Autore: Pietro Guzzetti

  • Pronti a pensarci come “Chiesa dalle genti”

    Dopo una prima fase di ascolto capillare, il Sinodo diocesano entra ora in un momento successivo, cruciale per il suo sviluppo. È agli sgoccioli l’invio degli esiti della consultazione di base (frutto del lavoro di confronto e di ascolto fatto dalle parrocchie, dagli operatori della carità, dai preti e dal mondo della vita consacrata; ma anche da parecchie istituzioni educative, come pure da amministratori locali e dai migranti stessi), che ha fatto giungere alla commissione centinaia di risposte. Mostreremo i numeri e la consistenza di questa fase nelle tracce di riflessione che predisporremo per il consiglio presbiterale e pastorale diocesano.

    La commissione in queste settimane è concentrata e al lavoro per stendere le sintesi e i testi che faranno da guida al momento strettamente sinodale, vissuto dai due consigli diocesani. Sono tante le indicazioni e i suggerimenti che ci sono giunti, come pure le indicazioni di fatiche e punti di tensione su cui lavorare. Emerge tuttavia con sempre maggiore lucidità un punto che fa da architrave al cammino che stiamo costruendo insieme: per essere all’altezza del cambiamento che la Chiesa di Milano sta vivendo non basta immaginare delle aggiunte o delle integrazioni agli stili che disegnano il nostro volto ecclesiale e la nostra vita di fede. Con più semplicità ma anche con maggiore coraggio occorre invece prepararci e a cambiare, a ripensarci come soggetti diversi, frutto di quel “noi” che è il risultato dell’azione di attrazione che il Crocifisso risorto continua ad esercitare nelle nostre vite e nella storia.

    Un simile cambiamento non avviene a tavolino e nemmeno sarà frutto soltanto di documenti e di decreti. È opera di una Chiesa che tutta insieme si lascia guidare dallo Spirito santo; è frutto di una Chiesa che sa rimanere concentrata nella contemplazione del disegno che Dio le sta facendo realizzare dentro la storia degli uomini. Per questo motivo il lavoro delle parrocchie, il lavoro dei singoli cristiani e delle comunità non è finito: invitiamo tutti a leggere con attenzione le tracce che a breve pubblicheremo sul sito del Sinodo, per continuare a discernere assieme (passando i vari suggerimenti che vi verranno a qualche componente del consiglio presbiterale o pastorale) come Milano può essere Chiesa dalle genti.

    Mons. Luca Bressan
    Presidente della Commissione di coordinamento Sinodo “Chiesa dalle genti”
    Vicario episcopale Arcidiocesi di Milano

     

  • Omelia Arcivescono Via Crucis 23 marzo

    Via Crucis – Zona Pastorale V

    Desio – 23 marzo 2018

     

    Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi

    Un centurione, per riconoscere il Figlio di Dio

     

     

    1. L’evento che scuote la terra.

     

    L’esito tragico della vicenda di Gesù è circondato di spaventi e di paure, di derisione e banalità, di dolore e di sconcerto.

    Secondo il racconto di Marco, l’evento si svolge tra gli scherni dei passanti che interpretano lo strazio e la morte come il fallimento di un progetto politico: il Cristo, il re di Israele scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo. Ma Gesù non ha promosso un progetto politico, La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei” (Mc 15,26).

    I potenti che hanno trascinato le folle e l’autorità romana a decretare la condanna, secondo i racconti evangelici, sono stati i sommi sacerdoti riuniti nel sinedrio, le autorità religiose del giudaismo e interpretano la morte di Gesù come il fallimento delle sue intenzioni di riforma religiosa. Ma Gesù non ha promosso una riforma religiosa, anche se quelli che lo insultano ricordano e fraintendono le sue parole: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso, scendendo dalla croce” (Mc 15,29)

    I discepoli che hanno seguito Gesù, convinti dalla sua parola, affascinati dai segni compiuti e introdotti nelle sue confidenze in una speciale amicizia sono stati travolti dalla paura, tutti lo abbandonarono e fuggirono (Mc 14,50). Ma Gesù non aveva intenzione di radunare un gruppo di amici per costruire un angolino confortante in un mondo complicato e tribolato.

    Le donne che hanno servito e seguito Gesù quando era in Galilea, che si erano date da fare per un’opera buona, per assistere un uomo buono che passava facendo del bene a coloro che erano troppo provati dalla vita o troppo smarriti se ne stavano lontane a osservare la tragica inutilità del far del bene (cfr Mc 15,40). Ma Gesù non aveva intenzione di dar vita a un’opera buona per assistere i tribolati.

