Categoria: Editoriali

  • Il Dio credibile

    Il Dio credibile

    Luci e ombre. Vita e morte. Gioia e dolore. Pace e guerra. Incontri e scontri…

    L’elenco potrebbe continuare: l’esperienza quotidiana ha il volto del dramma. In concreto, cosa è un dramma? Non è difficile individuarne il significato: “dramma indica qualcosa di intenso, appassionante, commovente o persino tragico”.

    In altre parole, l’esperienza di noi donne e uomini contemporanei, come per tutte le generazioni che ci hanno preceduto e ci seguiranno, ci rimanda agli interrogativi: Chi sono io? Chi siamo noi? Che senso ha il susseguirsi di situazioni personali e comunitarie opposte tra loro?

    All’inizio della Settimana Santa la domanda è ancora più decisiva perché alla gioia dell’accoglienza di Gesù come un eroe, un salvatore della Patria, segue il rifiuto, il tradimento, la paura. E con il rifiuto, la condanna a morte, la sepoltura e il silenzio della tomba.

    Eppure, il sepolcro non è l’atto definitivo di questo dramma perché il Crocifisso è Risorto!

    Nella Settimana Santa è Dio che assume su di sé il dramma della vicenda umana, ma attraverso l’intensità del soffrire e del morire suggerisce percorsi di speranza. Quello che vivremo nella liturgia non è una rappresentazione che ricorda fatti ormai lontani, ma è il realizzarsi nell’oggi della vicenda che apre alla speranza il dramma della vita di uomini e donne che gioiscono e soffrono, lottano e ritrovano luce nella complessità del quotidiano. Il tempo del Triduo Santo ha un valore educativo unico e una forza sanante non rintracciabile in altri percorsi. È il luogo in cui Dio ci incontra senza barriere, senza distanze, prendendo su di sé le nostre domande e donandosi come la ragione di ogni vita.
    Il Cardinal Martini in una omelia all’inizio della Settimana Santa afferma:

    “La via della fede è la via del cuore, cioè l’affidarsi a lui, il credere in lui crocifisso, segno dell’amore illimitato di Dio per l’uomo… È la via della conversione… è la via della vita, la vita di Dio in noi, per noi, con noi. È la via della vittoria di Dio, così come essa si snoda attraverso i sentieri di un’umanità frammentata e divisa, di una cultura decadente e conflittuale”.

    Si tratta di dare credibilità al Dio che non cerca potere, ma servizio; al Dio che ha come metro di giudizio la misericordia, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Al Dio che sta nel dramma della vicenda umana e ne condivide ogni passaggio. Suggerisco di lasciarci accompagnare dal percorso di Cristo nella settimana di passione perché è la via per non rischiare di vedere il ‘bello‘ del dramma.

    Questa esperienza è descritta con acume nella poesia di Davide Maria Turoldo che si fa preghiera:

    Ma tu non ami la morte
    Tu sei venuto fra noi
    per mettere in fuga la morte
    per snidare e uccidere la morte.
    Anche a te la morte fa male
    per questo sei amico
    di ognuno segnato dal male:
    e ogni male tu vuoi condividere….
    Solo un abbaglio, o equivoco amaro
    quando non sia stoltezza –
    Fa dire di te che sei
    La «divina indifferenza”

  • «Lasciate che i bambini vengano a me»

    «Lasciate che i bambini vengano a me»

    Quante volte abbiamo sentito questa citazione di Vangelo, quasi scontata o sottovalutata. Eppure in questo periodo, prendendo in braccio una neonata, questa frase mi è salita dal cuore più forte che mai. Incrociando lo sguardo di quella piccola che stringevo a me, ho sentito tutta la sua fragilità e il suo affidarsi alle mie braccia con fiducia. In lei ho percepito tutta la bellezza di Dio, il suo desiderio di amare e lasciarsi amare. Un bambino esprime l’amore più puro, più intenso, il più simile a quello di Dio. Gesù stesso si è fatto uomo facendosi bambino e si è messo nelle nostre mani, chiedendo solo di essere accolto e amato.

    Gesù nei vangeli porta spesso i bambini come esempio: non scandalizzate questi bambini (Mt 18,10).
    Egli ci indica il cammino di conversione che siamo chiamati a fare e che ci porta a godere dell’amore misericordioso del Dio della vita.

