Autore: don Mauro Barlassina

  • Parole per …

    Parole per …

    Ogni giorno ascoltiamo e pronunciamo migliaia di parole. Spesso sono parole che offendono e diventano contraddittorie. Parole che possono denigrare o scoraggiare, parole che non sanno raccontare niente.

    La rete, i social e molti strumenti di comunicazione non cercano parole capaci di sostenere, maturare, incoraggiare, ma semplicemente pronunciano parole a volte insignificanti, senza corrispondenza alla realtà e finalizzate a cercare “audience”, se non vere e proprie conflittualità. Alludere, insinuare sospetti, produrre “fake news” è uno dei tratti tipici di certe forme di comunicazione.

    Anche nei nostri contesti non sempre è possibile capire se quanto viene affermato descrive la realtà oppure nasconda inerzie e incapacità ad affrontare problemi e trovare soluzioni. Molte parole sono inutili, fuorvianti, dette per rimandare scelte e decisioni necessarie per il bene di una comunità. Il linguaggio della burocrazia, a volte sembra creato apposta per non favorire comprensione e impedire di passare dalle parole ai fatti, per salvaguardare interessi parziali a immobilizzare decisioni necessarie ad uno sviluppo di una data realtà.

    Senza escludere che vi sono ancora parole “belle”, “buone” e “vere” nel cuore e sulle labbra di molti, noi discepoli di Gesù non possiamo che cercare di essere uomini e donne di Parola. Nel senso di essere pronti a rendere ragione della speranza che è in noi per dare volto a ciò che motiva, sostiene e incoraggia. Per dare volto alle parole che prendono vita dalla Parola che non banalizza ne inganna: Gesù Parola fatta carne e concretezza del volto di Dio.

  • Iniziare

    Iniziare

    Oggi inizia il mese di settembre. Un mese caratterizzato dalla ripresa di molte attività e impegni.

    Nelle scorse settimane, riflettendo e osservando la città, mi è apparso ancor più evidente di quante ricchezze umane siamo custodi, ma anche di quali responsabilità siamo investiti.

    Una città, una comunità di uomini e donne, non si fa da sé; è edificata da molti che si coinvolgono e si lasciano coinvolgere a rendere più bello e accogliente lo spazio che abitiamo, le piazze e le strade che percoriamo, i luoghi che scegliamo di frequentare, la storia che desideriamo custodire.

    Una città, una comunità, allora, è bella, accogliente, curata, pulita e coinvolgente se entrano in azione soggetti disposti a dedicare tempo, idee, iniziative per renderla tale.

    Anche le nostre parrocchie nel loro camminare insieme come comunità pastorale possono offrire spazi, iniziative, tempi e luoghi d’incontro nella misura in cui volti e storie entrano in azione.

    Iniziare questo settembre è occasione per arrivare a dire: “ci sono”, “questa città”, “questa Chiesa” è nostra e solo noi abbiamo le forze per renderla città amata, bella, pulita; e solo noi con totale fiducia in Dio, possiamo dare vita, comunione, opportunità a molti.

  • Chiamare Dio Padre

    Chiamare Dio Padre

    Chi ha avuto la pazienza di leggere nelle scorse settimane le note introduttive alla preghiera si sarà accorto che pregare chiede un cuore e una mente semplice.

    In fondo, anche se le modalità sono diverse, pregare è “prendere sul serio la libertà di chiamare Dio nostro Padre, fiduciosi nella testimonianza di Gesù”. Per aiutare questa esperienza offro qualche riferimento biblico per entrare nel dialogo da figli con Dio che è Padre:

    1. Nel Vangelo di Giovanni ascoltiamo:

    “Dio nessuno lo ha mai visto: Il Figlio unigenito che è Dio

    ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”

    Gio (1,18)

    Nell’affermazione conclusiva del prologo l’Evangelista Giovanni ci ricorda che Dio non si nasconde più, ma in Gesù si fa incontrare. Al tempo stesso ci invita ad aprire le nostre esistenze a questo manifestarsi del volto del Padre perché è nella reciprocità che avviene l’incontro.

    1. Nel Vangelo di Matteo ascoltiamo:

    “In quel tempo Gesù disse: ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai colti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza …

    Matteo (11,25-27)

    Per arrivare a chiamare Dio con il nome di Padre e avere una relazione da figli, Gesù ci ricorda che è necessario abbandonare ogni forma di arroganza ed entrare nel dialogo della preghiera con cuore mite e accogliente. Il cuore mite e accogliente è quello di un uomo e di una donna che vivono una relazione d’amore libera e totalmente fiduciosa. Pregare, allora chiede un cuore mite, umile, accogliente, che non avanza pretese ma si consegna ad un rapporto d’amore libero e gratuito. La prima qualità della preghiera non è quello di chiedere, ma di rendere grazie, lodare, riconoscere la totalità dell’Amore di Dio. Ma chi ci fa conoscere questo Amore del Padre?

