Categoria: Editoriali

  • Ripensare la comunità

    Ripensare la comunità

    Il consiglio pastorale cittadino ha avviato un articolato lavoro di confronto e di analisi, che ha l’obiettivo di individuare le scelte pastorali prioritarie per la nostra comunità. Questo percorso è stato stimolato anche dai recenti incontri con il Vicario di Zona, monsignor Michele Elli, e con don Paolo Boccaccia, responsabile dell’ufficio parrocchie della Chiesa di Milano: hanno invitato i consiglieri ad un’attenta rilettura dell’attuale scenario cittadino per poter disegnare la Chiesa desiana di domani.

    Lo scorso martedì 28 gennaio, monsignor Mauro Barlassina, responsabile della comunità pastorale, ha offerto al consiglio ulteriori dati sui quali riflettere e dai quali partire, facendo un’analisi dell’ultimo decennio e fotografando, ad esempio, il numero dei Sacramenti, la partecipazione alle messe e il numero di celebrazioni, la disponibilità dei volontari e lo stato delle strutture. Ne è seguito un lavoro a gruppi, all’interno dei quali sono emerse diverse suggestioni: su queste il consiglio pastorale lavorerà nei prossimi mesi. Sono cinque i punti sui quali è stata posta l’attenzione.

    Il primo. È tempo di ripensare le strutture in base alle mutate esigenze pastorali. Non tutte le parrocchie della comunità devono necessariamente ospitare gli stessi servizi. Tutti gli ambienti devono essere curati, ma ogni struttura può specializzarsi su uno specifico aspetto dell’attività pastorale. Insomma, serve un ripensamento razionale dell’utilizzo degli spazi, che consenta di rafforzare alcune attività e servizi, caratterizzando specifici ambienti. Naturalmente spazi e attività devono essere costruiti in relazione all’annuncio, con massima attenzione alla liturgia, alle celebrazioni e alla carità.

    Il secondo punto è la conseguenza del primo: occorre capire la vocazione particolare di ciascuna parrocchia per meglio individuare il corretto utilizzo delle risorse a disposizione.

    In questa ricerca si innesta il terzo punto, che si concentra su un ambiente che per oltre mezzo secolo è stato uno dei fulcri dell’attività pastorale: il Centro Parrocchiale di via Conciliazione, che oggi necessita di una profonda ristrutturazione. Si apre in tal senso una riflessione: è opportuno intervenire o è meglio pensare a scelte diverse e magari audaci?

    Gli ultimi due punti che saranno oggetto di ulteriori analisi riguardano il numero delle messe nelle varie parrocchie e la formazione. Occorre rivedere l’attuale assetto delle celebrazioni, per renderle più curate e per non disperdere energie.

    Quanto alla formazione, occorre ripensare i percorsi di tutte le fasce d’età e di tutti i settori.

    La segreteria del Consiglio Pastorale

  • Esiste il Paradiso?

    Imagine there’s no heaven”. “Immagina che non ci sia paradiso”, cantava John Lennon nel 1971.

    L’uomo di oggi, ferito, ma ancora abbagliato dalle grandi promesse di felicità terrene di capitalismo e marxismo, è rimasto intrappolato in orizzonti troppo angusti per il suo cuore. Ha perduto il Paradiso: non sa se crederci, non gli interessa, lo cerca in terra. Se il pensiero riemerge in lui, è per una realtà angelica, dove tutti continuano la loro vita, anche con gli animali domestici defunti, senza una giustizia, un rendere conto finale della nostra libertà. Altre volte preferisce consegnarsi alla visione tragica della reincarnazione promossa dalle filosofie orientali.

    Il Regno di Dio, che chiediamo in ogni Padre nostro, è poco compreso anche da noi. Questa attesa sopravvive sicuramente nella dimensione morale e provvidenziale terrena quando preghiamo per la pace, per l’unità in famiglia, per l’ambiente, ma è spesso recisa dalla Resurrezione di Cristo. Aver reciso il legame con il Paradiso ha tuttora gravi conseguenze in ciascuno di noi: prima tra tutte la disperazione crescente.

