Autore: don Mauro Barlassina

  • Tempo e luogo per “destare il cuore”

    Tempo e luogo per “destare il cuore”

    Per vivere l’esperienza della preghiera, come abbiamo visto nell’articolo di domenica scorsa, non si tratta anzitutto di imparare delle tecniche, ma di “destare il cuore”.

    Se la preghiera è, come afferma Fra Roberto Pasolini nel libro “Iniziazione alla preghiera”, l’incontro delicato e intimo tra la voce della nostra anima e il cuore misericordioso di Dio, è necessario desiderare e preparare tale incontro.

    Per questo motivo, diventa indispensabile decidere un tempo sufficientemente ampio per avviare e sperimentare il dialogo d’amore.

    Spesso i ritmi delle nostre giornate sono impegnativi, le scadenze e gli impegni da ottemperare sembrano non permettere questo “stacco” per dialogare con Dio.

    Eppure, una scelta di questo tipo fa bene perché, nutrendo il nostro cuore nel dialogo “d’amore”, possiamo tornare ad affrontare gli stessi impegni con animo pacificato e rapportarci a noi stessi e agli altri con un cuore maggiormente disposto ad ascoltare, comprendere, annunciare ciò che è fondamentale per vivere.

    Scegliere di pregare, perciò, chiede di definire, nei limiti del possibile, quando dedicarsi all’incontro con il Signore.

    Per alcuni, è più facile il raccoglimento il mattino presto, mentre per altri la sera tardi, dopo aver vissuto le varie occupazioni quotidiane. Sta a ciascuno di noi individuare il tempo favorevole lungo l’arco della giornata, ma si tratta comunque di una scelta.

    Leggendo e meditando il Vangelo, ci accorgiamo che Gesù, pur nel ritmo vorticoso delle sue giornate, preferiva il mattino presto. Nel Vangelo di Marco si trova scritto:

    Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirava in un luogo deserto e là pregava” (Marco 1, 35).

    Accanto al tempo, è importante individuare anche un luogo adatto per la preghiera.

    Pregare in casa è possibile ma, soprattutto per chi abita con altri della famiglia, è utile individuare un luogo dove le distrazioni siano ridotte al minimo, meglio se preparato con una Bibbia, un’icona, o un crocifisso.

    A volte, per gli sposi, è favorevole pregare nella propria camera e insieme, con l’aiuto di un brano del Vangelo o con altre forme di preghiera.

    Consapevole che non sempre è possibile, quando si è all’inizio di un itinerario di preghiera, non va trascurata la scelta della Chiesa vicina alla nostra casa o al luogo di lavoro oppure, durante le vacanze, un luogo particolarmente silenzioso nel contesto della natura.

    Elia, il profeta, è proprio nel deserto che fa esperienza della presenza di Dio.

    Suggerisco, allora, di pregare ascoltando l’esperienza di Elia:

    Gli fu detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò.
    Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.  Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.  

    Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

    Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?” ( 1Re 19, 11-13)

  • Alla ricerca del dialogo

    Alla ricerca del dialogo

    I mesi di luglio e agosto possono essere un tempo nel quale recuperare qualche spazio di silenzio e raccoglimento. E’ opportunità anche per vivere con maggiore calma la preghiera.

    A partire da oggi, questa prima pagina di ‘Comunità in cammino’ offre qualche spunto per favorire la preghiera personale.

    Attingo ampiamente da un libro che consiglio, dal titolo “Iniziazione alla preghiera” di padre Roberto Pasolini, pubblicato dalla casa editrice San Paolo.  

    Premessa:

    Non è mai possibile parlare in astratto della preghiera, perché è un’esperienza nella quale decidere di lasciarsi coinvolgere. Diversamente, si cade nel ragionamento astratto che, con il passare del tempo, rende sterile e non percorribile il dialogo con l’Assoluto.

    Mantenendo aperto questo orizzonte, si può affermare che:

    1. Da sempre gli esseri umani, uomini e donne con volti e storie concrete, hanno espresso il desiderio di rivolgersi a Dio con parole, canti, riti, orazioni.