    1. Nel Vangelo di Giovanni ascoltiamo:

    “Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: mostraci il Padre?

    Giovanni (14,8-9)

    Dio noi lo incontriamo e con lui dialoghiamo grazie a Gesù. Scrive P. Pasolini a commento del brano di Vangelo:

    “Gesù, durante la vita pubblica si è accorto che testimoniarci e trasmetterci il volto del Padre significa purificare il nostro cuore dalla tenebra più radicata e velenosa, quella che ci porta a immaginare un Dio lontano, indifferente o addirittura ostile alla nostra vita”.

    Il percorso di introduzione alla preghiera proposta in queste domeniche estive si conclude con questo articolo. La speranza che ho nel cuore è di aver aiutato qualcuno dei lettori a prendere coscienza che la preghiera non è anzitutto un momento in cui chiediamo qualcosa ma un tempo nel quale entriamo in dialogo con Dio.

    Ancora con le parole di P. Pasolini:

    “Quando preghiamo stiamo educando il nostro amore a credere che la persona a cui rivolgiamo la voce è il Padre che ha realmente a cuore la nostra vita”.

  • Sono in ascolto

    Sono in ascolto

    L’esperienza della preghiera non è sempre così facile. Ognuno di noi sperimenta situazioni di vita dove la preghiera è affaticata, non cercata o addirittura temuta.

    E’ ancora il racconto evangelico dell’annuncio dell’Angelo a Maria a orientare la nostra preghiera nei tempi di fatica e timore. Nel Vangelo di Luca, capitolo 1 versetto 30, ascoltiamo:

    “L’Angelo le disse: <non temere Maria, perché hai trovato Grazia presso Dio>”

    Da quale paura è attraversata la preghiera di Maria di Nazareth e da quale paura può essere attraversata la nostra preghiera?

    Offro qualche spunto che, per ragioni di chiarezza, sintetizzo in questi passaggi:

    1. Avere paura non è mancanza di fede e di fiducia. Avere paura è reagire di fronte a situazioni di pericolo o di complessità.
    2. Nel contesto del dialogo tra l’Angelo e la Vergine risuona l’invito a “non avere paura”, e cioè a non soffermarsi sulle emozioni provocate da un annuncio inatteso, ma a cogliere che, quanto Dio le sta chiedendo, è la realizzazione di un desiderio reale: l’esperienza di un Dio che non ci illude, né inganna ma ci cerca fino a mettere in campo la più decisiva delle scelte possibili che è quella di incarnarsi, di rendersi sperimentabile e incontrabile.
    3. Nell’esperienza di preghiera che fa Maria di Nazareth ci si accorge che, pregando, la libertà di Dio e quella dell’uomo si cercano reciprocamente per incontrarsi. E l’incontro è il dono della Grazia da parte di Dio e del riconoscimento del dono da parte nostra.

    Acutamente P. Pasolini afferma:

    “domanda e offerta si incontrano nelle preghiere quando il dialogo si muove al livello del grazie, cioè nello spazio delle cose libere e gratuite. Scoprire e afferrare la Grazia, mentre stiamo pregando, vuol dire scegliere Dio per quello che è realmente: un meraviglioso Artista in grado di fare della nostra vita un capolavoro d’Amore”.

    1. Mentre prega la Vergine di Nazareth intuisce e comprende che la questione decisiva della vita è permettere a Dio di arrivare a fare di lei uno strumento che, liberamente si possa a sua volta donare per il bene, la gioia, la felicità di tanti.

    Si può concludere questo ulteriore passo nell’introduzione alla preghiera riconoscendo che “anche il nostro pregare cresce nella misura in cui riusciamo ad andare oltre la paura di accogliere quello che Dio, il Padre, vuole da noi”.

    Il suggerimento di questa settimana è allora quello di pregare personalmente e comunitariamente interrogando e approfondendo ciò che maggiormente ci tocca in questo periodo.

    Solo così possiamo avviare un dialogo con Dio parlando a Lui, ma anche permettendo a Lui di parlarci …

    Parla, Signore, il tuo figlio è in ascolto!

  • Pregare è ascoltare

    Pregare è ascoltare

    Ognuno di noi ha certamente fatto esperienza che pregare non è solo il momento dove dire qualcosa a Dio ma, anche, mettersi in ascolto di quanto Dio vuole comunicare a noi.

