Oratorio estivo dalla prospettiva dei ragazzi: quattro settimane a condividere uno spazio fondamentalmente cambiato rispetto agli anni passati, un modo per condividere la propria estate
L’oratorio estivo è un’esperienza a tutto tondo. Coinvolge corpo e mente. Non mette in gioco solo la tua figura, ma anche la capacità di mettersi in relazione con l’altro. Anche se quest’altro non è il migliore amico. C’è uno spazio da abitare, dei luoghi e attività specifiche da svolgere. Si è consapevoli e disponibili a condividere qualche settimana della propria estate con altri coetanei.
Quest’anno non ci sono squadre (gialli, verdi, rossi, ecc.), ci sono le bolle con contorni e spazi ben definiti. Sono composte da circa una ventina di bambini, con cinque animatori e un responsabile maggiorenne, oltre alle figure del prete, le ausiliarie, gli educatori ecc.
I ragazzi, che sono un centinaio presso l’oratorio centrale Beata Vergine Immacolata con i preadolescenti, e altrettanti alle elementari nell’oratorio dei Santi Pietro e Paolo, hanno imparato a vivere questo spazio comune con i pro e contro derivati dalle limitazioni per il Covid. “L’oratorio così è un po’ strano perché non ci sono i punti assegnati come negli anni passati. Non c’è tanta competitività”. Però, d’altro canto, c’è più spazio per tutti, un’attenzione particolare rivolta ai ragazzi e le attività permettono di essere ancora più inclusive. Ai ragazzi piace molto prendere parte alle gite organizzate, che siano in bicicletta o al parco acquatico. “Ci divertiamo molto anche così; non pensavo quando mi sono iscritto di poterlo dire. Alla fine, ci sono sempre attività nuove”.
Tante sono state le difficoltà burocratiche ed amministrative da superare per permettere a così tanti bambini di essere presenti, però poi è stato possibile, e lo sarà ancora per le prossime settimane, giocare e ballare: Hurrà.
La giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, celebrata domenica scorsa, ci ha offerto l’opportunità di pregare e riflettere e approfondire il dono e il mistero della chiamata di Gesù a seguirlo in un affascinante cammino evangelico che si fa missione per la chiesa e per il mondo.
Nella nostra Comunità il 23enne Edoardo Mauri, della parrocchia di San Pio X (desiano doc), studia al seminario di Venegono da tre anni, e sta seguendo il percorso di formazione per diventare sacerdote. Lo abbiamo intervistato e lui ci ha raccontato come è nata la sua vocazione.
Edoardo, come è nata la tua vocazione? Hai sempre saputo che avresti voluto fare il prete? No, non ho avuto nessuna illuminazione, nessun colpo di fulmine, diciamo che è nata come una scintilla. Un’intuizione dentro di me è sbocciata nel 2017, mentre facevo un ritiro quaresimale con il gruppo Samuele, dove ho fatto vera esperienza dell’amore di Dio, meditando il brano della pesca miracolosa del vangelo di Luca 5,1-11. Gesù vede tornare i discepoli a mani vuote, gli dice di ritornare a pescare, benché essi non fossero d’accordo, poi però pescano pesci in grande quantità. Pietro allora davanti al suo errore capisce di aver sbagliato a non essersi fidato subito di Gesù, è un peccatore e si sente tale. Ma invece di allontanarsi Gesù, in maniera semplice, gli dice: “Non temere”. Perché mi ha fatto effetto? In quel momento mi sentivo lontano da Dio, non capivo cosa volesse dalla mia vita, come si sarebbe potuta concretizzare la mia vocazione. Era frustrante. Ripetere però quel “Non temere” è stata una vera chiave di volta. Ad aprile 2018 ho scelto di entrare in seminario e l’ho fatto davanti al crocefisso del venerdì santo. Ero stato confortato ancora una volta dal brano di vangelo dove Pietro rinnega Gesù (si legge il giovedì santo) e, in particolare, lo sguardo che Gesù ha avuto su di lui ha sollevato anche