Autore: don Mauro Barlassina

  • Camminare …

    Camminare …

    Chi vive incarnato nella situazione storica odierna non può non interrogarsi sul senso di una festa patronale. Se qualche decennio fa la festa del Patrono di un paese o di una città rimandava immediatamente alla vita cristiana con i suoi ritmi e scadenze, oggi non è più così. Occasioni per fare festa non mancano, anzi sono quotidiane! Sembra inevitabile chiedersi se il festeggiare la Madonna del Rosario, Patrona della città di Desio, parli ancora a gente di ogni età, alle prese con al­go­ritmi, intelligenza artificiale, forme di comunicazione istantanee, conflitti locali e mondiali che aprono scenari impressionanti nel tentativo di sdo­ga­nare la guerra come modalità di soluzione alle tensioni internazionali.

    Alla luce e sollecitati dalla Parola di Dio suggerisco due percorsi di ri­flessione per agire da cristiani nella città ben consapevoli della po­ten­zialità e delle sfide in atto.

    Il primo: nel racconto di Atti degli Apostoli (Atti 1,12-14) si descrive una situazione simile alla nostra. I testimoni della resurrezione di Gesù, pur avendo avuto riprova della presenza del Risorto, sono in preda a smar­rimento e paura. Non hanno ancora il coraggio di uscire e annunciare la notizia buona che cambia il modo di vivere: Gesù è vivo e noi siamo amati e salvati da Dio, perché figli di un Dio che è Padre. Nonostante que­sto timore riconoscono nella presenza di Maria di Nazareth la donna capace di accoglierli perseverando nella preghiera e nella fraternità. Maria indica che la strada da percorrere è quella della fiducia incrollabile nella presenza di Dio. Questo annuncio ci interpella e, aiutati da un prete educatore, desiano di nascita e di formazione alla vita cristiana, troviamo la prima consegna: “Il problema dell’educazione dei giovani è che hanno assolutamente bisogno di una sola cosa: la presenza dell’adulto. I giovani hanno bisogno di una presenza, cioè che l’adulto sia una presenza”. Noi cristiani abbiamo la gioiosa responsabilità di educarci ed educare ad essere e diventare adulti appassionati e fiduciosi soprattutto nelle si­tua­zioni maggiormente complesse e precarie tipiche di una società definita destrutturata e liquida.

    Il secondo percorso: il tratto che caratterizza l’adulto è la con­sa­pe­vo­lez­za di essere partecipe di un dono ricevuto e come tale da trasmettere. S.Teresa di Gesù Bambino, dopo il travaglio vissuto nel diventare adulta, arriva ad affermare: “Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in se tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che l’amore si estende a tutti i tempi e i luoghi, in una parola che l’amore è eterno”. Vivere nella realtà come adulti è non recriminare né rimpiangere, ma assumersi le re­spon­sa­bilità che ci vengono affidate operando, a volte anche soffrendo e lot­tando, nella consapevolezza che Dio Padre ci assegna una vocazione specifica, così che lo stare nel mondo diventa il tempo nel quale investire i talenti ricevuti mettendoli a servizio della pace e della fraternità. Come discepoli di Gesù, non stiamo nella città per dividere, ma per unire e valorizzare ogni contributo. In concreto: camminare uniti e pronti a riconoscere ogni scintilla di bene per metterla in relazione con altre scintille di bene e togliere la cenere dalla brace che impedisce al fuoco di ardere e riscaldare. Accompagnati dalla Madonna del Rosario, da S.Teresa di Gesù Bambino e dai molti testimoni di ieri e di oggi, viviamo con fiducia laboriosa questo tempo di grazia.

  • Una città sempre giovane

    Una città sempre giovane

    Desio è città da un secolo! 1924 – 2024

    Sono cento anni di storia, cento anni di vita, di intrecci tra gioie e dolori, vicende familiari e sociali. La storia di una città non è estranea alla storia della nazione e del mondo intero, ma ne è inscindibilmente legata e, al tempo stesso, espressione. Percorrendo le strade della nostra città si possono individuare ancora alcune caratteristiche del suo passato remoto e recente e, al tempo stesso, si riconoscono i segni dell’oggi.