    Una delle parole che maggiormente ripetiamo nei nostri discorsi è IO. Di per se non c’è niente di male nella misura in cui percepiamo di essere in dialogo con un TU. Il rischio da evitare per fare reale esperienza di preghiera è proprio quello di impedire a Dio, al Tu di Dio, di parlarci.

    Nel Vangelo secondo Matteo, proprio offrendo un insegnamento sulla preghiera, Gesù dice:

    “pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perchè il Padre sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”.

    Con questo annuncio Gesù ci viene a dire che il Padre conosce le nostre richieste ancor prima che noi le rivolgiamo a Lui.

    Se le cose stanno così perchè pregare?

    Nell’ Antico Testamento, precisamente nel libro del Deuteronomio, possiamo individuare l’atteggiamento fondamentale del credente quando si pone davanti a Dio: “ascolta, Israele”.

    Perciò pregare è anzitutto metterci in ascolto di Dio, del suo amore per me ma anche del fatto che è Lui a cercarmi per primo. La preghiera è anzitutto un tempo di ascolto di Dio per imparare a conoscerlo e per sperimentare quanto tiene a ciascuno di noi. Il profeta Isaia è convinto che, se permettiamo a Dio di rivolgerci la sua Parola, il risultato è più che garantito. Infatti:

    “come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perchè dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.

    Il senso pieno della preghiera è proprio quello di toccare con mano che Dio non è distante da noi, non è estraneo alla nostra vita ma, Lui per primo, vuole la nostra beatitudine e cioè la nostra pace interiore.

    Con le parole di P. Pasolini si può affermare che “il fine a cui la preghiera ci vuole condurre è: ascoltare così tanto e così bene la voce di Dio fino a scoprire che il frutto più maturo della nostra vita non è qualcosa da difendere o conquistare. Infatti il frutto più necessario per la nostra vita è il dono che matura nel silenzio. A noi è dato di accoglierlo e custodirlo, con tutto il cuore .

    Conoscere e assumere questo destino è imparare a pregare”

    Per entrare in questo dialogo ripetiamo con il Salmo:
    Lampada per i miei passi, Signore, è la tua Parola; luce sul mio cammino

    don Mauro

  • A don Elio con riconoscenza

    A don Elio con riconoscenza

    Ho tra le mani uno dei libri pubblicati da mons. Elio Burlon e, precisamente, un itinerario di riscoperta della fede che ha come titolo “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. La caratteristica della proposta descrive molto bene la pers­onalità di don Elio. A partire da alcuni brani del Vangelo riletti e presentati con la competenza di un uomo di cultura biblica e di intensa spiritualità, suggerisce al lettore un itinerario di vita cristiana.

    La comunità pastorale di S. Teresa di Gesù Bambino deve molta riconoscenza a don Elio che, dal 2002 come prevosto e dal 2010 al 2016 come primo responsabile della Comunità pastorale S. Teresa di Gesù Bambino, ha speso molti anni a servizio della Chiesa in Desio. Ha favorito il cammino comune tra le Parrocchie, ha animato proposte di formazione biblica e culturale, ha mantenuto il tratto di un pastore dedito alle situazioni di bisogno promuovendo la Caritas cittadina. Siamo riconoscenti a don Elio e, mentre ne raccogliamo l’eredità spirituale e pastorale, suggerisco di rileggere alcune della pagine da lui scritte nel testo che ho citato sopra. In particolare il ca­pi­to­lo 22 che ha come titolo “I tre pilastri della vita cristiana”. Rileggendo con precisione e profondità tre brani di Vangelo cioè la parabola del Buon Pastore, l’incontro di Gesù con Marta e Maria e l’insegnamento della preghiera del Padre Nostro, don Elio indica ciò che è essenziale e decisivo per la vita cristiana

    1. è fondamentale innanzi tutto che il nostro “fare sia davvero radicato nell’ascolto della parola di Dio che è la vera sorgente di ogni azione che porti veramente frutto”
    2. “il primo modo di rispondere alla parola di Dio è la preghiera, cioè il nostro dialogo con lui… Il cristiano che prega si sente sempre strettamente solidale con Lui e, in definitiva, con tutti gli uomini.”
    3. “l’ascolto della parola di Dio e la preghiera, quando sono autentici, generano nella vita del cristiano il frutto maturo dell’amore misericordioso”

    Grazie don Elio perché da attento uditore della Parola di Dio sei stato e continui ad essere per noi tutti un uomo credibile, nuova creatura perché in Cristo sei morto e risorto.