     

    2. Ci voleva un centurione.

    Ci voleva dunque un centurione per interpretare l’evento e la tragica morte. Il centurione, un uomo dell’istituzione spietata che governava la Giudea, il centurione, un estraneo rispetto alla istituzione religiosa giudaica, il centurione, uno straniero, in un certo senso, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!

    Il senso del morire di Gesù, lo scopo della sua missione, la grazia che solo da lui può venire è quindi che si squarci il velo del tempio, che sia rivelata la verità di Dio e a tutti sia indicata la strada per entrare nella comunione con Lui. C’è un solo nome per la nostra salvezza, c’è un una sola direzione per il nostro camminare nella speranza, c’è un solo trafitto al quale tutti possano guardare per essere tutti attirati da colui che è stato innalzato.

    La celebrazione della Via crucis è quindi l’occasione per ascoltare l’invito all’essenziale, la proposta di una vita cristiana che non si smarrisce nel generico, che non si accontenta di apprezzare le conseguenze, che cerca invece il cuore del mistero e di questo vive, di questo gioisce, di qui attinge l’ardore per la missione.

    Il morire in croce di Gesù mette in discussione le riduzioni del cristianesimo: il cristianesimo non è un progetto politico, per quanto abbia molto da dire a tutti i politici della terra, il cristianesimo non è una organizzazione religiosa, per quanto abbia molto da dire a tutte le organizzazioni religiose, il cristianesimo non è una raccolta di buoni sentimenti, di amicizie e di commozioni, per quanto offra un richiamo costante a purificare le amicizie e i sentimenti, il cristianesimo non è una impresa di buone opere, per quanto offra molti motivi per operare il bene.

    Il morire di Gesù rivela che il cristianesimo è Gesù, stare con Gesù, vivere per Gesù, guardare a Gesù, lasciarsi condurre da Gesù nella comunione con il Padre, perché davvero quest’uomo era figlio di Dio!

    I figli di Dio che erano dispersi dunque sono riuniti dalla morte di Gesù, dalla Pasqua di Gesù: non basterà un progetto politico per dare volto alla Chiesa dalle genti, non basterà una riforma delle pratiche religiose, non basteranno i buoni sentimenti e i rapporti di amicizia, non basterà darsi da fare per opere buone. Tutto serve, ma tutto sarà precario se non andiamo tutti verso Gesù per vivere di Lui, davvero è il Figlio di Dio!

  • Il Sinodo: evento spirituale, di chiamata e di conversione personale ed ecclesiale

    Siamo nel momento cruciale e più generativo del sinodo diocesano: l’apparente silenzio della macchina sinodale è la cornice che dà spazio al suono prodotto dal fitto lavoro delle tante realtà ecclesiali che in modo capillare stanno trasformando l’annuncio e il discorso (la visione di una “Chiesa dalle genti”) in realtà, in carne ed ossa. Alcuni segnali raccolti muovendomi in Diocesi proprio per osservare tutto questo lavoro – e per imparare da esso – ci rimandano alcune constatazioni che rilancio come risorsa.

    Sono impressionato anzitutto dalle energie e dalla disponibilità che i territori e i diversi soggetti ecclesiali stanno manifestando. Penso sia corretto leggere questo dato come un primo “miracolo”: l’indizione del Sinodo ha consentito al corpo ecclesiale di scoprire delle energie e delle risorse che nessuno di noi pensava avessimo. Se il frutto fosse già soltanto la capacità di attivare in ogni decanato un luogo in cui leggere e interpretare i segni delle trasformazioni che stiamo vivendo come Chiesa diocesana, sarebbe sicuramente un grande risultato! Ci troviamo dentro un corpo ecclesiale che sta reagendo in modo positivo, che sta entrando nel processo sinodale vivendo come un evento spirituale, di chiamata e di conversione personale ed ecclesiale.

    Ulteriore osservazione: le energie e le azioni messe in campo possono essere rilette, alla luce dell’esercizio contemplativo richiesto dal testo guida, come segni di quella dinamica di attrazione esercitata dalla croce di Cristo che tutti siamo invitati a riscoprire dentro il cambiamento culturale e sociale delle nostre terre ambrosiane. Il Sinodo si rivela veramente come l’occasione per vedere la Chiesa mentre viene generata continuamente, in ogni epoca, dallo Spirito di Dio come corpo di Cristo. La radice teologica e spirituale del nostro lavoro pastorale davvero sta emergendo con chiarezza.