    Ecco i figli sono un dono che viene dal Signore; il frutto del grembo materno è un premio (Salmo 127).

    I bambini sono un valore immenso: sono una benedizione che portano ad incontrare Dio in tutta la sua purezza e bellezza.

    Oggi, purtroppo, alcuni bambini non sono amati e rispettati: ci commuoviamo per qualche minuto mossi dalla tenerezza che mostrano, poi li vediamo morti sulle spiagge o sotto le bombe e ci limitiamo a un ‘poverini’ o ‘non è giusto’; e la nostra vita continua come prima. Forse ci stiamo allontanando da Dio? Ci sentiamo affannati e autosufficienti così da sentire Dio lontano dalla nostra vita?

    Il tuo volto, Signore, io cerco (Salmo 26,8).

    Allora chiniamoci sulle nostre debolezze per riconoscerci bisognosi del Dio che salva, rivolgiamo il nostro cuore ai prodigi che il Dio della vita compie intorno a noi.

    Tutta la speranza cristiana inizia da un bambino.

    Non ci si può accostare a un piccolo se non assumendo una postura diversa da quella che normalmente usiamo. È la postura di chi si abbassa per poter prendere in braccio un bambino, di chi deve muoversi con cura, senza violenza o superficialità.

    È la postura di chi si lascia illuminare il volto da qualcosa di così tremendamente fragile e allo stesso tempo bello che ti cambia la vita e gli fai spazio perché lui possa crescere con te per donare gioia e speranza per un futuro che non è morto. Quel bambino è un dono di Dio che non è stanco dell’uomo e continua ad avere fiducia in lui. Alziamo lo sguardo a Dio e facciamo spazio alla speranza che ha il volto del Signore che viene con grande potenza e gloria.

    La speranza non è qualcosa ma Qualcuno, come esclama san Francesco: “Tu sei la nostra speranza, egli non abbandonerà coloro che sperano in Lui”.

    Suor Graziana, Ausiliaria Diocesana

  • Coltivare la Speranza

    Coltivare la Speranza

    È stato proprio questo il tema degli incontri di dialogo tra le religioni, per la pace, promossi per quest’anno pastorale dalla Commissione Interreligiosa cittadina. Anche i nostri amici della comunità pakistana, della chiesa Valdese e della chiesa Evangelica hanno accolto l’invito a seguire questo filo rosso proposto per l’Anno Santo giubilare in corso.

    Il primo incontro si è tenuto a dicembre nel locale della comunità pakistana in via Forlanini e vi hanno partecipato alcuni padri Saveriani, con Desio Città Aperta, la Commissione cittadina per il dialogo interreligioso e don Silvio come rappresentante della Comunità Pastorale di Desio.

    È toccato all’Imam parlare della speranza come dono di Dio, virtù donata a ogni fedele aperto alla parola del Signore. Nel rapporto personale con Dio, nell’ascolto della sua parola e nell’impegno di amore verso il prossimo si costruisce la pace. Attraverso le domande di alcuni giovani presenti, si è potuto sviluppare il problema di come superare le difficoltà alla costruzione della pace sperata, anche nelle situazioni critiche o addirittura negative, attraverso la fiducia in Dio grande e misericordioso e la partecipazione alla vita comunitaria con un dialogo costruttivo. Tutti i presenti hanno convenuto che insieme abbiamo fatto crescere il seme della speranza e della pace che già da alcuni anni è stato gettato nella terra dai nostri incontri interreligiosi. Un accrescimento di cui si vedono i segni in questa amicizia fraterna che ci lega insieme, pure nelle differenze di costumi e tradizioni, che si compongono nel cammino comune e nella stima reciproca.

    Un secondo incontro si è svolto a gennaio presso la casa di una professoressa cattolica che vive con suo marito nella comunità Nicodemo, in coabitazione con altre quattro famiglie in una corte di Piazza Arese a Cesano Maderno. Questa comunità di famiglie ci ha testimoniato la sua condivisione fraterna dei beni in uno stile di sobrietà. Ci hanno spiegato come intendono la speranza attraverso testi poetici e religiosi, canzoni e preghiere che poi ciascuno dei presenti ha potuto commentare.