    Le tracce della vita e della fede dei primi cristiani raccolte nelle Lettere dell’Apostolo Paolo ci parlano invece di comunità provate, perseguitate, ma mai disperate.

    Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.”

    (1Tes 4,13-14)

    Avevano ben chiaro l’orizzonte della loro speranza: il Regno di Dio, qui e in Cielo, la Pasqua di Cristo, la Sua misericordia, il Suo giudizio e la resurrezione dei morti.

    Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede.

    (1 Cor 15,13-14)

    Erano autentici pellegrini di speranza nel cammino della loro vita terrena perché erano aperti a Cristo e alla vita eterna. Avevano incontrato il Suo amore.

    Qual è il significato di ricevere l’indulgenza plenaria durante questo 2025? Metterci in viaggio per Roma, attraversare la Porta Santa, vivere il Sacramento della Riconciliazione, comunicarci durante la Santa Messa, rinnovare la nostra fede, pregare per il Papa e per i defunti?

    È solo per un certo sentire di pace momentanea? Oppure è per aiutarci ad allargare il cuore a quella speranza che non delude?

    Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia.

    (Gv 16,22)

    don Marco Albertoni

  • Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Alcuni mesi fa abbiamo sentito uomini di governo affermare: “Se vuoi la pace prepara la guerra!”. Altri sono decisamente convinti che solo una guerra può risolvere alcuni dei problemi strutturali dell’epoca in cui viviamo. La conseguenza, banale e semplicistica, interessata e fuorviante, è deridere chi sceglie di operare, sostenere e pregare per la pace tra i popoli e le nazioni.

    Spesso il modo migliore per sostenere posizioni ingannevoli e pericolose per l’umanità è proprio quella di deridere o accusare (a prescindere) chi non è allineato al pensiero dominante.

    I social e le innumerevoli modalità manipolative del reale creano consensi finali, dispensando l’individuo dal considerare tutti gli aspetti in gioco.

    Proporre per la giornata del 9 febbraio la marcia della pace in città è una scelta che vorrebbe favorire un dialogo tra le genti, una sinergia tra le componenti sociali, religiose e culturali presenti sul territorio.

    Cattolici, musulmani, agnostici, cercatori di senso, non sono uomini e donne in contrasto tra di loro, ma persone capaci di riflessione, di considerazioni e di pensiero.

    Il pensiero e le conclusioni non sono certamente identiche, ma alcune scelte ci accomunano. E ogni uomo e donna di buona volontà non può che arrivare a riconoscere che la guerra non può che distruggere, mentre la pace (in certi tempi più difficile da scegliere) non può che costruire.

    Senza azzardare conclusioni troppo semplicistiche, ho l’impressione che il diffondersi di una cultura di guerra e, quindi, di morte e distruzione, sia conseguenza di mancanza di respiro nel cuore di molti. Il cercare a tutti i costi e senza limiti di possedere, avere, utilizzare, alla lunga può renderci uomini e donne senza speranza, appunto senza respiro!

    Quando non si vede un ‘oltre’, il rischio è di cadere nell’inganno, cioè che solo la legge del più forte risolve i problemi personali e strutturali.

    Scendere in piazza, percorrere le strade della città per dire che siamo per la pace è scegliere per l’uomo. L’uomo che “ha delle domande di senso insopprimibili, che ha in sé il desiderio di vivere in pienezza ogni aspetto della vita: l’amore, l’amicizia, le relazioni, il lavoro, l’impegno nella società… L’uomo che, in ultima analisi è aperto a una dimensione trascendente della vita e che si sente inquieto fino a che non riesce a trovare una risposta globale alle sue domande, quel qualcosa che dà senso a tutto” (Card. Farrell nel XX anniversario della morte di don Luigi Giussani).

    L’uomo credente e, in particolare al riguardo Achille Ratti, arriva a offrire la propria vita per la pace. Nel radiomessaggio del 29 settembre 1938 così si esprime Pio XI: “Indicibilmente grati per le preghiere che per Noi sono state fatte e si fanno dai fedeli di tutto il mondo cattolico, questa vita, che in grazia di tali preghiere il Signore Ci ha concesso e quasi rinnovato, Noi di tutto cuore offriamo per la salute e per la pace del mondo, o che il Signore della vita e della morte voglia toglierci l’inestimabile già lungo dono della vita o voglia invece prolungare ancor più la giornata di lavoro all’afflitto e stanco operaio…”. Un intervento che, segnato dal linguaggio del tempo, ha un’attualità straordinaria perché descrive la santità di questo uomo che, in nome del Vangelo, è operatore di pace non solo con proclami, ma con l’offerta della propria vita, per scongiurare l’ormai imminente secondo conflitto mondiale che poi farà milioni di vittime e catastrofiche distruzioni.