me. Cosa diresti ai giovani che hanno dubbi sulla loro vocazione? Facciamo prima una premessa sul significato del termine vocazione. Non vuol dire essere prete, suora e basta. Io questo l’ho capito solo strada facendo, la vocazione in realtà è solo una: quella alla vita cristiana. La vocazione si manifesta solo in questo modo, quando rispondi alla domanda: come ti senti più in grado di amare l’altro? Per chi si sta interrogando, dico che non deve precludersi nulla: è bene restare aperti e liberi a tutte le opportunità. Vuol dire sapersi voler bene e da un certo punto di vista essere “egoisti”, nel senso che sto facendo una scelta sulla mia vita, quindi prendersi del tempo per stare soli con sé stessi. Senza pensare troppo alle aspettative che gli altri hanno di noi. Bisogna sapersi fidare del Signore e dei suoi tempi, senza darsi delle scadenze. C’è sempre l’opzione B! Noi non conosciamo i suoi tempi. Forse questa riflessione potrebbe fungere da guida: Dove ti senti più amato da Dio? Com’è la vita in seminario? Il primo impatto con il seminario è stato di stupore: è davvero un bel luogo, ma ho capito di essere in seminario solo durante le prime vacanze di Natale. È una comunità chiusa con giovani della mia età (23 anni, ndr), e pertanto le relazioni che si vivono sono amplificate e vissute in maniera forte, molto diversa rispetto a quando si è fuori. Un’esperienza che non vedo l’ora di ripetere è la settimana di silenzio che viene proposta in quaresima. Ero terrorizzato, invece è stato bellissimo: ti stacchi da tutto per 6 giorni e trovi tempo per Dio e te e nient’altro. Alla fine ti rigeneri spiritualmente e come essere umano. La parrocchia è però il mio ambiente prediletto, ora sono a Cassina de’ Pecchi nei fine settimana, mentre la domenica pomeriggio del triennio sono stato a Busto Arsizio. Da ultimo devo dire che l’abito fa la sua parte nel comporre la figura del seminarista in quanto tale: un giovane che fa un certo cammino, può aiutare i giovani e i ragazzi a una relazione più facile e a confidarsi sui dubbi di fede. Come ti immagini tra a 5 anni? E ti saresti visto così solo 5 anni fa? Cinque anni fa, nel 2016 ho partecipato alla giornata mondiale della gioventù (GMG) a Cracovia. Avevo paura di capire e mettere a fuoco la mia vita a livello di fede e, visto che la GMG è famosa per aver acceso numerose vocazioni, ero sospettoso. Però dopo la veglia al campus misericordiae con papa Francesco mi sono chiesto: perché tutti questi giovani sono qui a pregare? Riflettendoci sono arrivato dove sono oggi. Tra 5 anni spero di essere prete (a Dio e rettore permettendo, scherza, ndr), vorrei essere un uomo di comunione. Vorrei essere una guida e una figura di riferimento nella mia parrocchia. Vorrei essere in grado di mettere in pratica gli insegnamenti del seminario cercando di mantenere equilibrio tra preghiera e lavoro. So che sarà un passaggio delicato, ma ci proverò. Inoltre mi auguro di saper ascoltare.
È una novità dell’ultima settimana, ma il progetto è ambizioso: cercare di coinvolgere tutti, anche i più giovani, con le notizie del nostro nuovo mezzo di comunicazione.
✔ La pagina Instagram verrà utilizzata per promuovere le iniziative delle cinque parrocchie, all’unisono con le pagine già esistenti per i cinque oratori, e per diffondere le informazioni contenute nel bollettino “Comunità in cammino”.
Instagram è un servizio di rete social che permette agli utenti iscritti di scattare foto, applicarvi filtri e condividerle via Internet.
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Partecipare alla giornata mondiale della gioventù del 2016 a Cracovia è stata, per me, una esperienza di fede attiva: 3 milioni di giovani ed io ero tra loro, in un momento di unità di Fede nella diversità del mondo intero.