    Si vedono luoghi che hanno caratterizzato la vita sociale negli anni ’30 del secolo scorso, come i cortili, ma anche tracce di un’epoca industriale negli anni ’70 e ’80. Si individuano zone più recenti, ma anche alcune zone in decadenza. I pensieri che condivido con voi nascono da un grande amore per questa città nella quale vivo da oltre un anno.

    Ho apprezzato da subito le tante potenzialità e le fatiche. Come Chiesa, come cristiani e preti, vorremmo vivere a servizio della città, della sua storia, riconoscendone i tratti vitali per favorire interazioni e collaborazioni, per mettere in dialogo differenze e per annunciare la gioia di dare un senso al vivere e all’operare quotidiano: il Vangelo di Gesù.

    Quattro figure, tra i tanti desiani, ci possono aiutare nel continuare a generare storia di vita buona per la città:

    • Achille Ratti, poi Pio XI, che ha operato con tenacia e determinazione a favore della pace tra i popoli e le nazioni, ha aperto la Chiesa a mondi fino ad allora lontani e sconosciuti, ha sostenuto con l’Azione Cattolica il qualificato impegno dei laici nel mondo.
    • Luigi Giussani, un uomo, un prete tutto brianzolo, essenziale e coinvolgente, capace di visione, ma anche concreto nel darne realizzazione. Negli anni turbolenti del ’68 diceva tra l’altro che la comunione con Dio Padre e tra noi cristiani è la modalità con cui partecipiamo alla costruzione di un mondo più giusto, vero e bello.
    • Lucia Pulici, missionaria saveriana e donna del Vangelo che con Celestino Cattaneo, poi Vescovo cappuccino di Asmara, sono il segno di una Chiesa aperta al mondo fino al punto di andare lontano per annunciare il Vangelo. La festa di Desio non è solo un rito, una scadenza ma occasione per tornare all’origine della storia affidando alla Regina della Pace, così chiamata da Pio XI, il presente e il futuro.
  • Ho fatto un sogno

    Ho fatto un sogno

    Ho sognato che il grido inconscio di giovani e meno giovani sul perché siamo al mondo arrivava nel cuore di Cristo Gesù. Nel sogno il volto di Gesù era pacificato e pacificante. Di fronte al grido di uomini e donne andava ripetendo “Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e troverete ristoro alle fatiche e motivazione alle soddisfazioni”.

    Sempre nel mio sogno Gesù non rimproverava ma accoglieva, incoraggiava, sosteneva, asciugava lacrime e condivideva gioie.

    Gradualmente ma inesorabilmente gli uomini e le donne di ogni età che si avvicinavano a Gesù iniziavano a pacificarsi, a riflettere e dialogare ma senza angosce né conflitti. Ognuno cercava di comprendere e di condividere le ragioni dell’altro e, quando non era d’accordo, cercava di cogliere un aspetto capace di completare il proprio pensiero.

    Il sogno è poi continuato e si è ampliato, forse un po’ ingenuamente, mettendo in evidenza come coloro che si erano fatti vicini a Gesù e, pacificati, avevano iniziato a dialogare tra loro senza risentimenti, rimpianti e divagazioni verso un tempo che non c’è più. Da questi volti irradiava una gran voglia di comunicare a tutti il perché della vita, il tesoro nascosto e la perla preziosa per le quali vale la pena giocarsi fino in fondo.

    Queste persone uscivano dalla Chiesa, dagli oratori consapevoli di essere il sale della terra e la luce del mondo ma si muovevano senza orgoglio, persone forti ma propositive, libere ma ancorate alla Buona Notizia. Il loro percorrere le strade della città non era fatto di parole recriminatorie, di sfoghi al limite della deprecazione, di rivendicazioni su confini territoriali ma colmo di gratitudine al Signore per essere “con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo”.