    Eppure, alcuni continuano a ritenere inevitabili le distruzioni per ripartire!

  • Ieri o oggi?

    Ieri o oggi?

    La settimana che sta per iniziare è particolarmente significativa per la storia della nostra Chiesa locale. Desio ha motivi per guardare alla testimonianza di uomini e donne che hanno offerto e continuano ad offrire un contributo importante all’annuncio del Vangelo.

    Lunedì 3 febbraio celebreremo la Messa in Basilica per don Luigi Giussani nel decimo anniversario della sua morte, mentre alle 16 di sabato avremo tutti l’opportunità di conoscere meglio la figura di Pio XI, con la presentazione di una nuova pubblicazione, divulgativa ma precisa nel racconto dei fatti della sua vita. Inoltre durante la Messa delle ore 18.30 sarà presentata una nuova preghiera che, d’ora in avanti, potremo rivolgere a Dio attraverso l’intercessione del Papa.

    Domenica prossima 9 febbraio, infine, da eredi dell’impegno di Achille Ratti a favore della pace, con la collaborazione e la partecipazione di associazioni ecclesiali e non ecclesiali e di fratelli e sorelle di ogni credo, nel pomeriggio daremo forma alla marcia della pace.

    Sono tutte opportunità che, da desiani, non possiamo trascurare proprio per la ricchezza di contemporaneità di queste figure storiche, ma anche per la modalità di essere in questo 2025 Chiesa nella città.

    Vorrei soffermarmi sulla testimonianza cristiana offerta da Achille Ratti alla Chiesa e al mondo, anche a tutti noi. Non posso tacere la mia attenzione alla storia e, in particolare, a quella della Chiesa da fine ‘800 ai nostri giorni. Tra le molte letture compiute al riguardo, mi è caro ricordare il volume di Yves Chiron dal titolo Pio XI, dal quale emerge un uomo, un prete, vescovo e Papa che ha affrontato in modo determinato e concreto molte questioni delicate e complesse del suo tempo, con il tratto del brianzolo completo, capace di visione di insieme, di dare concretezza, passo dopo passo, ai vari aspetti in gioco arrivando a realizzare gli obiettivi.

    Il Pontificato di Achille Ratti è spesso descritto come quello di un uomo di governo, capace di districarsi tra le problematiche ecclesiali e politiche del suo tempo ed emerge poco l’attenzione all’uomo di Dio, al discepolo di Gesù Cristo che prega, parla, decide e agisce a partire dalla propria intensa vita spirituale. Pio XI ha sempre indicato la via del Vangelo vivendo lui per primo una dedizione totale e attingendo dalla fede la completa fiducia in Dio. Sono i Santi, in particolare Teresa di Lisieux, Giovanni Bosco e gli altri da lui canonizzati a ispirare il suo agire.

    Forse non è inutile continuare a studiare il nostro Papa, non solo come un grande della storia, ma anche come un discepolo che ha accolto l’invito ad essere Santi perché il nostro Dio è Santo.

  • Il Giubileo: pausa salutare

    Il Giubileo: pausa salutare

    I nostri ritmi quotidiani sono caratterizzati da impegni e scadenze ravvicinate (al punto da non riconoscere ciò che è importante) oppure da giornate passate nella solitudine e nello sconforto. Non tutti vivono contemporaneamente la stessa situazione di vita! A partire da questa constatazione viene da chiedersi cosa rende la vita interessante.

    Nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, l’Arcivescovo Mario affermava: “Il Giubileo segna il tempo e invita a una pausa nel nostro ’fare’, in cui potersi porre le domande veramente essenziali: che cosa ho ricevuto?
    Che ne ho fatto? Che cosa ho generato? Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? (Mt 16,26)
    ”.