    Perciò, è fondamentale chiedersi da dove nasca questo bisogno.

    Sant’Agostino lo dice, con lucidità, quando afferma che “il cuore dell’uomo è inquieto finché non riposa in Dio”.

    Si può asserire che, nella preghiera, sono in gioco due interlocutori: l’uomo o la donna che cerca Dio e Dio che viene di continuo in nostra ricerca.

    1. Con la morte e la resurrezione di Cristo, il dialogo tra Dio e gli uomini si è intensificato ed è ancora più necessario.

    Scrive padre Pasolini:

    Non potendo più sopportare la distanza che si era creata tra noi e lui, Dio non si è accontentato di avvicinarsi alla nostra umanità, mettendo in fuga paura e vergogna: ha voluto donarci lo Spirito Santo per ridare vitalità a quella confidenza così necessaria per vivere da figlie e figli amati”.

    Cos’è allora la preghiera? Un mistero indescrivibile?

    E’ certamente una esperienza non dicibile nella sua efficacia, ma si può affermare che la persona che prega usa parole, espressioni, vive silenzi e atteggiamenti con cui entra nel dialogo d’amore con Dio Padre.

    E’ un dialogo tanto più efficace e concreto, quanto più è libero sia da parte di Dio che da parte nostra. Suggerisco di pregare così per iniziare questo dialogo:

    Apri il mio cuore e le mie labbra, Signore, perché con libertà possa arrivare a riconoscere che Tu mi stai cercando”.  

  • “Basta”: molto più di un grido

    “Basta”: molto più di un grido

    Alcune parole fanno pensare: Altre, non solo fanno pensare, altre spronano, dopo aver pensato, ad agire in modo rinnovato, come conseguenza del pensiero e della preghiera.

    Una di queste parole è posta come titolo alla proposta pastorale che l’Arcivescovo Mario ci ha offerto in questo giorni: BASTA!

    In che senso BASTA? E’ un grido accorato e, forse, drammatico, oppure una via per affrontare la complessità di vicende sempre più inestricabili?

    Leggendo la proposta pastorale ci si accorge che si tratta di un grido di in­sof­ferenza, di ribellione verso il male che abita l’oggi della storia.

    Il male che ha il volto delle guerre, dei conflitti interpersonali sempre più ac­ce­si, della relativizzazione di ogni scelta e della tendenza a voler definire ‘bene’ anche ciò che fa soffrire e che frantuma l’armonia e la pace del cuore.

    Eppure, non è solo un grido accorato, ma anche l’annuncio della novità cristiana, così attuale e necessaria al nostro contesto.

    Scrive l’Arcivescovo che “è proprio questo senso di impotenza a trovare una risposta nella proposta cristiana. Il Signore parla a Paolo, che si lamenta dei limiti che gli impone la sua fragilità, dicendogli: “Ti basta la mia Grazia”.

    Dunque, questo legame tra l’insofferenza per l’intollerabile e la fiducia nella grazia del Signore, può essere l’argomento che permette di dire che abbiamo ragioni per sperare, per lottare, per pensare?

    Nell’anniversario dell’Anno Santo, una proposta così ci permette di pregare, pensare, parlare, protestare e, anche, agire, perché noi non siamo quello che facciamo nella frenesia di un ritmo spesso eccessivamente vertiginoso, ma uomini e donne che vivono anzitutto perché “Dio solo basta”.

    E, nella scoperta di questa realtà, siamo costruttori di pace e speranza. 

  • A stupire è … la speranza

    A stupire è … la speranza

    Nella notte di Natale di quest’anno inizierà l’Anno Santo.

    Ogni 25 anni, la Chiesa ci ricorda un dono particolare, offerto da Dio, ad ogni persona: il perdono. Il tema di questo Anno Santo è presentato con una frase della lettera di San Paolo apostolo ai Romani: “ la speranza non delude” (Rom. 5).

    È concreta la speranza, oppure è un’illusione per risolvere interrogativi ineludibili, ma altrettanto irrisolvibili?

    Charles Péguy, un autore francese che ha lasciato pagine straordinarie al riguardo, scrive che:

    “Per sperare, bambina mia, bisogna aver ricevuto una grande grazia”.