    Il sogno si concludeva sfumando nella realtà e vedendo un popolo che, proveniente da ogni Chiesa, oratorio, case e luogo di vita, tornava desideroso di vivere insieme l’Eucarestia ricevendo il “Pane vivo disceso dal cielo” che nutre il cuore dell’umanità e rende persone nuove, popolo credente, orante e fraterno … “erano un cuore solo e un’anima sola!”

  • Si può ancora fare festa?

    Si può ancora fare festa?

    Sfogliando questo numero di “Comunità in cammino” troverete le proposte pensate per la festa patronale nell’anno centenario della proclamazione a città di Desio. Non entro nel merito dei singoli appuntamenti ma cerco di offrire il motivo per cui dare rilievo alla nostra festa patronale cittadina.

    1. Viviamo la festa per fare memoria di doni ricevuti e che, a nostra volta, possiamo trasmettere. Una festa permette di tornare a ri­cor­dare cosa ci sta a cuore, perché impegnarsi nelle attività di ogni gior­no, vivere relazioni buone e costruttive fatte di incontri gratuiti e semplici.
    2. Nel programma riportato nelle pagine interne troviamo tre serate dove, con linguaggi diversi, avremo la possibilità di conoscere me­glio alcuni testimoni di vita buona (suor Lucia Pulici con altre due consorelle, S. Teresa di Gesù Bambino e, con alcune mostre, i Santi della porta accanto). In questo modo si vuole suggerire che vi sono buone ragioni per affrontare la vita pur nelle sue innumerevoli com­plessità. Forse c’è un grido inconscio di trovare il “perché” stare al mondo. I testimoni che incontreremo saranno di aiuto per vedere la luminosità anche nella complessità.
    3. Il terzo motivo è più interno alla comunità cristiana ma sempre in dialogo con la città. Infatti sabato 21, in mattinata, sarà possibile condividere e confrontarci sul nostro essere Chiesa nella città. Essere e vivere da cristiani non per conservare ma per annunciare la gioia e la contemporaneità del Vangelo

    Nel concludere sottolineo che non mancheranno occasioni per condividere fraternamente il pasto come momento di vita comunitaria.

  • Parole per …

    Parole per …

    Ogni giorno ascoltiamo e pronunciamo migliaia di parole. Spesso sono parole che offendono e diventano contraddittorie. Parole che possono denigrare o scoraggiare, parole che non sanno raccontare niente.

    La rete, i social e molti strumenti di comunicazione non cercano parole capaci di sostenere, maturare, incoraggiare, ma semplicemente pronunciano parole a volte insignificanti, senza corrispondenza alla realtà e finalizzate a cercare “audience”, se non vere e proprie conflittualità. Alludere, insinuare sospetti, produrre “fake news” è uno dei tratti tipici di certe forme di comunicazione.

    Anche nei nostri contesti non sempre è possibile capire se quanto viene affermato descrive la realtà oppure nasconda inerzie e incapacità ad affrontare problemi e trovare soluzioni. Molte parole sono inutili, fuorvianti, dette per rimandare scelte e decisioni necessarie per il bene di una comunità. Il linguaggio della burocrazia, a volte sembra creato apposta per non favorire comprensione e impedire di passare dalle parole ai fatti, per salvaguardare interessi parziali a immobilizzare decisioni necessarie ad uno sviluppo di una data realtà.

    Senza escludere che vi sono ancora parole “belle”, “buone” e “vere” nel cuore e sulle labbra di molti, noi discepoli di Gesù non possiamo che cercare di essere uomini e donne di Parola. Nel senso di essere pronti a rendere ragione della speranza che è in noi per dare volto a ciò che motiva, sostiene e incoraggia. Per dare volto alle parole che prendono vita dalla Parola che non banalizza ne inganna: Gesù Parola fatta carne e concretezza del volto di Dio.

  • Iniziare

    Iniziare

    Oggi inizia il mese di settembre. Un mese caratterizzato dalla ripresa di molte attività e impegni.