    L’anno di fede iniziato è un’opportunità per interrogarsi su ciò che è essenziale per vivere ogni stagione della vita, da quelle piene di impegni, ai giorni della solitudine e dell’improduttività. È un tempo anche per riposare, ma non per annoiarsi.

    È sempre l’Arcivescovo Mario ad affermare: “Il Giubileo contiene un messaggio di giubilo, di gioia, di sollievo che deve interpretare la stanchezza della gente, della terra, della città come appello, provocazione, indicazione di cammino”.

    In particolare, il mese che abbiamo davanti ci permette di tornare sulle domande essenziali, accompagnati da alcune occasioni che diventano riposo nella misura in cui non ci lasciamo fagocitare dalla buona riuscita o, all’opposto, dalla noia della ripetitività.

    • la Festa della Famiglia di oggi 26 gennaio, è l’opportunità per riconoscere quanto la nostra famiglia è un luogo di speranza, dove ringraziare per quanto riceviamo e offriamo, dove pensare la pace, cercarla, operare per la pace proprio a partire dalle relazioni familiari.
    • la settimana dell’educazione, che si concluderà il 31 gennaio con la Messa alle 21 in Basilica nella festa di San Giovanni Bosco, è il momento per condividere la gioia di educare ad essere educato anche attraverso la realtà dell’oratorio.
    • la giornata per la promozione della vita del 2 febbraio è l’occasione per interrogarci su cosa abbiamo generato, su come siamo amici della vita in ogni sua stagione e situazione e sulla gratuità con cui siamo trasmettitori di vita.
    • l’anniversario dell’elezione a Papa (6 febbraio 1922) e al tempo stesso della morte (10 febbraio 1939) di Pio XI e di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005), entrambi desiani, è uno stimolo di riflessione sui messaggi che ci arrivano da veri testimoni del Vangelo delle beatitudini.

    Vivere insieme queste oasi di riposo e di interrogativi salutari è occasione di Giubilo!

  • Segni di speranza in famiglia

    Segni di speranza in famiglia

    «Lungo il sentiero ripido e pietroso ho incontrato una bambina che saliva lentamente, portando sulla schiena il fratellino. Mi sono fermato e le ho detto: Stai portando un pesante fardello! Lei mi ha risposto: Non è un fardello; è mio fratello».

    Questa testimonianza mostra come ciò che si fa per la propria famiglia trasforma un sacrificio in un gesto d’amore. Questo stile di vita ce l’ha dimostrato Gesù, che ha detto: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”.

    Infatti la famiglia è una necessaria combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri, sempre nel cammino dell’amicizia, che spinge gli sposi a prendersi cura gli uni degli altri.
    In realtà spesso corriamo il rischio di farci travolgere dalla frenesia e dalla superficialità, come ci ricorda David Weatheford in una sua poesia:

    “Percorri ogni giorno in volo? Quante volte chiedi: “Come stai?”, e ascolti la risposta? Quando alle sera ti stendi sul letto, quante questioni ti passano ancora per la testa? Hai mai detto a tuo figlio: “Lo faremo domani”, senza notare il suo dispiacere? Hai mai perso il contatto con una buona amicizia, che poi è finita, perchè non hai avuto il tempo di chiamare e di dire: “Ciao”? Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà”.

    Educare alla pace in famiglia significa vivere gesti di solidarietà, di riconciliazione, di prossimità e di servizio. Occorre insegnare parole di bontà, perdono, comprensione, stima, fiducia e benevolenza.
    Educare alla speranza significa che è sbagliato arrendersi di fronte alle difficoltà; occorre saper vedere le sfide quotidiane come opportunità per crescere meglio insieme. Proprio l’affetto per i propri cari aguzza l’ingegno, perché si possa sperimentare anche in alcune situazioni complicate.

    Caravaggio, Riposo durante la Fuga in Egitto, 1597, Galleria Doria Pamphilj, Roma

    “La direttrice di una scuola elementare, durante una riunione con i genitori, ricordò loro come fosse importante che dedicassero molto tempo per parlare con i figli.