    E il nostro concittadino don Luigi Giussani ci ricorda che “La speranza è una certezza nel futuro in forza di una realtà presente”.

    Ogni nostra giornata, per essere affrontata e non subita, non può che essere mossa da una speranza.

    Quale speranza ci muove? Quali attese sostengono il nostro agire quotidiano?

    Sia Péguy che don Giussani ci indicano che all’origine della speranza c’è un fatto che non delude ed è l’amore di Dio che si fa realtà in Cristo Gesù, nella sua presenza oggi nella storia.

    San Paolo, sempre nella lettera ai romani, scrive: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (Rom. 5, 1-2.5).

    In altre parole, le ragioni della speranza sono inscindibili dalla fede, che opera nei gesti di carità concreta.

    Scrive un autore:

    La speranza dona alla nostra povera vita una prospettiva infinita, eterna…. La speranza ci introduce nella dimora, nella dimensione eterna, infinita di Dio”.

    La roccia, da cui sgorga la nostra speranza quotidiana, è il Crocifisso Risorto.  

  • Un uomo, un fratello, un prete.

    Un uomo, un fratello, un prete.

    Essere amici di Gesù cosa significa?

    Semplicemente vivere, oppure lasciarsi convertire il cuore e, perciò ogni decisione e azione, dall’amicizia con Cristo Gesù?

    La domanda non è fuori luogo in nessun momento, ma è ancora più per­ti­nente oggi, mentre siamo in festa per l’Ordinazione presbiterale av­ve­nuta ieri in Duomo.

    Siamo in festa per e con i 17 novelli sacerdoti, tra cui il nostro con­cit­ta­di­no Edoardo.

    Diventare preti significa qualcosa che cambia radicalmente la vita di un uo­mo, perché la rende completamente relativa a Cristo. Dove il “re­la­ti­vo” significa l’essere in relazione, lasciarsi attrarre e vivere da ami­ci di Gesù.

    Nel linguaggio evangelico diventa allora vivere non più per se stessi, ma per Cristo, a servizio della famiglia dei figli di Dio che è la Chiesa.

    La verità della sequela non è avere doti personali, ma mettere tutto di sé, comprese le migliori doti personali, a servizio dell’annuncio del Vangelo.

    Nella gioia di questo giorno, carissimo don Edoardo, vorrei augurarti di essere un uomo, un fratello, un prete, che non vive per altro se non per dare Cristo e la buona notizia che Cristo ci consegna.

    Un uomo, un fratello, un prete, che cerca ogni giorno di nutrirsi con e nella preghiera che tutto unifica in Lui. Un uomo, un fratello, un prete che, anche nella fatica e nella delusione, torna alla sorgente della propria vocazione, che è l’essere amico dell’unico Signore e Maestro.

    Un uomo, un fratello, un prete, che sta in mezzo alla gente come “testimone dell’invisibile”. La Comunità di Desio, con i suoi preti e le consacrate ti accompagna, perché tu possa essere oggi e per sempre ”Suo amico”.

    don Mauro

  • “Siete miei amici”

    “Siete miei amici”

    Nel presentarsi alla diocesi i giovani che sabato prossimo diventeranno preti hanno scelto come messaggio programmatico una frase del Vangelo di Giovanni: “Siete miei amici” (Gv 15,14)

    Poco prima della sua Morte e Risurrezione, Gesù consegna ai discepoli ciò che più sta a cuore. Ed è soprattutto una preghiera: “Conservali, Padre nel tuo amore”. E’ l’amore che rende capaci di riconoscersi figli di Dio e fratelli tra di noi.

    I giovani e meno giovani che saranno ordinati in Duomo dall’Arcivescovo Mario esprimono così una consapevolezza: non si può essere preti senza essere amici di Cristo, del Crocefisso Risorto.

