I personaggi che popolano il presepe sono tanti! Ognuno ne può aggiungere altri al punto che, in alcuni luoghi, ogni anno viene proposta una nuova statuina da collocare tra quelle già esistenti.
Alcuni personaggi sono indispensabili.
Non c’è racconto della nascita senza Maria e Giuseppe che, stupiti, si lasciano interrogare da quanto sta accadendo. Non c’è presepe senza i pastori che, accogliendo il canto degli angeli, si dirigono con il gregge verso Betlemme; senza chi porta frutti della terra e del lavoro al Bambino; senza i Re partiti da lontano che, guidati da una stella, si dirigono, tra momenti di sicurezza e altri di incertezza, verso l’oscura città di Betlemme. Non c’è presepe senza Erode che, con un esercizio spietato del potere, vorrebbe spegnere ogni luce del racconto natalizio. Non c’è presepe senza l’asino, il bue e tanti altri personaggi.
Con un po’ di attenzione si può affermare che non c’è presepe senza di noi, senza di te e di me. In fondo è condivisibile quanto afferma don Primo Mazzolari, profeta negli anni ’50 di una Chiesa ancora popolare: “Il mondo è in cerca di gioia, ha diritto di accorgersi che, con il Natale di Gesù, la gioia è entrata nel mondo… Coloro che credono in Lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravedere la sorgente inesauribile della perfetta letizia”.
In altre parole, tutti i personaggi del presepe sono attratti dal protagonista del Natale, dall’Emmanuele, il Dio con noi che, nel segno povero di un Bambino deposto in una mangiatoia si fa presenza.
Dal riconoscimento di questa presenza nasce il popolo degli uomini e donne lieti. Lieti non perché senza problemi, affanni, fatiche e solitudini, ma perché hanno incontrato la sorgente della gioia che non lascia senza conseguenze, che non ci permette più di vivere come se Dio non ci fosse!
Con un pensiero di un prete poeta, don Angelo Casati, possiamo affermare che l’origine della gioia condivisa è l’infinita tenerezza di Dio: “Chissà se ce ne siamo accorti. Il segno del presepe non è il segno della potenza che atterrisce, non ci sono troni: c’è il segno della semplicità, dell’infinito della semplicità; il segno della povertà, dell’infinito della povertà; il segno della tenerezza, dell’infinito della tenerezza. Niente spaventi. Il segno è quello della nascita di un bambino. A incantarti è la vita, sono gli occhi di quella madre e di quel padre, a parlarti non sono i palazzi, è quella mangiatoia, sono quelle fasce, cose da pastori, cose familiari a quei pastori. I pastori riferirono l’inimmaginabile: un Messia in fasce, nella mangiatoia, il Messia nella tenerezza.” Ecco perché non possiamo non esserci nel presepe della vita quotidiana. Ecco perché non possiamo più non essere lieti nel Signore!
“Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività! E occorre avere una visione d’insieme per rilanciare la città”
Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024
In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare. Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.
L’Arcivescovo Mario Delpini nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato: “Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”. Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.
Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città. Segni di speranza e ombre che li oscurano
I segni di speranza in città non mancano.
Hanno il volto di uomini e donne di ogni età che in modo gratuito, costruttivo e sinergico mettono a disposizione il loro tempo nelle associazioni di volontariato sociale e in tutte le altre realtà che si occupano della cura della persona in tutte le fasi della vita, anche attraverso l’impegno educativo delle scuole e dei nostri oratori. Sappiamo tutti che di fronte a questo segno di speranza emerge sempre di più la fatica del ricambio generazionale.
Sono segni di speranza la tenacia dei commercianti nel sostenere le attività nonostante la spietata concorrenza soprattutto dei centri commerciali, nonostante la burocrazia sempre più gravosa e, in molti casi, nonostante i costi degli affitti, spesso esorbitanti, non consoni ai ricavi.
Sono segno di speranza in città gli operatori sanitari che, in ospedale e in altre strutture e in varie forme, si dedicano alle persone malate, anziane e sofferenti, nonostante i tagli economici sempre più pesanti. Dico questo pensando in particolare alla non sufficiente valorizzazione data al nostro ospedale intitolato a Pio XI, non ancora riconosciuto come riferimento territoriale per la cura della persona nel panorama degli investimenti economici nel territorio di Monza e Brianza.