    Don Mauro

  • Tempo e luogo per “destare il cuore”

    Tempo e luogo per “destare il cuore”

    Per vivere l’esperienza della preghiera, come abbiamo visto nell’articolo di domenica scorsa, non si tratta anzitutto di imparare delle tecniche, ma di “destare il cuore”.

    Se la preghiera è, come afferma Fra Roberto Pasolini nel libro “Iniziazione alla preghiera”, l’incontro delicato e intimo tra la voce della nostra anima e il cuore misericordioso di Dio, è necessario desiderare e preparare tale incontro.

    Per questo motivo, diventa indispensabile decidere un tempo sufficientemente ampio per avviare e sperimentare il dialogo d’amore.

    Spesso i ritmi delle nostre giornate sono impegnativi, le scadenze e gli impegni da ottemperare sembrano non permettere questo “stacco” per dialogare con Dio.

    Eppure, una scelta di questo tipo fa bene perché, nutrendo il nostro cuore nel dialogo “d’amore”, possiamo tornare ad affrontare gli stessi impegni con animo pacificato e rapportarci a noi stessi e agli altri con un cuore maggiormente disposto ad ascoltare, comprendere, annunciare ciò che è fondamentale per vivere.

    Scegliere di pregare, perciò, chiede di definire, nei limiti del possibile, quando dedicarsi all’incontro con il Signore.

    Per alcuni, è più facile il raccoglimento il mattino presto, mentre per altri la sera tardi, dopo aver vissuto le varie occupazioni quotidiane. Sta a ciascuno di noi individuare il tempo favorevole lungo l’arco della giornata, ma si tratta comunque di una scelta.

    Leggendo e meditando il Vangelo, ci accorgiamo che Gesù, pur nel ritmo vorticoso delle sue giornate, preferiva il mattino presto. Nel Vangelo di Marco si trova scritto:

    Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirava in un luogo deserto e là pregava” (Marco 1, 35).

    Accanto al tempo, è importante individuare anche un luogo adatto per la preghiera.

    Pregare in casa è possibile ma, soprattutto per chi abita con altri della famiglia, è utile individuare un luogo dove le distrazioni siano ridotte al minimo, meglio se preparato con una Bibbia, un’icona, o un crocifisso.

    A volte, per gli sposi, è favorevole pregare nella propria camera e insieme, con l’aiuto di un brano del Vangelo o con altre forme di preghiera.

    Consapevole che non sempre è possibile, quando si è all’inizio di un itinerario di preghiera, non va trascurata la scelta della Chiesa vicina alla nostra casa o al luogo di lavoro oppure, durante le vacanze, un luogo particolarmente silenzioso nel contesto della natura.

    Elia, il profeta, è proprio nel deserto che fa esperienza della presenza di Dio.

    Suggerisco, allora, di pregare ascoltando l’esperienza di Elia:

    Gli fu detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò.
    Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.  Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.  

    Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

    Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?” ( 1Re 19, 11-13)

  • Alla ricerca del dialogo

    Alla ricerca del dialogo

    I mesi di luglio e agosto possono essere un tempo nel quale recuperare qualche spazio di silenzio e raccoglimento. E’ opportunità anche per vivere con maggiore calma la preghiera.

    A partire da oggi, questa prima pagina di ‘Comunità in cammino’ offre qualche spunto per favorire la preghiera personale.

    Attingo ampiamente da un libro che consiglio, dal titolo “Iniziazione alla preghiera” di padre Roberto Pasolini, pubblicato dalla casa editrice San Paolo.  

    Premessa:

    Non è mai possibile parlare in astratto della preghiera, perché è un’esperienza nella quale decidere di lasciarsi coinvolgere. Diversamente, si cade nel ragionamento astratto che, con il passare del tempo, rende sterile e non percorribile il dialogo con l’Assoluto.

    Mantenendo aperto questo orizzonte, si può affermare che:

    1. Da sempre gli esseri umani, uomini e donne con volti e storie concrete, hanno espresso il desiderio di rivolgersi a Dio con parole, canti, riti, orazioni.

    Perciò, è fondamentale chiedersi da dove nasca questo bisogno.

    Sant’Agostino lo dice, con lucidità, quando afferma che “il cuore dell’uomo è inquieto finché non riposa in Dio”.

    Si può asserire che, nella preghiera, sono in gioco due interlocutori: l’uomo o la donna che cerca Dio e Dio che viene di continuo in nostra ricerca.

    1. Con la morte e la resurrezione di Cristo, il dialogo tra Dio e gli uomini si è intensificato ed è ancora più necessario.