    Tra questi uomini c’è anche Edoardo Mauri, conosciuto nella Comunità Pastorale, e cresciuto nella parrocchia di S. Pio X. Accogliere e celebrare la Prima Messa domenica prossima, pregare per le vie della città con don Edoardo nella processione serale del Corpus Domini non è dare rilievo a una persona, ma riconoscerci amici di Gesù, fratelli e sorelle tra noi. E’ riconoscere e ringraziare perché Cristo Gesù chiama alcuni uomini a donare nella totalità la propria vita al servizio dell’annuncio del Vangelo. E’ intercedere perché il sì di Edoardo e di ogni altro prete sia fedele, perseverante, gioioso. E’ dire anche a don Edoardo che gli siamo vicini, gioiamo con lui, preghiamo con lui e non ci dimenticheremo mai di ripetergli: “don Edoardo fidati di Cristo Gesù perché è lui a dirti: <sei mio amico>”

  • Il cuore e le mani

    Il cuore e le mani

    Nell’articolo di domenica scorsa, rileggendo l’omelia dell’Arcivescovo proposta nelle nostre Parrocchie, ho fatto emergere le prime due priorità di quelle indicate alla Comunità Pastorale.

    Oggi, proseguendo la lettura, ne faccio emergere altre.

    Ricollegandosi alla centralità della Risurrezione di Gesù, il Vescovo afferma:

    “La cultura contemporanea non vuole ascoltare, a proposito di Gesù, che sia risorto: è considerato incredibile che Dio risusciti dai morti. 
Ma il Cristiano, senza Cristo, non ha senso.”

    E, nell’annunciare questo fatto, continua Monsignor Delpini:

    
“Noi abbiamo da dire di Gesù che lo incontriamo e lo riconosciamo presente nello spezzare del pane: la liturgia, in particolare la Messa domenicale, possa essere il cuore della fede dei Cristiani nella città, adulti, giovani e bambini”.


    Prendere con seria attenzione questa priorità, è cercare di far sì che la Messa non solo sia frequentata, ma partecipata e ogni nostra Chiesa non sia “monumento”, anche se storicamente significativo, ma casa di preghiera, di silenzio, di adorazione, ascolto, lode, intercessione.
É necessario rilanciare un gruppo liturgico della città che abbia a cuore una preghiera capace di favorire l’incontro con Dio e tra di noi.

    Riconoscendo il contesto in cui, come cristiani, viviamo oggi, caratterizzato da indifferenze e ostilità, l’Arcivescovo ci offre una ulteriore consegna quando dice:
“Lo Spirito di verità ci viene donato perché la missione continui nella nostra testimonianza di oggi. Il mondo, del resto, ne ha bisogno”.
Siamo presenza nella città con una originalità, che è quella di rendere concreto il Vangelo, la buona notizia, in azioni di annuncio, catechesi, in gesti di carità e di promozione culturale, oltre che di cittadinanza virtuosa, alla ricerca del bene di tutti e non di una parte.  

  • La cura e la centralità

    La cura e la centralità

    La visita pastorale compiuta dall’Arcivescovo Mario ci offre delle consegne, delle attenzioni da vivere nell’agire quotidiano come Chiesa che vive nella città.

    In modo particolare, rileggendo insieme l’omelia proposta dal Vescovo, emergono alcune priorità:

    1. La cura e la presenza dimostrate dall’Arcivescovo nei giorni della visita, ci hanno fatto toccare con mano che c’è un’attenzione da parte di tutta la Chiesa diocesana alla nostra realtà desiana. Afferma il Vescovo:
      La visita pastorale è occasione per dirvi che voi mi siete cari, mi state a cuore, sento responsabilità per il cammino di fede e la vita di Comunità di questa città e di ogni persona”.
      Anche noi siamo parte di un insieme, di una Comunità che vive il Vangelo nel territorio della Diocesi. Ed è per questo che non possiamo non guardare insieme le sfide e le modalità con cui affrontarle. Insieme con il Vescovo, insieme tra noi preti e le consacrate, insieme come Cristiani di ogni Parrocchia.
    2. La centralità di Gesù Risorto per la vita della Chiesa nella città.
      Annunciare insieme il Vangelo è, prima di tutto, viverlo nella concretezza di ogni giorno e nella singole situazioni di vita. Il Vescovo ha posto al Signore Gesù una domanda ben precisa:
      Signore, che cosa vuoi dire per orientare il cammino di questa Comunità”?
      E indica la risposta così:
      Una cosa dobbiamo dire: Gesù è vivo, Gesù è risorto da morte. Gesù ci rende partecipi della sua vita….
      Ci dona lo Spirito di verità perchè possiamo interpretare questo tempo e la nostra vocazione”.