    Nelle scorse settimane, riflettendo e osservando la città, mi è apparso ancor più evidente di quante ricchezze umane siamo custodi, ma anche di quali responsabilità siamo investiti.

    Una città, una comunità di uomini e donne, non si fa da sé; è edificata da molti che si coinvolgono e si lasciano coinvolgere a rendere più bello e accogliente lo spazio che abitiamo, le piazze e le strade che percoriamo, i luoghi che scegliamo di frequentare, la storia che desideriamo custodire.

    Una città, una comunità, allora, è bella, accogliente, curata, pulita e coinvolgente se entrano in azione soggetti disposti a dedicare tempo, idee, iniziative per renderla tale.

    Anche le nostre parrocchie nel loro camminare insieme come comunità pastorale possono offrire spazi, iniziative, tempi e luoghi d’incontro nella misura in cui volti e storie entrano in azione.

    Iniziare questo settembre è occasione per arrivare a dire: “ci sono”, “questa città”, “questa Chiesa” è nostra e solo noi abbiamo le forze per renderla città amata, bella, pulita; e solo noi con totale fiducia in Dio, possiamo dare vita, comunione, opportunità a molti.

  • Chiamare Dio Padre

    Chiamare Dio Padre

    Chi ha avuto la pazienza di leggere nelle scorse settimane le note introduttive alla preghiera si sarà accorto che pregare chiede un cuore e una mente semplice.

    In fondo, anche se le modalità sono diverse, pregare è “prendere sul serio la libertà di chiamare Dio nostro Padre, fiduciosi nella testimonianza di Gesù”. Per aiutare questa esperienza offro qualche riferimento biblico per entrare nel dialogo da figli con Dio che è Padre:

    1. Nel Vangelo di Giovanni ascoltiamo:

    “Dio nessuno lo ha mai visto: Il Figlio unigenito che è Dio

    ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”

    Gio (1,18)

    Nell’affermazione conclusiva del prologo l’Evangelista Giovanni ci ricorda che Dio non si nasconde più, ma in Gesù si fa incontrare. Al tempo stesso ci invita ad aprire le nostre esistenze a questo manifestarsi del volto del Padre perché è nella reciprocità che avviene l’incontro.

    1. Nel Vangelo di Matteo ascoltiamo:

    “In quel tempo Gesù disse: ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai colti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza …

    Matteo (11,25-27)

    Per arrivare a chiamare Dio con il nome di Padre e avere una relazione da figli, Gesù ci ricorda che è necessario abbandonare ogni forma di arroganza ed entrare nel dialogo della preghiera con cuore mite e accogliente. Il cuore mite e accogliente è quello di un uomo e di una donna che vivono una relazione d’amore libera e totalmente fiduciosa. Pregare, allora chiede un cuore mite, umile, accogliente, che non avanza pretese ma si consegna ad un rapporto d’amore libero e gratuito. La prima qualità della preghiera non è quello di chiedere, ma di rendere grazie, lodare, riconoscere la totalità dell’Amore di Dio. Ma chi ci fa conoscere questo Amore del Padre?

    1. Nel Vangelo di Giovanni ascoltiamo:

    “Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: mostraci il Padre?

    Giovanni (14,8-9)

    Dio noi lo incontriamo e con lui dialoghiamo grazie a Gesù. Scrive P. Pasolini a commento del brano di Vangelo:

    “Gesù, durante la vita pubblica si è accorto che testimoniarci e trasmetterci il volto del Padre significa purificare il nostro cuore dalla tenebra più radicata e velenosa, quella che ci porta a immaginare un Dio lontano, indifferente o addirittura ostile alla nostra vita”.

    Il percorso di introduzione alla preghiera proposta in queste domeniche estive si conclude con questo articolo. La speranza che ho nel cuore è di aver aiutato qualcuno dei lettori a prendere coscienza che la preghiera non è anzitutto un momento in cui chiediamo qualcosa ma un tempo nel quale entriamo in dialogo con Dio.

