una illusoria via d’uscita dalle complessità del vivere, ma individuiamo il modo di affrontare situazioni oscure o deprimenti.

    Al riguardo è illuminante un altro autore che scrive:

    La maggior parte delle cose importanti nel mondo sono state compiute dalle persone che hanno continuato a pregare quando sembrava non ci fosse alcuna speranza.

    Non si tratta di sperare quando non vediamo altra via d’uscita, ma la speranza è il motivo, il seguito di una vita che si gioca nell’assunzione delle proprie responsabilità, per trafficare i talenti ricevuti e metterli a servizio del bene di tutti. In altre parole, la speranza ha come volto ogni gesto di amore.

    Anche al riguardo ci viene in aiuto un uomo di pensiero:

    La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle.

    Affrontare la vita con speranza è l’esatto contrario della rassegnazione perché è solo sperando che
    entriamo in attesa, ed entrando in attesa ci mettiamo in movimento. Non è forse questo il senso più tra-
    sparente del tempo di Avvento che domenica prossima inizieremo?

    Non è forse la speranza una virtù da ritrovare di fronte alle tante rassegnazioni che ci troviamo quasi imposte ogni giorno?

  • A Messa, di domenica, perché?

    Da giovedì 24 a domenica 27 ottobre vengono proposte in città le Giornate Eucaristiche, momenti in cuisarà possibile fermarsi per la preghiera personale o comunitaria davanti a Gesù, pane vivo disceso dal cielo. Ciascuno può individuare gli orari adatti per vivere una sorta di pellegrinaggio eucaristico. Le occasioni itineranti nelle parrocchie favoriscono gli anziani, che non devono spostarsi troppo, e chi lavora, con orari serali o nel pomeriggio del sabato e della domenica. E’ stato preparato un sussidio per i momenti comunitari che può aiutare ad adorare anche in quelli di preghiera personale. Le giornate hanno come titolo A Messa, di domenica, perché? Dal momento che il dono dell’Eucarestia è offerto da Gesù nel contesto della sua Pasqua, non è possibile non ricordare che la celebrazione comunitaria dell’Eucarestia è, e rimane, il centro della vita della comunità (M. Delpini).

    Ma cosa comunica, oggi, a un ragazzo o a un giovane la Messa? E’ ancora comprensibile per la maggior parte degli adulti?

    Il più delle volte sembra di non riuscire a comunicare la decisività nella vita di un cristiano della Messa domenicale! In realtà la Messa è molto più di un rito, di una sana abitudine o di un’occasione aggregativa. E’ un vero appuntamento d’amore. Scrive un autore, al quale affido l’invito per vivere le Giornate Eucaristiche 2024: la Messa è un roveto ardente nel quale Dio si manifesta in mezzo a noi per farsi conoscere. E’ la montagna delle beatitudini dove chi si riunisce rimane affascinato dalla ricchezza della sua Parola. E’ il luogo della crocifissione, il Golgota, dove si rivive realmente il più grande atto d’amore di sempre. E’ un cenacolo dove si tocca con mano che lo Spirito di Gesù risorto non abbandona la sua presenza nella mia vita e nella nostra storia”.