Prova a chiudere gli occhi. Immagina tanti sacchi a pelo che si estendono su un campo a perdita d’occhio. Pensa che dentro ogni sacco a pelo, sotto ogni coperta, c’è un giovane da 190 paesi del mondo. Pensa a tutto questo moltiplicato per 3 milioni. Questa è la GMG: spirito di adattamento e fede si incontrano in modi insospettabili. Eravamo nel Campus Misericordiae e tutti nella nostra diversità, eravamo accomunati da una cosa: la fede e la partecipazione alla XXXI edizione della giornata mondiale della gioventù (o GMG). È stata indetta in occasione del Giubileo straordinario della misericordia a Cracovia, in Polonia, terra nativa di Papa Giovanni Paolo II, fondatore e patrono delle giornate mondiali della gioventù. Si è tenuta dal 26 al 31 luglio 2016. Anche io c’ero, Eleonora Murero, insieme a tanti miei compagni di viaggio di Desio, parte di un grande oratorio (nella foto). Sono tanti i ricordi e i momenti che è bello ricordare. L’ospitalità delle persone che sono state le nostre famiglie nei cinque giorni che eravamo in Polonia. Molti di loro non parlavano né di italiano né di inglese, ma non è stato un ostacolo, ci hanno fatto trovare tante leccornie a colazione o a cena, quando potevamo stare assieme (e sì, i cetriolini per i polacchi solo una prelibatezza, ad ogni ora del giorno). Anche l’accoglienza quando siamo arrivati a Łe˛z´kowice, dopo quasi 24 ore di viaggio in pullman, con cartelloni, cibo e musica preparati dall’oratorio polacco, ci ha fatti sentire come a casa. La cosa che più mi è rimasta impressa è stata sicuramente il fatto che Cracovia non fosse più Cracovia, ma una città invasa da fiumi di giovani: tutti eravamo lì insieme per una cosa sola, nonostante le diverse culture, lingue e tradizioni. Vorrà dire qualcosa. Certamente l’ha sussurrato alle mie orecchie e al mio cuore.
“È doloroso ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata. Sono tanti: i martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa.” Papa Francesco, udienza generale del 29 aprile 2020
Il termine martire vuole dire Testimone. Tertulliano diceva: “Il martirio dei cristiani è il seme dei nuovi cristiani”. Il martirio è una grazia, un segno della libertà suprema come afferma Oscar Romero: “Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà.” Non esisterà un momento in cui la Chiesa vivrà senza il martirio. Se non c’è il martirio la Chiesa si deve interrogare sulla sua dimensione profetica. Ricorda papa Francesco: “Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù” (11 dicembre 2019). Il cristiano si schiera dalla parte dei poveri e degli ultimi rinnegando, perciò, tutto ciò che è contrario al vangelo: ogni forma di povertà, di miseria, di esclusione, di disuguaglianza sociale, di discriminazione o di emarginazione che disumanizza l’Uomo. Quando la persona umana è calpestata nella sua dignità, quale posizione prendo: mi impegno oppure taccio (sono indifferente)? Schierarsi dalla parte degli ultimi implica la possibilità di pagare con la propria vita: nella famiglia, sul luogo di lavoro, sulla metro/treno, nelle università. Tutti siamo esposti al martirio se prendiamo sul serio il nostro essere discepoli di Cristo. Possiamo misurare il nostro essere discepoli di Cristo leggendo con serietà Fratelli Tutti che ci invita a vedere le ombre di un mondo chiuso, quindi imitare il buon samaritano (Lc 10) che apre gli occhi su ogni fratello abbandonato lungo la strada per creare un mondo aperto e per coniugare il valore dell’identità locale con il valore dell’umanità universale nell’ambito politico, sociale ed ecclesiale. Questa amicizia sociale/universale implica l’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro tra credenti di diverse religioni e culture. Per concludere, sono fermamente convinto che donne, uomini laici e religiosi subiscono umiliazioni e persecuzione perché hanno trovato l’autore del senso della loro vita: Cristo che si riflette nei piccoli e affermano senza vergogna come diceva Nelson Mandela: “Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. È un ideale che spero di vedere realizzato, se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire perché chi non ha un ideale per morire non ne avrà uno per vivere”. Un essere umano, quando muore, muore due volte. La prima volta quando è morto fisicamente. E la seconda quando è dimenticato; ricordare il nome degli uccisi, dar loro un ricordo più a lungo, non solo della loro breve vita, ma anche della lunga vita che avrebbero avuto il diritto di vivere. Ricordare è fare vivere con noi anche coloro che abbiamo perduto.