    Da qui un compito irrinunciabile: occorre che i decanati diventino sempre più il cuore pulsante del Sinodo. Diventando cioè un laboratorio, un luogo in cui non soltanto si raccolgono ma si interpretano i dati raccolti dalle varie parrocchie e dalle altre realtà ecclesiali e civili, favorendo così lo sviluppo di una lettura nuova, capace di riconoscere i segni dello Spirito che genera la Chiesa. Se il Sinodo minore fosse l’occasione per la nascita di simili luoghi, ci troveremmo di fronte ad un’operazione rivoluzionaria: stiamo per attivare una nuova epoca di implantatio ecclesiae, di radicamento della fede cristiana dentro la cultura e la società così profondamente in cambiamento. Stiamo cioè operando per dare corpo, realtà e carne, alla visione della Chiesa dalle genti che ci guida.

    Mons. Luca Bressan
    Presidente della Commissione di coordinamento Sinodo “Chiesa dalle genti”
    Vicario episcopale Arcidiocesi di Milano

  • Parrocchie a scuola di reti sociali

    Social media, istruzioni per l`uso. In  collaborazione con l`Università Cattolica,  l`Ufficio   comunicazioni sociali dell`Arcidiocesi di Milano organizza anche quest`anno un corso di formazione per aiutare le parrocchie a maneggiare con  cura Facebook, Instagram, Twitter e simili.
    Il nuovo ciclo di incontri rientra nel percorso avviato tre anni fa con l`obiettivo di preparare i responsabili della comunicazione parrocchiale, cioè figure incaricate di pensare e coordinare i vari aspetti del flusso informativo della comunità e la sua stessa immagine pubblica.
    Nel 2015 si è partiti dalla messa a punto di un piano di comunicazione parrocchiale insieme alla cura dei rapporti con le componenti diocesane e con i media del territorio, senza trascurare le modalità di gestione delle crisi. L`anno successivo il percorso formativo è proseguito con un approfondimento sulla natura dei vari media, da Internet ai video, dal notiziario ai giornali, alla radio. Nel 2017 ci si è invece soffermati su cinque “case study”: un approccio esperienziale per capire quali possono essere le migliori strategie comunicative nelle più diverse situazioni. Le tre edizioni del corso di formazione hanno registrato 160 adesioni, coinvolgendo in tutto circa 500 parrocchie.
    Quest`anno, inevitabilmente, l`attenzione si concentrerà sui social network, ormai divenuti canali di comunicazione privilegiati non solo per i giovani ma anche per gli adulti.
    Il corso, intitolato «La parrocchia comunica con i social media», si rivolge a tutti gli operatori parrocchiali della comunicazione – o aspiranti tali- ma è aperto anche ai giornalisti: il primo
    incontro vale infatti per accumulare crediti formativi.
    Il corso del 2018 mira a esplorare in profondità le novità introdotte da Facebook e dintorni sotto più punti di vista: mediale, etico, linguistico, psicologico e relazionale. Professionisti del settore si alterneranno in cattedra per offrire una panoramica concreta sull`universo social e per proporre l`uso di buone pratiche.
    Si comincia il 17 marzo: in collaborazione con l`Ucsi si discuterà sul tema «Ascoltare i media: testa, cuore o pancia?», con gli interventi di monsignor Paolo Martinelli, ausiliare di Milano, del direttore di Tg La7 Enrico Mentana e di Alessandro Chessa, esperto di Big data.
    Il 24 marzo ci si chiederà come le reti sociali stanno cambiando il nostro modo di comunicare (interventi di Pier Cesare Rivoltella, fondatore e direttore del Cremit in Università Cattolica, e di Giovanni Gobber, docente di linguistica nello stesso ateneo), mentre ll 7 aprile il giornalista Bruno Mastroianni illustrerà le nuove sfide della comunicazione digitale.  Il 14 aprile si passerà dalla teoria alla pratica: i giornalisti Marco Alfieri (caporedattore de IlSole24ore.com) e Alessandro Zaccuri (Avvenire) spiegheranno come scrivere per i social. Il 5 maggio ci saranno gli interventi dell`arcivescovo di Milano Mario Delpini e della presidente Aiart (Associazione italiana ascoltatori radio e televisione) di Milano Stefania Garassini. Entrambi si soffermeranno sull`impatto
    dei social network sui giovani e sull`educazione a una corretta fruizione delle reti digitali. Conclusione il 12 maggio con le esercitazioni.

    Iscrizioni aperte online
    Lezioni dal 17 marzo
    Per iscriversi al corso «La parrocchia comunica con i social media» chi è interessato in diocesi di Milano deve solo compilare la scheda pubblicata suwww.centropastoraleambrosiano.it (costo del corso 40 euro) entro il 14 marzo (il primo incontro sarà il 17). Per informazioni su iscrizioni e modalità di pagamento si può chiamare lo 028556240 o scrivere a comunicazione@diocesi.milano.it. La lezione inaugurale del corso è aperta anche ai giornalisti ed è valida per ottenere crediti formativi professionali.