Segni di speranza sono, ancora, i desiani di nascita e di adozione che si impegnano a favore dell’amministrazione della città nonostante un clima sempre più individualistico, personalistico e conflittuale: si ha infatti la sensazione che prevalgano visioni di parte, a volte (Dio non voglia!) oscuri interessi, mentre dovrebbe essere ben altro ad animare chi è chiamato a lavorare per la città, ovvero il bene comune e la costruzione di un contesto sociale accogliente e attrattivo. Il mercato della casa, con le proprie logiche, se non è il più trasparente possibile, viene condizionato da interessi che favoriscono alcuni ma rendono sempre più poveri altri. La nostra città non merita di essere ancor di più impoverita, rischiando di diventare un quartiere dormitorio della vicina metropoli.
Segni di speranza sono i dipendenti pubblici che compiono il proprio lavoro come servizio al bene comune e non come esercizio di un potere burocratico sempre più farraginoso, cavilloso e incapace di offrire risposte alla unanimemente riconosciuta concretezza brianzola, che cerca la realizzazione di obiettivi e non il rinvio all’infinito del compimento dei progetti. Diceva un grande Cardinale, anche capace di ironia: “Il nostro mondo è caratterizzato da ‘problematologi’, ma di ‘soluzionologi’ non se ne vedono”.
Insomma, segni di speranza sono i tanti che cercano di rendere la città luogo di relazioni oneste, accoglienti, capaci di integrare e includere le diverse presenze culturali, razziali e religiose; sono i tanti che non si limitano al “si dovrebbe”, al “dovrebbero fare”, ma che piuttosto si chiedono “come possiamo contribuire al bene della nostra città?”; sono i tanti che – all’interno della Chiesa locale – si chiedono come poter camminare più uniti, passando da quel periodo del riferimento campanilistico a un percorso attento ad ogni frazione del territorio di Desio, ma in una comunione di intenti e di fraternità.
Una proposta: avere una visione di insieme
In questo contrastante panorama, caratterizzato da segni di speranza e dalle ombre che li oscurano, mi sono chiesto: quali suggerimenti posso dare?
Un prete giornalista, don Vinicio Albanesi, coglie con chiarezza cosa ci manca e come cambiare rotta: “Agli italiani manca una prospettiva. Negli ultimi anni nessuno ha suggerito loro un futuro, indicato una strada, lanciato uno sguardo al di là del presente. Chi è che ci ha fatto sognare? Nessuno … siamo sopravvissuti.” In questa affermazione, dura e sferzante, mi sembra di poter indicare una strada per ciascuno di noi, per la nostra città, per la presenza della Chiesa nella città, per chi è chiamato ad amministrarla. E’ necessario, ora più che mai, avere una visione d’insieme.
Occorre muoversi con audacia e creatività.
Non è più tempo di interessi parziali, non è più tempo di fare spazio a chi ha magari ancora interessi illegali: queste persone devono essere amate, ma non seguite.
E’ tempo di idee e progetti che possano essere condivisi da tutte le parti politiche: occorre avviare un percorso virtuoso, tra persone che sappiano sporcarsi le mani, che sappiano lasciarsi coinvolgere e che offrano prospettiva.
Non possiamo permetterci di lasciare a un destino di abbandono la bella città di Desio, la città del lavoro e dell’intraprendenza, la città della cura e della prossimità, la città dell’accoglienza e dell’integrazione culturale e religiosa, la città dell’educazione pensata e realizzata, una città pronta ad accogliere e dare spazio di espressione a tutte le generazioni, attraente per i giovani e vivibile per gli anziani.
Non è più tempo che la città paghi per la conflittualità tra le forze politiche, vuote di visione e di progettualità, incapaci di dare futuro e prospettiva, perché troppo impegnate a ‘guardarsi addosso’ e a difendere i propri fortini.
Siamo ancora in tempo!