    Ne è emerso un poliedro di verità vissute che sono espressione di una speranza vera per il nostro tempo: famiglie concrete che coltivano la speranza nella pratica di vita quotidiana, nella comunità. Possiamo dire che sono la speranza viva per il futuro della convivenza fraterna e pacifica dei nostri paesi.
    Negli ultimi due recenti incontri, il tema della speranza da coltivare insieme è stato trattato dai rappresentanti della chiesa Valdese e della chiesa Evangelica.

    don Silvio

  • Speranza e conversione del cuore:un viaggio di comunità

    Speranza e conversione del cuore:un viaggio di comunità

    Nella frenesia del nostro quotidiano, dove spesso ci sentiamo sopraffatti dalle sfide e dalle incertezze, è fondamentale riscoprire due parole che possono cambiare la nostra visione della vita: speranza e conversione del cuore. Questi due concetti, profondamente interconnessi, possono guidarci verso una vita più piena e significativa, a livello personale e come comunità.

    La speranza è una forza potente, ci permette di guardare verso il futuro, di immaginare possibilità e opportunità anche nei momenti più bui. Essere parte di una comunità significa condividere sogni e aspirazioni, ma anche portare il peso delle preoccupazioni collettive. In un periodo storico segnato da divisioni e incertezze, è fondamentale coltivare la speranza: una speranza radicata nella fiducia che un futuro migliore è possibile, che insieme possiamo superare gli ostacoli, che ogni giorno porta con sé la possibilità di un nuovo inizio. Ma come possiamo alimentarla? Qui entra in gioco il concetto di conversione del cuore.

    La conversione non è solo un cambio di opinione o una semplice decisione; è un processo di trasformazione interiore. Si tratta di aprire il cuore alla bellezza e al dolore degli altri, di imparare ad ascoltare e a comprendere. È un invito a lasciare alle spalle le vecchie abitudini e a muoverci verso una vita più autentica.

    In comunità, la conversione del cuore può manifestarsi attraverso piccoli gesti quotidiani di solidarietà, ascolto e rispetto reciproco. Ogni volta che ci prendiamo un momento per comprendere le difficoltà degli altri, che offriamo una mano a chi è in difficoltà, contribuiamo a creare un ambiente di sostegno e rinascita.

    Ci sono esempi straordinari di comunità che, attraverso la speranza e la conversione del cuore, sono riuscite a trasformare le proprie realtà. Pensiamo ai gruppi di volontariato o a coloro che, attraverso il dialogo e la comprensione, sono riusciti a sanare ferite profonde e a ricostruire rapporti distrutti. Questi momenti di connessione umana sono la vera essenza della conversione del cuore.
    La speranza e la conversione del cuore non sono esperienze isolate, si nutrono e si rafforzano l’una con l’altra. Una comunità che vive nella speranza è più aperta alla trasformazione; una comunità che si converte è capace di irradiare speranza verso l’esterno. In questo nostro cammino insieme, invitiamo a riflettere su come possiamo, sia come individui che come collettività, coltivare la speranza e aprire i cuori alla conversione. Ogni passo conta. Insieme, possiamo costruire una comunità più unita, solidale e piena di speranza.

    In cammino, con il cuore aperto.

    Liliana, Ausiliaria Diocesana

  • Quaresima di fraternità 2025

    Quaresima di fraternità 2025

    Il gesto di carità proposto dalla Comunità Pastorale:
    aiutiamo fratel Angelo Sala a prendersi cura dei malati di AIDS in Repubblica Centraficana

    «Ho sempre pensato che la ricerca della libertà fosse una battaglia costante che bisogna costantemente combattere per mantenere. L’ho cercata percorrendo le grandi piste con la moto da enduro. Questa passione iniziò all’età di vent’anni ed è andata sempre crescendo.

    Trascorrevo la maggior parte delle vacanze in sella ad una moto; tutto il tempo libero era vissuto in funzione di questa vacanza: l’unica cosa sacra che allora conoscevo.

    I viaggi iniziarono poi ad essere sempre più avventurosi con la scoperta dell’Africa, esattamente il deserto del Sahara: un mare di sabbia e dune che incutono fascino, timore, ma anche la sensazione di libertà, come tutti i grandi spazi naturali.
    Riuscii ad aggregarmi a un gruppo della diocesi di Milano che si recava nella Repubblica Centrafricana, nazione che mi era completamente sconosciuta.