    Ancora con le parole di P. Pasolini:

    “Quando preghiamo stiamo educando il nostro amore a credere che la persona a cui rivolgiamo la voce è il Padre che ha realmente a cuore la nostra vita”.

  • Sono in ascolto

    Sono in ascolto

    L’esperienza della preghiera non è sempre così facile. Ognuno di noi sperimenta situazioni di vita dove la preghiera è affaticata, non cercata o addirittura temuta.

    E’ ancora il racconto evangelico dell’annuncio dell’Angelo a Maria a orientare la nostra preghiera nei tempi di fatica e timore. Nel Vangelo di Luca, capitolo 1 versetto 30, ascoltiamo:

    “L’Angelo le disse: <non temere Maria, perché hai trovato Grazia presso Dio>”

    Da quale paura è attraversata la preghiera di Maria di Nazareth e da quale paura può essere attraversata la nostra preghiera?

    Offro qualche spunto che, per ragioni di chiarezza, sintetizzo in questi passaggi:

    1. Avere paura non è mancanza di fede e di fiducia. Avere paura è reagire di fronte a situazioni di pericolo o di complessità.
    2. Nel contesto del dialogo tra l’Angelo e la Vergine risuona l’invito a “non avere paura”, e cioè a non soffermarsi sulle emozioni provocate da un annuncio inatteso, ma a cogliere che, quanto Dio le sta chiedendo, è la realizzazione di un desiderio reale: l’esperienza di un Dio che non ci illude, né inganna ma ci cerca fino a mettere in campo la più decisiva delle scelte possibili che è quella di incarnarsi, di rendersi sperimentabile e incontrabile.
    3. Nell’esperienza di preghiera che fa Maria di Nazareth ci si accorge che, pregando, la libertà di Dio e quella dell’uomo si cercano reciprocamente per incontrarsi. E l’incontro è il dono della Grazia da parte di Dio e del riconoscimento del dono da parte nostra.

    Acutamente P. Pasolini afferma:

    “domanda e offerta si incontrano nelle preghiere quando il dialogo si muove al livello del grazie, cioè nello spazio delle cose libere e gratuite. Scoprire e afferrare la Grazia, mentre stiamo pregando, vuol dire scegliere Dio per quello che è realmente: un meraviglioso Artista in grado di fare della nostra vita un capolavoro d’Amore”.

    1. Mentre prega la Vergine di Nazareth intuisce e comprende che la questione decisiva della vita è permettere a Dio di arrivare a fare di lei uno strumento che, liberamente si possa a sua volta donare per il bene, la gioia, la felicità di tanti.

    Si può concludere questo ulteriore passo nell’introduzione alla preghiera riconoscendo che “anche il nostro pregare cresce nella misura in cui riusciamo ad andare oltre la paura di accogliere quello che Dio, il Padre, vuole da noi”.

    Il suggerimento di questa settimana è allora quello di pregare personalmente e comunitariamente interrogando e approfondendo ciò che maggiormente ci tocca in questo periodo.

    Solo così possiamo avviare un dialogo con Dio parlando a Lui, ma anche permettendo a Lui di parlarci …

    Parla, Signore, il tuo figlio è in ascolto!

  • Pregare è ascoltare

    Pregare è ascoltare

    Ognuno di noi ha certamente fatto esperienza che pregare non è solo il momento dove dire qualcosa a Dio ma, anche, mettersi in ascolto di quanto Dio vuole comunicare a noi.

    Una delle parole che maggiormente ripetiamo nei nostri discorsi è IO. Di per se non c’è niente di male nella misura in cui percepiamo di essere in dialogo con un TU. Il rischio da evitare per fare reale esperienza di preghiera è proprio quello di impedire a Dio, al Tu di Dio, di parlarci.

    Nel Vangelo secondo Matteo, proprio offrendo un insegnamento sulla preghiera, Gesù dice:

    “pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perchè il Padre sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”.

    Con questo annuncio Gesù ci viene a dire che il Padre conosce le nostre richieste ancor prima che noi le rivolgiamo a Lui.