E per questo prego, con un augurio: “Desio, il Signore già volge lo sguardo su di te. Il Signore ti doni la pace sempre invocata – in un tempo altrettanto complesso – dal nostro Papa Pio XI. Il Signore benedica tutti gli uomini e le donne che seminano speranza nella città perché siano costruttori di futuro.”
Da qualche anno al vocabolario della pace si va sostituendo quello della guerra.
Negli anni ’80 del secolo scorso si affermava la necessità di ridurre la spesa degli stati per gli armamenti, mentre ai nostri giorni quasi tutti i paesi europei, Italia compresa, hanno varato con i loro governi, democraticamente eletti, l’aumento dei fondi per rinnovare armi di distruzione. Allora si decideva l’abolizione del servizio di leva, mentre oggi si insiste ad affermare, e non solo negli ambienti militari, che dobbiamo prepararci a una guerra (ci sono ben 56 conflitti in atto in quasi tutti i continenti).
I governanti e i responsabili degli organismi internazionali tentavano in ogni modo di arrivare a mediazioni concrete, sulla scia della Dichiarazione di Helsinki circa la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1975), per evitare attacchi di guerra. Oggi gli stessi Stati sembrano invece preparare la guerra.
Quali sono le cause di tale deriva? Sicuramente sono da ricondurre a motivazioni politiche, economico-finanziarie e di carattere intrinseco alla crescita esponenziale del mondo negli ultimi 40 anni. Solo queste? O c’entra anche la conflittualità sempre più diffusa negli ambienti familiari, sociali, civili, politici, ecclesiali? Negli anni ’80 si manifestava contro ogni forma di guerra. Siamo ancora capaci, oggi, di dire no alla guerra, sì alla pace o questa è solo una pura illusione di qualche irriducibile pacifista deriso dal pensiero che si impone?
È fondamentale non smettere di pensare e di valutare quanto è in gioco attorno ai conflitti. Lo è per tutti e ancor di più per noi cristiani, nell’Anno Santo 2025. Afferma il Vescovo Mario nel discorso alla città del dicembre scorso: «L’anno giubilare può essere il tempo propizio per diventare pellegrini di Speranza, per farci carico dell’educazione alla pace nelle scuole, negli oratori, nelle attività culturali, nelle pratiche sportive, in ogni ambito della vita sociale».
E Papa Francesco, una delle poche voci, se non l’unica, a ricordarci che nulla è perduto con la pace mentre tutto è perduto con la guerra, scrive nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: «Utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei paesi più poveri attività educative volte a promuovere lo sviluppo sostenibile».
Sono i poveri che gridano e inquietano, ma non sono forse loro i prediletti del Bambino nato a Betlemme? Non sono forse i poveri i primi annunciatori di pace a Betlemme, ieri, e oggi nelle nostre città, chiese e realtà di vita? Non si può dimenticare: “Gloria nei cieli e pace sulla terra”.
Abbi fiducia! Cerca di non perdere la speranza! Ognuno di noi, dopo aver ascoltato persone in difficoltà, ha certamente pronunciato frasi simili. Si tratta di frasi fatte, vie di uscita di fronte a situazioni imbarazzanti oppure espressioni capaci di offrire indicazioni concrete per affrontare la realtà, a volte tortuosa della vita?
Alda Merini, poetessa milanese, segnata da non poche fatiche, scrive in una poesia quasi autobiografica:
È così diseguale la mia vita da quello che vorrei sapere. Eppure al di là di ogni immondizia e sutura, c’è la grande speranza che il tempo redima i folli e l’amore spazzi via ogni cosa e lasci inaspettatamente viva una rima baciata.
Drammatica e intensa, la poesia della Merini ci riporta nella realtà di una vita segnata dal travaglio della disperazione che comun que non vince sulla speranza di un atto d’amore capace di ridare coraggio e intraprendenza. Quando noi pensiamo alla speranza, dunque, non facciamo riferimento a una illusoria via d’uscita dalle complessità del vivere, ma individuiamo il modo di affrontare situazioni oscure o deprimenti.
Al riguardo è illuminante un altro autore che scrive:
La maggior parte delle cose importanti nel mondo sono state compiute dalle persone che hanno continuato a pregare quando sembrava non ci fosse alcuna speranza.