    Un papà intervenne dicendo che lui aveva questa opportunità solo alla domenica. Infatti gli altri giorni usciva di casa all’alba, mentre il figlio dormiva ancora; alla sera rientrava dal lavoro molto tardi, quando il figlio era già addormentato. Però ogni notte andava accanto al letto del bambino e lo baciava sulla fronte; poi faceva un nodo alla punta del lenzuolo. Quando al mattino il figlio si svegliava e trovava il nodo, capiva che suo padre era venuto a baciarlo. Quel nodo manteneva viva la comunicazione tra loro due!”

    Don Sandro

  • “Desio, rinasci con audacia e creatività!”

    “Desio, rinasci con audacia e creatività!”

    Nella Basilica dei SS. Siro e Materno a Desio, il 31 dicembre 2024, durante la messa di ringraziamento alla fine dell’anno

    Mons. Mauro Barlassina, appello alla città:
    “Desio, rinasci con audacia e creatività!”

    Nell’omelia di fine anno, il responsabile della comunità pastorale Santa Teresa del Bambino Gesù parla di città “stanca e sfilacciata”, ma evidenzia anche i “tanti segni di speranza” che costituiscono la base per un rilancio. L’invito ad avere “una visione d’insieme”.
    Pubblichiamo e riportiamo il testo integrale di alcune reazioni dalla comunità cristiana e civile.

    “In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri
    potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare.

    Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.

    L’Arcivescovo Mario Delpini, nel discorso alla città in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato:

    “Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”.

    Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.

    Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città.

    (altro…)
  • Pensare, cercare e operare per la pace

    Pensare, cercare e operare per la pace

    Raccontiamo segni di speranza

    La Festa della Famiglia, in programma domenica 26 gennaio, si presenta come un’importante occasione per celebrare, riflettere e condividere. Quest’anno il tema scelto è Raccontiamo segni di speranza – Pensare la pace, cercare la pace, operare la pace, tema di grande attualità e rilevanza, che invita a una profonda riflessione e a un’azione concreta.

    In un mondo caratterizzato da conflitti, la Festa della Famiglia si propone come un momento di unità e di dialogo, dove famiglie, comunità e individui possono riunirsi per celebrare e promuovere valori fondamentali come la pace e la solidarietà. La scelta di focalizzarsi sulla speranza è particolarmente significativa: in tempi di incertezze e sfide è essenziale alimentare la fiducia nel futuro e nella capacità di costruire relazioni positive e costruttive.

    L’idea di pensare la pace implica una riflessione profonda sulle radici dei conflitti e delle divisioni, promuovendo un approccio che parte dalla consapevolezza delle proprie azioni quotidiane.

    Cercare la pace richiama l’urgenza di un impegno attivo, che si traduce in gesti concreti di solidarietà e di aiuto verso chi vive situazioni di fragilità.

    Operare per la pace è un invito a mettere in pratica quanto appreso, diventando portatori di cambiamento all’interno delle proprie famiglie e comunità.

    In questo contesto, la Festa della Famiglia rappresenta un vero e proprio laboratorio di pace, dove ogni partecipante può sentirsi parte di un progetto più grande.

    L’adesione attiva e il coinvolgimento sono fondamentali: ognuno di noi ha il potere di fare la differenza, di essere un seme di speranza.

    La Festa della Famiglia rappresenta una opportunità unica per celebrare i legami che ci uniscono e per rafforzare il senso di comunità. Non perdere l’occasione di partecipare a questa giornata speciale.

    La tua presenza è fondamentale per rendere l’evento ancora più speciale!

    Invita i tuoi familiari, amici e conoscenti e vieni a vivere un’esperienza che scalderà il cuore e arricchirà la nostre vite. Ti aspettiamo per celebrare insieme la bellezza della famiglia! Non mancare!

    Liliana,

    ausiliaria diocesana

  • Se fossi un personaggio del presepe?

    Se fossi un personaggio del presepe?

    I personaggi che popolano il presepe sono tanti! Ognuno ne può aggiungere altri al punto che, in alcuni luoghi, ogni anno viene proposta una nuova statuina da collocare tra quelle già esistenti.

    Alcuni personaggi sono indispensabili.