    I contenuti.
    Ascoltiamo, non serve parlare sempre
    Tutti gli ambiti parrocchiali hanno una figura di riferimento. Per la comunicazione, però, capita di agire in modo frastagliato. Invece è fondamentale poter contare su una persona che metta a disposizione un bagaglio professionale adeguato».
    Monsignor Davide Milani, responsabile della comunicazione dell`Arcidiocesi di Milano, spiega così l`importanza del corso di formazione rivolto agli operatori delle comunità ambrosiane.
    «Si tratta di creare e far crescere figure che, tra vocazione e missione, mettano al servizio della loro parrocchia il carisma della comunicazione su mandato preciso del parroco». Milani anticipa che il corso 2018 aiuterà i partecipanti a chiedersi se e in che modo i social media possono rivelarsi utili per gli scopi della comunità. Partendo però non dall`ansia del dover dire qualcosa sempre e comunque, che spesso sconfina nell`autoreferenzialità, bensì dalla capacità di mettersi in paziente ascolto. «I social spesso per essere raccontano in modo distorto la realtà- continua don Milani -: gli ” esperti ci aiuteranno a capire come leggere e decifrare questa narrazione, lavorando in primo luogo sul linguaggio, che non è mai
    neutrale. Cercheremo di comprendere quali modifiche i social network hanno portato nel nostro modo di relazionarci, partendo da un presupposto: prima della tecnica c`è sempre l`uomo e il suo eterno desiderio di comunicare. Siamo di fronte a un vero e proprio alfabeto: bisogna impararlo bene prima di poter parlare in modo corretto».
    Il corso, iniziato nel 2015, non vuole però limitarsi a fornire gli “attrezzi del mestiere”: «Lavoriamo costantemente sulla spiritualità del responsabile della comunicazione. Di anno in anno, poi, aggiungiamo un pezzetto professionale. In questo modo il suo bagaglio si arricchisce, rendendolo capace di dialogare non solo con i fedeli e la diocesi ma anche con le altre realtà presenti sul territorio, per raccontare al meglio le attività parrocchiali, nella prospettiva di una Chiesa in uscita». (M.Bir.) 

  • Presbiteri e cammino sinodale

    Il cammino sinodale sulla “Chiesa dalle genti” si intensifica ogni giorno di più. Anche l’ultima sessione del consiglio presbiterale, tenutasi martedì 13 febbraio a Seveso, ha dedicato uno spazio formativo rilevante al tema del sinodo minore. Alcune testimonianze hanno aiutato a comprendere meglio la responsabilità dei presbiteri. Si tratta di maturare scelte molto concrete e coraggiose: come includere nei percorsi di iniziazione cristiana, nella pastorale famigliare, giovanile e vocazionale, nell’animazione liturgica i numerosi fedeli, presenti ormai sui nostri territori da più generazioni e portatori di tradizioni spirituali diverse? Il processo del meticciato di culture, in atto nella società, riguarda con tutta evidenza anche la Chiesa ambrosiana. Padre Dionysios, ieromonaco dell’arcidiocesi ortodossa di Italia ha ricordato ai consiglieri il senso del suo impegno di presbitero, alimentato da una profonda spiritualità monastica, nella cura degli immigrati ortodossi: sa che i loro fedeli per vivere in serenità il loro lavoro da noi hanno bisogno di trovare nel sacerdote e nel culto un punto di riferimento sicuro per la propria “identità in relazione”. Anche la testimonianza di suor Elsy, appartenente ad una congregazione messicana, presente nella nostra diocesi ormai da 20 anni ha colpito molto. Ha raccontato le fatiche di inserirsi in una cultura tanto diversa dalla sua, ma ha anche testimoniato l’accoglienza sincera del clero milanese che l’ha aiutata con generosità nel suo lavoro. Infine, padre René Manenti, scalabriniano, parroco a santa Maria del Carmine e della parrocchia di san Carlo per i fedeli di lingua inglese ha indicato il percorso di un “noi” ecclesiale che includa le differenze senza dissolverle, come occasione per tutti di conversione all’amore inclusivo di Dio Trinità. Ecco ciò che sta diventando più evidente per tutti in questo cammino sinodale: lavorare per una Chiesa dalle Genti vuol dire avere il coraggio di un percorso più profondo di conversione a Colui che, “innalzato da terra”, attira tutti a sé.

    + Paolo Martinelli
    Vescovo e Vicario episcopale