Non si tratta di sperare quando non vediamo altra via d’uscita, ma la speranza è il motivo, il seguito di una vita che si gioca nell’assunzione delle proprie responsabilità, per trafficare i talenti ricevuti e metterli a servizio del bene di tutti. In altre parole, la speranza ha come volto ogni gesto di amore.
Anche al riguardo ci viene in aiuto un uomo di pensiero:
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle.
Affrontare la vita con speranza è l’esatto contrario della rassegnazione perché è solo sperando che entriamo in attesa, ed entrando in attesa ci mettiamo in movimento. Non è forse questo il senso più tra- sparente del tempo di Avvento che domenica prossima inizieremo?
Non è forse la speranza una virtù da ritrovare di fronte alle tante rassegnazioni che ci troviamo quasi imposte ogni giorno?
Da giovedì 24 a domenica 27 ottobre vengono proposte in città le Giornate Eucaristiche, momenti in cuisarà possibile fermarsi per la preghiera personale o comunitaria davanti a Gesù, pane vivo disceso dal cielo. Ciascuno può individuare gli orari adatti per vivere una sorta di pellegrinaggio eucaristico. Le occasioni itineranti nelle parrocchie favoriscono gli anziani, che non devono spostarsi troppo, e chi lavora, con orari serali o nel pomeriggio del sabato e della domenica. E’ stato preparato un sussidio per i momenti comunitari che può aiutare ad adorare anche in quelli di preghiera personale. Le giornate hanno come titolo A Messa, di domenica, perché? Dal momento che il dono dell’Eucarestia è offerto da Gesù nel contesto della sua Pasqua, non è possibile non ricordare che la celebrazione comunitaria dell’Eucarestia è, e rimane, il centro della vita della comunità (M. Delpini).
Ma cosa comunica, oggi, a un ragazzo o a un giovane la Messa? E’ ancora comprensibile per la maggior parte degli adulti?
Il più delle volte sembra di non riuscire a comunicare la decisività nella vita di un cristiano della Messa domenicale! In realtà la Messa è molto più di un rito, di una sana abitudine o di un’occasione aggregativa. E’ un vero appuntamento d’amore. Scrive un autore, al quale affido l’invito per vivere le Giornate Eucaristiche 2024: la Messa è un roveto ardente nel quale Dio si manifesta in mezzo a noi per farsi conoscere. E’ la montagna delle beatitudini dove chi si riunisce rimane affascinato dalla ricchezza della sua Parola. E’ il luogo della crocifissione, il Golgota, dove si rivive realmente il più grande atto d’amore di sempre. E’ un cenacolo dove si tocca con mano che lo Spirito di Gesù risorto non abbandona la sua presenza nella mia vita e nella nostra storia”.
Chi vive incarnato nella situazione storica odierna non può non interrogarsi sul senso di una festa patronale. Se qualche decennio fa la festa del Patrono di un paese o di una città rimandava immediatamente alla vita cristiana con i suoi ritmi e scadenze, oggi non è più così. Occasioni per fare festa non mancano, anzi sono quotidiane! Sembra inevitabile chiedersi se il festeggiare la Madonna del Rosario, Patrona della città di Desio, parli ancora a gente di ogni età, alle prese con algoritmi, intelligenza artificiale, forme di comunicazione istantanee, conflitti locali e mondiali che aprono scenari impressionanti nel tentativo di sdoganare la guerra come modalità di soluzione alle tensioni internazionali.
Alla luce e sollecitati dalla Parola di Dio suggerisco due percorsi di riflessione per agire da cristiani nella città ben consapevoli della potenzialità e delle sfide in atto.