    Sono le prime due priorità che raccolgo e offro a tutti, per tornare domenica prossima su altri aspetti indicati dal Vescovo.  

  • Una domenica di maggio

    Una domenica di maggio

    Scrivo queste righe poche ore dopo la visita pastorale compiuta dal nostro Arcivescovo Mario nella Comunità pastorale Santa Teresa di Gesù Bambino.

    Non ho la pretesa di fare sintesi o di individuare linee di impegno pastorale per i mesi a venire: avremo la pazienza di rileggere e approfondire gli interventi proposti.

    Molti mi chiedono: “Com’è andata la visita pastorale?

    Rispondo così:

    • ho visto una città dove i Cristiani sanno mettersi in movimento, che cercano non solo di incontrarsi, ma di cogliere occasioni che fanno toccare con mano cosa significa essere Chiesa;
    • ho visto che ogni Parrocchia ha risorse e persone per mantenere vivo l’annuncio del Vangelo, la celebrazione delle Messe, l’esercizio della carità e, tutto questo, viene compiuto con cura e partecipazione;
    • ho visto ragazze e ragazzi, mamme e papà, catechiste e catechisti in ascolto di un Vescovo che non ci ha chiesto di essere educatori perfetti, ma di essere educatori appassionati a partire dalle piccole, ma decisive attenzioni educative di ogni giorno;
    • ho visto realtà ecclesiali desiderose di vivere la comunione, senza rinunciare a ciò che è specifico di ciascuna;
    • ho visto uomini e donne di ogni parte sociale e politica mostrare attenzione alla presenza del Vescovo e della Comunità cristiana che vive in città;
    • ho visto un Vescovo in mezzo alla gente, instancabile, capace di comunicare con ogni età della vita, dai ragazzi ai nonni e pronto a conoscere, incoraggiare, sostenere e indicare l’essenziale.

    È il dono di una domenica di maggio!

    don Mauro

  • Un mese per accogliere

    Un mese per accogliere

    Il mese di maggio è un tempo particolare nel corso dell’anno, perché si rincorrono scadenze di vario genere.

    Anche per la Comunità cristiana gli appuntamenti sono significativi, dal momento che si rinnova il dono dell’effusione dello Spirito Santo nella Pentecoste, molti ragazzi e ragazze vivono il primo incontro con l’Eucarestia, alcuni bambini ricevono il Battesimo e negli Oratori si anima la festa del “Grazie”.

    Con quale atteggiamento rendere straordinari e, soprattutto, incisivi questi “incontri”?

    Una donna, Maria di Nazareth, è tra le prime protagoniste della Pentecoste perché, con i discepoli, è in preghiera per individuare quale mandato ha da consegnare il Figlio risorto.

    Una donna che, lungo l’arco della sua vita, sa ascoltare e, perciò, sa accogliere.

    Nel Vangelo di Luca veniamo a sapere di un fatto da non trascurare:

    “Al sesto mese l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio
    in una città della Galilea chiamata Nazareth
    a una vergine, promessa sposa di un uomo
    della casa di Davide, di nome Giuseppe.
    La Vergine si chiamava Maria”.

    Quali indicazioni ci offre l’incontro tra Dio e questa donna?

    Quale dono viene anche a noi da questo dialogo nella libertà?

    Vivere la Pentecoste – e tutti i momenti di vita nella Comunità cristiana che ci presenta il mese di maggio – è accogliere il proporsi di Dio in Gesù alla nostra umanità.

    Accogliere è essere “disponibili a lasciare irrompere nel cuore la potenza di Dio”, che non cerca altro che la nostra beatitudine.

    Come Maria di Nazareth, con Maria di Nazareth.

    don Mauro