    Non c’è racconto della nascita senza Maria e Giuseppe che, stupiti, si lasciano interrogare da quanto sta accadendo. Non c’è presepe senza i pastori che, accogliendo il canto degli angeli, si dirigono con il gregge verso Betlemme; senza chi porta frutti della terra e del lavoro al Bambino; senza i Re partiti da lontano che, guidati da una stella, si dirigono, tra momenti di sicurezza e altri di incertezza, verso l’oscura città di Betlemme. Non c’è presepe senza Erode che, con un esercizio spietato del potere, vorrebbe spegnere ogni luce del racconto natalizio. Non c’è presepe senza l’asino, il bue e tanti altri personaggi.

    Con un po’ di attenzione si può affermare che non c’è presepe senza di noi, senza di te e di me. In fondo è condivisibile quanto afferma don Primo Mazzolari, profeta negli anni ’50 di una Chiesa ancora popolare: “Il mondo è in cerca di gioia, ha diritto di accorgersi che, con il Natale di Gesù, la gioia è entrata nel mondo… Coloro che credono in Lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravedere la sorgente inesauribile della perfetta letizia”.

    In altre parole, tutti i personaggi del presepe sono attratti dal protagonista del Natale, dall’Emmanuele, il Dio con noi che, nel segno povero di un Bambino deposto in una mangiatoia si fa presenza.

    Dal riconoscimento di questa presenza nasce il popolo degli uomini e donne lieti. Lieti non perché senza problemi, affanni, fatiche e solitudini, ma perché hanno incontrato la sorgente della gioia che non lascia senza conseguenze, che non ci permette più di vivere come se Dio non ci fosse!

    Con un pensiero di un prete poeta, don Angelo Casati, possiamo affermare che l’origine della gioia condivisa è l’infinita tenerezza di Dio: “Chissà se ce ne siamo accorti. Il segno del presepe non è il segno della potenza che atterrisce, non ci sono troni: c’è il segno della semplicità, dell’infinito della semplicità; il segno della povertà, dell’infinito della povertà; il segno della tenerezza, dell’infinito della tenerezza. Niente spaventi. Il segno è quello della nascita di un bambino. A incantarti è la vita, sono gli occhi di quella madre e di quel padre, a parlarti non sono i palazzi, è quella mangiatoia, sono quelle fasce, cose da pastori, cose familiari a quei pastori. I pastori riferirono l’inimmaginabile: un Messia in fasce, nella mangiatoia, il Messia nella tenerezza.” Ecco perché non possiamo non esserci nel presepe della vita quotidiana. Ecco perché non possiamo più non essere lieti nel Signore!

  • “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività!” Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività!” Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    “Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività! E occorre avere una visione d’insieme per rilanciare la città”

    Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024

    In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare.
    Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.

    L’Arcivescovo Mario Delpini nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato: “Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”. Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.

    Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città.
    Segni di speranza e ombre che li oscurano

    I segni di speranza in città non mancano.

    Hanno il volto di uomini e donne di ogni età che in modo gratuito, costruttivo e sinergico mettono a disposizione il loro tempo nelle associazioni di volontariato sociale e in tutte le altre realtà che si occupano della cura della persona in tutte le fasi della vita, anche attraverso l’impegno educativo delle scuole e dei nostri oratori. Sappiamo tutti che di fronte a questo segno di speranza emerge sempre di più la fatica del ricambio generazionale.

    Sono segni di speranza la tenacia dei commercianti nel sostenere le attività nonostante la spietata concorrenza soprattutto dei centri commerciali, nonostante la burocrazia sempre più gravosa e, in molti casi, nonostante i costi degli affitti, spesso esorbitanti, non consoni ai ricavi.

    Sono segno di speranza in città gli operatori sanitari che, in ospedale e in altre strutture e in varie forme, si dedicano alle persone malate, anziane e sofferenti, nonostante i tagli economici sempre più pesanti. Dico questo pensando in particolare alla non sufficiente valorizzazione data al nostro ospedale intitolato a Pio XI, non ancora riconosciuto come riferimento territoriale per la cura della persona nel panorama degli investimenti economici nel territorio di Monza e Brianza.