    In quel periodo conobbi dei missionari, uno dei quali – venuto a conoscenza della mia professione di odontotecnico – mi chiese se fosse possibile aprire uno studio dentistico a Bouar, visto che l’unica possibilità per la popolazione di accedere a cure dentistiche era quella di andare nella capitale Bangui a 500 km di distanza. Al mio ritorno in Italia, insieme ad una ragazza del gruppo, decisi di impegnarmi a raccogliere il necessario per realizzare l’opera.

    Stavo scoprendo l’altro, quello diverso da te, che ha bisogno del tuo aiuto materiale e spirituale. Da qui il passo è stato breve per arrivare a scoprire la vocazione e finalmente la libertà: l’ho trovata nella vita religiosa.

    Lì ho avuto modo di conoscere i missionari bétharramiti. Da quel momento ho iniziato il mio cammino, chiedendo di entrare nella loro famiglia.

    Ho toccato con mano la sofferenza della gente quando è colpita da una malattia e quando le strutture e le possibilità di curare sono pochissime. Ho potuto constatare che la piaga più grave in campo sanitario è l’AIDS. Mi ha molto colpito in quei momenti vedere giovani morire di questa malattia in un abbandono totale. A distanza di oltre 20 anni da quel mio primo viaggio nel cuore dell’Africa, oggi mi ritrovo responsabile del Centro di Cura Saint Michel con più di 1200 malati in carico, tra questi 180 bambini sieropositivi.

    Per mettere un argine al dilagare dell’AIDS in Africa, oltre ad impegnare personale specializzato, poter utilizzare sofisticate attrezzature e farmaci antiretrovirali, occorre combattere anche una battaglia per sconfiggere la povertà per poi modificare le abitudini di vita e la mentalità che fungono da terreno fertile per l’espansione della malattia».

    Fratel Angelo Sala, bétharramita

  • In ascolto… In cammino!

    In ascolto… In cammino!

    Oggi con la preghiera del Vespero iniziamo la settimana degli Esercizi Spirituali.

    Cosa sono gli Esercizi Spirituali?

    Un tempo nell’anno in cui ascoltare con maggiore intensità la parola di Dio per interrogarci su quello che ci sta chiedendo lo Spirito Santo. Non è solo un momento in cui seguire una serie di prediche, ma un tempo nel quale lasciare che Gesù Cristo parli al nostro cuore. In altre parole, è una esperienza di vita.

    E’ fondamentale leggere e rileggere i brani evangelici che saranno preparati perché arrivino ad intercettare le domande che abbiamo nel cuore, permettendoci di riconoscere che Cristo ci sta comunicando qualcosa che ha a che fare con la nostra vita.

    Gli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria sono diversi da una settimana di silenzio passata in qualche casa per la preghiera. Ognuno di noi continuerà ad avere le occupazioni di sempre, ma negli impegni quotidiani può riservare spazi di ascolto e di silenzio per la riflessione.

    Per chi sono gli Esercizi Spirituali?

    Sono una proposta per tutti, adulti e giovani. Sono occasione per tornare a cercare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente.

    Ognuno di noi ha desideri e attese, interrogativi e gioie che, interpellandoci, ci conducono a ‘cercare il Signore per vivere‘.

    Nella settimana che iniziamo, ciascuno può rileggere la sua vita alla luce della Parola. E’ proprio Gesù a ricordarci che “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

    Affermare di essere credente non è solo celebrare riti, ma vivere dell’incontro del nostro ‘io‘ con il ‘tu‘ di Dio Padre.

    Quale percorso sarà proposto?

    Il filo conduttore in quest’anno giubilare è: Il cammino penitenziale del discepolo. I testi del Vangelo che approfondiremo e su cui pregare hanno come protagonisti Gesù e Pietro. Cercheremo di ascoltare il cammino che Gesù fa compiere a Pietro per essere realmente discepolo. Al tempo stesso sarà necessario arrivare a riconoscere che molte fatiche e conquiste di Pietro non sono estranee alle nostre.

    Quali attenzioni praticare?

    Perché sia esperienza di incontro con Gesù vivo è utile seguire fino in fondo il tempo degli Esercizi. Verranno offerti spunti utili per fissare ogni giorno il messaggio per noi e, nel procedere delle giornate, tornare a chiederci: quale messaggio per me Signore?

    Suggerisco di pregare così:

    O Dio affido questo tempo di ascolto della tua Parola per imparare a riconoscerti sempre più e meglio come Padre.