    Scrive padre Pasolini:

    Non potendo più sopportare la distanza che si era creata tra noi e lui, Dio non si è accontentato di avvicinarsi alla nostra umanità, mettendo in fuga paura e vergogna: ha voluto donarci lo Spirito Santo per ridare vitalità a quella confidenza così necessaria per vivere da figlie e figli amati”.

    Cos’è allora la preghiera? Un mistero indescrivibile?

    E’ certamente una esperienza non dicibile nella sua efficacia, ma si può affermare che la persona che prega usa parole, espressioni, vive silenzi e atteggiamenti con cui entra nel dialogo d’amore con Dio Padre.

    E’ un dialogo tanto più efficace e concreto, quanto più è libero sia da parte di Dio che da parte nostra. Suggerisco di pregare così per iniziare questo dialogo:

    Apri il mio cuore e le mie labbra, Signore, perché con libertà possa arrivare a riconoscere che Tu mi stai cercando”.  

  • “Basta”: molto più di un grido

    “Basta”: molto più di un grido

    Alcune parole fanno pensare: Altre, non solo fanno pensare, altre spronano, dopo aver pensato, ad agire in modo rinnovato, come conseguenza del pensiero e della preghiera.

    Una di queste parole è posta come titolo alla proposta pastorale che l’Arcivescovo Mario ci ha offerto in questo giorni: BASTA!

    In che senso BASTA? E’ un grido accorato e, forse, drammatico, oppure una via per affrontare la complessità di vicende sempre più inestricabili?

    Leggendo la proposta pastorale ci si accorge che si tratta di un grido di in­sof­ferenza, di ribellione verso il male che abita l’oggi della storia.

    Il male che ha il volto delle guerre, dei conflitti interpersonali sempre più ac­ce­si, della relativizzazione di ogni scelta e della tendenza a voler definire ‘bene’ anche ciò che fa soffrire e che frantuma l’armonia e la pace del cuore.

    Eppure, non è solo un grido accorato, ma anche l’annuncio della novità cristiana, così attuale e necessaria al nostro contesto.

    Scrive l’Arcivescovo che “è proprio questo senso di impotenza a trovare una risposta nella proposta cristiana. Il Signore parla a Paolo, che si lamenta dei limiti che gli impone la sua fragilità, dicendogli: “Ti basta la mia Grazia”.

    Dunque, questo legame tra l’insofferenza per l’intollerabile e la fiducia nella grazia del Signore, può essere l’argomento che permette di dire che abbiamo ragioni per sperare, per lottare, per pensare?

    Nell’anniversario dell’Anno Santo, una proposta così ci permette di pregare, pensare, parlare, protestare e, anche, agire, perché noi non siamo quello che facciamo nella frenesia di un ritmo spesso eccessivamente vertiginoso, ma uomini e donne che vivono anzitutto perché “Dio solo basta”.

    E, nella scoperta di questa realtà, siamo costruttori di pace e speranza. 

  • A stupire è … la speranza

    A stupire è … la speranza

    Nella notte di Natale di quest’anno inizierà l’Anno Santo.

    Ogni 25 anni, la Chiesa ci ricorda un dono particolare, offerto da Dio, ad ogni persona: il perdono. Il tema di questo Anno Santo è presentato con una frase della lettera di San Paolo apostolo ai Romani: “ la speranza non delude” (Rom. 5).

    È concreta la speranza, oppure è un’illusione per risolvere interrogativi ineludibili, ma altrettanto irrisolvibili?

    Charles Péguy, un autore francese che ha lasciato pagine straordinarie al riguardo, scrive che:

    “Per sperare, bambina mia, bisogna aver ricevuto una grande grazia”.

    E il nostro concittadino don Luigi Giussani ci ricorda che “La speranza è una certezza nel futuro in forza di una realtà presente”.

    Ogni nostra giornata, per essere affrontata e non subita, non può che essere mossa da una speranza.

    Quale speranza ci muove? Quali attese sostengono il nostro agire quotidiano?

    Sia Péguy che don Giussani ci indicano che all’origine della speranza c’è un fatto che non delude ed è l’amore di Dio che si fa realtà in Cristo Gesù, nella sua presenza oggi nella storia.

    San Paolo, sempre nella lettera ai romani, scrive: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (Rom. 5, 1-2.5).

    In altre parole, le ragioni della speranza sono inscindibili dalla fede, che opera nei gesti di carità concreta.

    Scrive un autore:

    La speranza dona alla nostra povera vita una prospettiva infinita, eterna…. La speranza ci introduce nella dimora, nella dimensione eterna, infinita di Dio”.

    La roccia, da cui sgorga la nostra speranza quotidiana, è il Crocifisso Risorto.