Il coraggio delle idee
Suor Lucia Pulici, Suor Maria Laura Mainetti e Don Roberto Malgesini: tre emblematiche figure per rappresentare quello che la giornata dei martiri missionari ci mostra, ovvero una testimonianza di vita con le opere, senza timore
Dare la vita per un ideale: il 24 marzo di ogni anno è indissolubilmente legato a quello del 24 marzo 1980 quando Monsignor Oscar A. Romero, Vescovo di San Salvador (centro America) venne ucciso mentre celebrava la Messa. Dal 1993 si ricorda l’evento nella giornata dei martiri missionari e per la Chiesa italiana, questo evento, si trasforma in un momento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi in varie parti del mondo. Cosa che vogliamo fare anche noi, ricordando tre figure che ci hanno accompagnato ed interrogato: suor Lucia Pulici e suor Maria Laura Mainetti, due nomi vicini alla realtà della nostra comunità pastorale ed un altro legato ad un accadimento temporalmente recente: don Roberto Malgesini, definito “Un martire della carità”. Tutte sono storie che mostrano grande fede e coraggio.
7 anni fa, nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2014 la nativa desiana del 1939 Lucia Pulici, insieme ad altre due Suore Saveriane missionarie in Burundi, Bernardetta Boggian e Olga Raschietti, vennero assassinate a Kamenge, nella periferia di Bujumbura, la capitale. Oggi il luogo è diventato la casa di Suor Lucia Pulici per la preghiera. Queste donne avevano deciso di restare in una situazione non facile, di guerra civile, sapendo i rischi che correvano, per essere segno dell’amore di Dio per il suo popolo e della sua umanità. I missionari non scappano, ma rimangono, anche quando politici e diplomatici lasciano il campo.
21 anni fa, invece, l’instancabile Suor Maria Laura Mainetti nata nel 1939, della congregazione delle Figlie della Croce, che per tanti anni sono state presenti a San Giorgio, è stata assassinata da tre ragazze durante un rito satanico nel 2000. Vi è stata adescata con una trappola: voleva dare una mano ad una ragazza in difficoltà. Le consorelle l’hanno ricordata come una persona che amava tutti, ma i suoi «prediletti» erano gli ultimi, in loro vedeva il Cristo sofferente. Il processo di beatificazione si è aperto nel 2008 e chiuso nel 2020.
Più recenti sono i fatti riguardanti don Roberto Malgesini, nato a Morbegno nel 1969, noto per l’impegno nei confronti dei senzatetto a Como. «Acqua cheta, pozzo profondo. Ti ricordo con un proverbio, caro “Gesini” (il soprannome che ti avevano affibbiato in seminario) – ha ricordato don Angelo Riva sul Il Settimanale di Como – “Acqua cheta” perché non amavi fare chiasso: preferivi il mormorio di un vento leggero, soave. Sembrava a volte che tu chiedessi scusa per il solo fatto di esserci. La voce la tenevi sempre bassa, quasi un sussurro. Frequentemente abbassavi gli occhi a terra, come fossi un intruso. Il sorriso non ti lasciava mai, ma era mite, appena pronunciato, il contrario di una risata grassa e sguaiata. Come se ci chiedessi il permesso di sorridere. Litigare con te era praticamente impossibile, neanche a mettercela tutta. Eri un pozzo di bontà. E questo rende ancor più lunare la tua morte violenta. Sono convinto che neanche lì avrai alzato il tono della voce. Anche lì con un sorriso tenue sarai andato incontro al fendente mortale». Poche parole, ma che aiutano a cogliere chi era don Roberto, come ha ricordato Marco Gherbi, prossimo al diaconato permanente, che lo conosceva: «La sua passione erano gli ultimi, ma non gli ultimi come siamo abituati a pensarli, quelli con il problema del lavoro, della casa, del cibo, delle fatiche di vivere, che aiuti a rialzarsi. No: proprio gli ultimi tra gli ultimi, quelli che già sono caduti più volte e hanno perso la speranza – ha raccontato – Se n’è andato lo scorso settembre, prima di poter compiere un’ultima volta quel suo servizio ai fratelli. Ha lasciato un grande vuoto nel cuore di tanti che gli erano accanto e tutti noi sicuramente sentiamo di aver perso un amico. Resta la sua voce profetica, fatta di tanti silenzi e di molti gesti di tenerezza, su cui meditare e pregare». Queste vite sante non devono solo lasciarci a bocca aperta, ma devono essere esempio, per vedere come è possibile vivere una fede autentica, fatta di coerenza e pace con il proprio io. Eleonora Murero
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