    In ascolto del tuo Spirito di amore e verità fa che il mio cuore e la mia mente si aprano al ristoro mai abbastanza riconosciuto ma decisamente necessario al mio vivere.

    Con i miei fratelli e sorelle chiedo questo dono in Cristo Gesù tuo Figlio. Amen

  • Alla ricerca di un porto sicuro…

    Alla ricerca di un porto sicuro…

    Nel corso di questo anno Santo sentiamo ripetere più volte che la speranza non delude! Eppure le fatiche quotidiane non mancano, i risentimenti personali e di gruppo sono rintracciabili di frequente nei discorsi anche nella comunità cristiana, alcune situazioni umane sono evidentemente senza speranza. È vero anche che ci sono innumerevoli e silenziosi segni di luminosità che tengono viva la speranza, uomini e donne che operano facendo il bene, che vivono la quotidianità con senso di responsabilità e con passione.

    Tuttavia prevale l’ansia, meglio l’affanno. Sembra che
    il tempo non basti mai per fare tutto quanto. Le previsioni e le proiezioni circa il futuro sono spesso negative e inquietanti.

    È fondamentale tornare ad ascoltare l’annuncio: ‘La speranza non delude…‘ Ma come e dove lasciar risuonare questa certezza? Quando sostare perché la dispersione imposta dal ritmo vertiginoso del presente ci permetta di ascoltare la speranza che non delude?

    Ancor più in questo anno Santo siamo pellegrini di speranza e prendiamo coscienza di esserlo solo se decidiamo di fare alcune soste. Soste di ascolto per ritrovare la ragione della speranza. Soste di preghiera per lasciarci incontrare da Cristo che ci cerca appassionatamente. Soste per rientrare in noi stessi e riconoscere che le ombre del peccato sono guarite nel momento in cui vengono ravvisate e affidate all’abbraccio della misericordia del Padre buono.

    Soste che il tempo di Quaresima ci offre anche con la settimana degli Esercizi Spirituali che vivremo in comunità dal 9 al 16 marzo.

    Nell’invito a vivere l’Anno Santo Papa Francesco scrive: “Nel cammino del Giubileo, ritorniamo alla Sacra Scrittura e riconosciamo per noi queste parole della Lettera agli Ebrei:…noi che abbiamo cercato rifugio in Lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa abbiamo infatti un’ancora sicura e solida per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi”.

    Per ritrovare ogni giorno la ragione della speranza è imprescindibile fermarsi e riconoscerla, fermarsi e cercarla. In questo Anno Santo invitiamo tutti a vivere con intensità gli Esercizi Spirituali, per capire che è possibile stare al mondo
    senza eccessivi contraccolpi e scossoni quando cerchiamo rifugio in Lui, quando Cristo è davvero àncora sicura e solida. Se il silenzio è il linguaggio di Dio, mettiamoci in ascolto, in silenzio, degli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria.

    La speranza non delude…, non ci lascia nella con-
    fusione, ma ci offre il porto sicuro nella navigazione
    della vita.

  • Ripensare la comunità

    Ripensare la comunità

    Il consiglio pastorale cittadino ha avviato un articolato lavoro di confronto e di analisi, che ha l’obiettivo di individuare le scelte pastorali prioritarie per la nostra comunità. Questo percorso è stato stimolato anche dai recenti incontri con il Vicario di Zona, monsignor Michele Elli, e con don Paolo Boccaccia, responsabile dell’ufficio parrocchie della Chiesa di Milano: hanno invitato i consiglieri ad un’attenta rilettura dell’attuale scenario cittadino per poter disegnare la Chiesa desiana di domani.

    Lo scorso martedì 28 gennaio, monsignor Mauro Barlassina, responsabile della comunità pastorale, ha offerto al consiglio ulteriori dati sui quali riflettere e dai quali partire, facendo un’analisi dell’ultimo decennio e fotografando, ad esempio, il numero dei Sacramenti, la partecipazione alle messe e il numero di celebrazioni, la disponibilità dei volontari e lo stato delle strutture. Ne è seguito un lavoro a gruppi, all’interno dei quali sono emerse diverse suggestioni: su queste il consiglio pastorale lavorerà nei prossimi mesi. Sono cinque i punti sui quali è stata posta l’attenzione.