    Se le cose stanno così perchè pregare?

    Nell’ Antico Testamento, precisamente nel libro del Deuteronomio, possiamo individuare l’atteggiamento fondamentale del credente quando si pone davanti a Dio: “ascolta, Israele”.

    Perciò pregare è anzitutto metterci in ascolto di Dio, del suo amore per me ma anche del fatto che è Lui a cercarmi per primo. La preghiera è anzitutto un tempo di ascolto di Dio per imparare a conoscerlo e per sperimentare quanto tiene a ciascuno di noi. Il profeta Isaia è convinto che, se permettiamo a Dio di rivolgerci la sua Parola, il risultato è più che garantito. Infatti:

    “come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perchè dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.

    Il senso pieno della preghiera è proprio quello di toccare con mano che Dio non è distante da noi, non è estraneo alla nostra vita ma, Lui per primo, vuole la nostra beatitudine e cioè la nostra pace interiore.

    Con le parole di P. Pasolini si può affermare che “il fine a cui la preghiera ci vuole condurre è: ascoltare così tanto e così bene la voce di Dio fino a scoprire che il frutto più maturo della nostra vita non è qualcosa da difendere o conquistare. Infatti il frutto più necessario per la nostra vita è il dono che matura nel silenzio. A noi è dato di accoglierlo e custodirlo, con tutto il cuore .

    Conoscere e assumere questo destino è imparare a pregare”

    Per entrare in questo dialogo ripetiamo con il Salmo:
    Lampada per i miei passi, Signore, è la tua Parola; luce sul mio cammino

    don Mauro

  • A don Elio con riconoscenza

    A don Elio con riconoscenza

    Ho tra le mani uno dei libri pubblicati da mons. Elio Burlon e, precisamente, un itinerario di riscoperta della fede che ha come titolo “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. La caratteristica della proposta descrive molto bene la pers­onalità di don Elio. A partire da alcuni brani del Vangelo riletti e presentati con la competenza di un uomo di cultura biblica e di intensa spiritualità, suggerisce al lettore un itinerario di vita cristiana.

    La comunità pastorale di S. Teresa di Gesù Bambino deve molta riconoscenza a don Elio che, dal 2002 come prevosto e dal 2010 al 2016 come primo responsabile della Comunità pastorale S. Teresa di Gesù Bambino, ha speso molti anni a servizio della Chiesa in Desio. Ha favorito il cammino comune tra le Parrocchie, ha animato proposte di formazione biblica e culturale, ha mantenuto il tratto di un pastore dedito alle situazioni di bisogno promuovendo la Caritas cittadina. Siamo riconoscenti a don Elio e, mentre ne raccogliamo l’eredità spirituale e pastorale, suggerisco di rileggere alcune della pagine da lui scritte nel testo che ho citato sopra. In particolare il ca­pi­to­lo 22 che ha come titolo “I tre pilastri della vita cristiana”. Rileggendo con precisione e profondità tre brani di Vangelo cioè la parabola del Buon Pastore, l’incontro di Gesù con Marta e Maria e l’insegnamento della preghiera del Padre Nostro, don Elio indica ciò che è essenziale e decisivo per la vita cristiana

    1. è fondamentale innanzi tutto che il nostro “fare sia davvero radicato nell’ascolto della parola di Dio che è la vera sorgente di ogni azione che porti veramente frutto”
    2. “il primo modo di rispondere alla parola di Dio è la preghiera, cioè il nostro dialogo con lui… Il cristiano che prega si sente sempre strettamente solidale con Lui e, in definitiva, con tutti gli uomini.”
    3. “l’ascolto della parola di Dio e la preghiera, quando sono autentici, generano nella vita del cristiano il frutto maturo dell’amore misericordioso”

    Grazie don Elio perché da attento uditore della Parola di Dio sei stato e continui ad essere per noi tutti un uomo credibile, nuova creatura perché in Cristo sei morto e risorto.

    Don Mauro