Il primo: nel racconto di Atti degli Apostoli (Atti 1,12-14) si descrive una situazione simile alla nostra. I testimoni della resurrezione di Gesù, pur avendo avuto riprova della presenza del Risorto, sono in preda a smarrimento e paura. Non hanno ancora il coraggio di uscire e annunciare la notizia buona che cambia il modo di vivere: Gesù è vivo e noi siamo amati e salvati da Dio, perché figli di un Dio che è Padre. Nonostante questo timore riconoscono nella presenza di Maria di Nazareth la donna capace di accoglierli perseverando nella preghiera e nella fraternità. Maria indica che la strada da percorrere è quella della fiducia incrollabile nella presenza di Dio. Questo annuncio ci interpella e, aiutati da un prete educatore, desiano di nascita e di formazione alla vita cristiana, troviamo la prima consegna: “Il problema dell’educazione dei giovani è che hanno assolutamente bisogno di una sola cosa: la presenza dell’adulto. I giovani hanno bisogno di una presenza, cioè che l’adulto sia una presenza”. Noi cristiani abbiamo la gioiosa responsabilità di educarci ed educare ad essere e diventare adulti appassionati e fiduciosi soprattutto nelle situazioni maggiormente complesse e precarie tipiche di una società definita destrutturata e liquida.
Il secondo percorso: il tratto che caratterizza l’adulto è la consapevolezza di essere partecipe di un dono ricevuto e come tale da trasmettere. S.Teresa di Gesù Bambino, dopo il travaglio vissuto nel diventare adulta, arriva ad affermare: “Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in se tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che l’amore si estende a tutti i tempi e i luoghi, in una parola che l’amore è eterno”. Vivere nella realtà come adulti è non recriminare né rimpiangere, ma assumersi le responsabilità che ci vengono affidate operando, a volte anche soffrendo e lottando, nella consapevolezza che Dio Padre ci assegna una vocazione specifica, così che lo stare nel mondo diventa il tempo nel quale investire i talenti ricevuti mettendoli a servizio della pace e della fraternità. Come discepoli di Gesù, non stiamo nella città per dividere, ma per unire e valorizzare ogni contributo. In concreto: camminare uniti e pronti a riconoscere ogni scintilla di bene per metterla in relazione con altre scintille di bene e togliere la cenere dalla brace che impedisce al fuoco di ardere e riscaldare. Accompagnati dalla Madonna del Rosario, da S.Teresa di Gesù Bambino e dai molti testimoni di ieri e di oggi, viviamo con fiducia laboriosa questo tempo di grazia.
Sono cento anni di storia, cento anni di vita, di intrecci tra gioie e dolori, vicende familiari e sociali. La storia di una città non è estranea alla storia della nazione e del mondo intero, ma ne è inscindibilmente legata e, al tempo stesso, espressione. Percorrendo le strade della nostra città si possono individuare ancora alcune caratteristiche del suo passato remoto e recente e, al tempo stesso, si riconoscono i segni dell’oggi.
Si vedono luoghi che hanno caratterizzato la vita sociale negli anni ’30 del secolo scorso, come i cortili, ma anche tracce di un’epoca industriale negli anni ’70 e ’80. Si individuano zone più recenti, ma anche alcune zone in decadenza. I pensieri che condivido con voi nascono da un grande amore per questa città nella quale vivo da oltre un anno.
Ho apprezzato da subito le tante potenzialità e le fatiche. Come Chiesa, come cristiani e preti, vorremmo vivere a servizio della città, della sua storia, riconoscendone i tratti vitali per favorire interazioni e collaborazioni, per mettere in dialogo differenze e per annunciare la gioia di dare un senso al vivere e all’operare quotidiano: il Vangelo di Gesù.
Quattro figure, tra i tanti desiani, ci possono aiutare nel continuare a generare storia di vita buona per la città:
Achille Ratti, poi Pio XI, che ha operato con tenacia e determinazione a favore della pace tra i popoli e le nazioni, ha aperto la Chiesa a mondi fino ad allora lontani e sconosciuti, ha sostenuto con l’Azione Cattolica il qualificato impegno dei laici nel mondo.
Luigi Giussani, un uomo, un prete tutto brianzolo, essenziale e coinvolgente, capace di visione, ma anche concreto nel darne realizzazione. Negli anni turbolenti del ’68 diceva tra l’altro che la comunione con Dio Padre e tra noi cristiani è la modalità con cui partecipiamo alla costruzione di un mondo più giusto, vero e bello.