    Segni di speranza sono, ancora, i desiani di nascita e di adozione che si impegnano a favore dell’amministrazione della città nonostante un clima sempre più individualistico, personalistico e conflittuale: si ha infatti la sensazione che prevalgano visioni di parte, a volte (Dio non voglia!) oscuri interessi, mentre dovrebbe essere ben altro ad animare chi è chiamato a lavorare per la città, ovvero il bene comune e la costruzione di un contesto sociale accogliente e attrattivo. Il mercato della casa, con le proprie logiche, se non è il più trasparente possibile, viene condizionato da interessi che favoriscono alcuni ma rendono sempre più poveri altri. La nostra città non merita di essere ancor di più impoverita, rischiando di diventare un quartiere dormitorio della vicina metropoli.

    Segni di speranza sono i dipendenti pubblici che compiono il proprio lavoro come servizio al bene comune e non come esercizio di un potere burocratico sempre più farraginoso, cavilloso e incapace di offrire risposte alla unanimemente riconosciuta concretezza brianzola, che cerca la realizzazione di obiettivi e non il rinvio all’infinito del compimento dei progetti. Diceva un grande Cardinale, anche capace di ironia: “Il nostro mondo è caratterizzato da ‘problematologi’, ma di ‘soluzionologi’ non se ne vedono”.

    Insomma, segni di speranza sono i tanti che cercano di rendere la città luogo di relazioni oneste, accoglienti, capaci di integrare e includere le diverse presenze culturali, razziali e religiose; sono i tanti che non si limitano al “si dovrebbe”, al “dovrebbero fare”, ma che piuttosto si chiedono “come possiamo contribuire al bene della nostra città?”; sono i tanti che – all’interno della Chiesa locale – si chiedono come poter camminare più uniti, passando da quel periodo del riferimento campanilistico a un percorso attento ad ogni frazione del territorio di Desio, ma in una comunione di intenti e di fraternità.

    Una proposta: avere una visione di insieme

    In questo contrastante panorama, caratterizzato da segni di speranza e dalle ombre che li oscurano, mi sono chiesto: quali suggerimenti posso dare?

    Un prete giornalista, don Vinicio Albanesi, coglie con chiarezza cosa ci manca e come cambiare rotta: “Agli italiani manca una prospettiva. Negli ultimi anni nessuno ha suggerito loro un futuro, indicato una strada, lanciato uno sguardo al di là del presente. Chi è che ci ha fatto sognare? Nessuno … siamo sopravvissuti.” In questa affermazione, dura e sferzante, mi sembra di poter indicare una strada per ciascuno di noi, per la nostra città, per la presenza della Chiesa nella città, per chi è chiamato ad amministrarla.
    E’ necessario, ora più che mai, avere una visione d’insieme.

    Occorre muoversi con audacia e creatività.

    Non è più tempo di interessi parziali, non è più tempo di fare spazio a chi ha magari ancora interessi illegali: queste persone devono essere amate, ma non seguite.

    E’ tempo di idee e progetti che possano essere condivisi da tutte le parti politiche: occorre avviare un percorso virtuoso, tra persone che sappiano sporcarsi le mani, che sappiano lasciarsi coinvolgere e che offrano prospettiva.

    Non possiamo permetterci di lasciare a un destino di abbandono la bella città di Desio, la città del lavoro e dell’intraprendenza, la città della cura e della prossimità, la città dell’accoglienza e dell’integrazione culturale e religiosa, la città dell’educazione pensata e realizzata, una città pronta ad accogliere e dare spazio di espressione a tutte le generazioni, attraente per i giovani e vivibile per gli anziani.

    Non è più tempo che la città paghi per la conflittualità tra le forze politiche, vuote di visione e di progettualità, incapaci di dare futuro e prospettiva, perché troppo impegnate a ‘guardarsi addosso’ e a difendere i propri fortini.

    Siamo ancora in tempo!

    E per questo prego, con un augurio: “Desio, il Signore già volge lo sguardo su di te.
    Il Signore ti doni la pace sempre invocata – in un tempo altrettanto complesso – dal nostro Papa Pio XI.
    Il Signore benedica tutti gli uomini e le donne che seminano speranza nella città perché siano costruttori di futuro.”

    Camminiamo insieme, perché amiamo questa città”.