Lucia Pulici, missionaria saveriana e donna del Vangelo che con Celestino Cattaneo, poi Vescovo cappuccino di Asmara, sono il segno di una Chiesa aperta al mondo fino al punto di andare lontano per annunciare il Vangelo. La festa di Desio non è solo un rito, una scadenza ma occasione per tornare all’origine della storia affidando alla Regina della Pace, così chiamata da Pio XI, il presente e il futuro.
Ho sognato che il grido inconscio di giovani e meno giovani sul perché siamo al mondo arrivava nel cuore di Cristo Gesù. Nel sogno il volto di Gesù era pacificato e pacificante. Di fronte al grido di uomini e donne andava ripetendo “Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e troverete ristoro alle fatiche e motivazione alle soddisfazioni”.
Sempre nel mio sogno Gesù non rimproverava ma accoglieva, incoraggiava, sosteneva, asciugava lacrime e condivideva gioie.
Gradualmente ma inesorabilmente gli uomini e le donne di ogni età che si avvicinavano a Gesù iniziavano a pacificarsi, a riflettere e dialogare ma senza angosce né conflitti. Ognuno cercava di comprendere e di condividere le ragioni dell’altro e, quando non era d’accordo, cercava di cogliere un aspetto capace di completare il proprio pensiero.
Il sogno è poi continuato e si è ampliato, forse un po’ ingenuamente, mettendo in evidenza come coloro che si erano fatti vicini a Gesù e, pacificati, avevano iniziato a dialogare tra loro senza risentimenti, rimpianti e divagazioni verso un tempo che non c’è più. Da questi volti irradiava una gran voglia di comunicare a tutti il perché della vita, il tesoro nascosto e la perla preziosa per le quali vale la pena giocarsi fino in fondo.
Queste persone uscivano dalla Chiesa, dagli oratori consapevoli di essere il sale della terra e la luce del mondo ma si muovevano senza orgoglio, persone forti ma propositive, libere ma ancorate alla Buona Notizia. Il loro percorrere le strade della città non era fatto di parole recriminatorie, di sfoghi al limite della deprecazione, di rivendicazioni su confini territoriali ma colmo di gratitudine al Signore per essere “con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo”.
Il sogno si concludeva sfumando nella realtà e vedendo un popolo che, proveniente da ogni Chiesa, oratorio, case e luogo di vita, tornava desideroso di vivere insieme l’Eucarestia ricevendo il “Pane vivo disceso dal cielo” che nutre il cuore dell’umanità e rende persone nuove, popolo credente, orante e fraterno … “erano un cuore solo e un’anima sola!”
Sfogliando questo numero di “Comunità in cammino” troverete le proposte pensate per la festa patronale nell’anno centenario della proclamazione a città di Desio. Non entro nel merito dei singoli appuntamenti ma cerco di offrire il motivo per cui dare rilievo alla nostra festa patronale cittadina.
Viviamo la festa per fare memoria di doni ricevuti e che, a nostra volta, possiamo trasmettere. Una festa permette di tornare a ricordare cosa ci sta a cuore, perché impegnarsi nelle attività di ogni giorno, vivere relazioni buone e costruttive fatte di incontri gratuiti e semplici.
Nel programma riportato nelle pagine interne troviamo tre serate dove, con linguaggi diversi, avremo la possibilità di conoscere meglio alcuni testimoni di vita buona (suor Lucia Pulici con altre due consorelle, S. Teresa di Gesù Bambino e, con alcune mostre, i Santi della porta accanto). In questo modo si vuole suggerire che vi sono buone ragioni per affrontare la vita pur nelle sue innumerevoli complessità. Forse c’è un grido inconscio di trovare il “perché” stare al mondo. I testimoni che incontreremo saranno di aiuto per vedere la luminosità anche nella complessità.
Il terzo motivo è più interno alla comunità cristiana ma sempre in dialogo con la città. Infatti sabato 21, in mattinata, sarà possibile condividere e confrontarci sul nostro essere Chiesa nella città. Essere e vivere da cristiani non per conservare ma per annunciare la gioia e la contemporaneità del Vangelo
Nel concludere sottolineo che non mancheranno occasioni per condividere fraternamente il pasto come momento di vita comunitaria.
don Mauro Barlassina
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