    Il primo. È tempo di ripensare le strutture in base alle mutate esigenze pastorali. Non tutte le parrocchie della comunità devono necessariamente ospitare gli stessi servizi. Tutti gli ambienti devono essere curati, ma ogni struttura può specializzarsi su uno specifico aspetto dell’attività pastorale. Insomma, serve un ripensamento razionale dell’utilizzo degli spazi, che consenta di rafforzare alcune attività e servizi, caratterizzando specifici ambienti. Naturalmente spazi e attività devono essere costruiti in relazione all’annuncio, con massima attenzione alla liturgia, alle celebrazioni e alla carità.

    Il secondo punto è la conseguenza del primo: occorre capire la vocazione particolare di ciascuna parrocchia per meglio individuare il corretto utilizzo delle risorse a disposizione.

    In questa ricerca si innesta il terzo punto, che si concentra su un ambiente che per oltre mezzo secolo è stato uno dei fulcri dell’attività pastorale: il Centro Parrocchiale di via Conciliazione, che oggi necessita di una profonda ristrutturazione. Si apre in tal senso una riflessione: è opportuno intervenire o è meglio pensare a scelte diverse e magari audaci?

    Gli ultimi due punti che saranno oggetto di ulteriori analisi riguardano il numero delle messe nelle varie parrocchie e la formazione. Occorre rivedere l’attuale assetto delle celebrazioni, per renderle più curate e per non disperdere energie.

    Quanto alla formazione, occorre ripensare i percorsi di tutte le fasce d’età e di tutti i settori.

    La segreteria del Consiglio Pastorale

  • Esiste il Paradiso?

    Imagine there’s no heaven”. “Immagina che non ci sia paradiso”, cantava John Lennon nel 1971.

    L’uomo di oggi, ferito, ma ancora abbagliato dalle grandi promesse di felicità terrene di capitalismo e marxismo, è rimasto intrappolato in orizzonti troppo angusti per il suo cuore. Ha perduto il Paradiso: non sa se crederci, non gli interessa, lo cerca in terra. Se il pensiero riemerge in lui, è per una realtà angelica, dove tutti continuano la loro vita, anche con gli animali domestici defunti, senza una giustizia, un rendere conto finale della nostra libertà. Altre volte preferisce consegnarsi alla visione tragica della reincarnazione promossa dalle filosofie orientali.

    Il Regno di Dio, che chiediamo in ogni Padre nostro, è poco compreso anche da noi. Questa attesa sopravvive sicuramente nella dimensione morale e provvidenziale terrena quando preghiamo per la pace, per l’unità in famiglia, per l’ambiente, ma è spesso recisa dalla Resurrezione di Cristo. Aver reciso il legame con il Paradiso ha tuttora gravi conseguenze in ciascuno di noi: prima tra tutte la disperazione crescente.

    Le tracce della vita e della fede dei primi cristiani raccolte nelle Lettere dell’Apostolo Paolo ci parlano invece di comunità provate, perseguitate, ma mai disperate.

    Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.”

    (1Tes 4,13-14)

    Avevano ben chiaro l’orizzonte della loro speranza: il Regno di Dio, qui e in Cielo, la Pasqua di Cristo, la Sua misericordia, il Suo giudizio e la resurrezione dei morti.

    Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede.

    (1 Cor 15,13-14)

    Erano autentici pellegrini di speranza nel cammino della loro vita terrena perché erano aperti a Cristo e alla vita eterna. Avevano incontrato il Suo amore.

    Qual è il significato di ricevere l’indulgenza plenaria durante questo 2025? Metterci in viaggio per Roma, attraversare la Porta Santa, vivere il Sacramento della Riconciliazione, comunicarci durante la Santa Messa, rinnovare la nostra fede, pregare per il Papa e per i defunti?

    È solo per un certo sentire di pace momentanea? Oppure è per aiutarci ad allargare il cuore a quella speranza che non delude?

    Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia.

    (Gv 16,22)

    don Marco Albertoni

  • Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Alcuni mesi fa abbiamo sentito uomini di governo affermare: “Se vuoi la pace prepara la guerra!”. Altri sono decisamente convinti che solo una guerra può risolvere alcuni dei problemi strutturali dell’epoca in cui viviamo. La conseguenza, banale e semplicistica, interessata e fuorviante, è deridere chi sceglie di operare, sostenere e pregare per la pace tra i popoli e le nazioni.

    Spesso il modo migliore per sostenere posizioni ingannevoli e pericolose per l’umanità è proprio quella di deridere o accusare (a prescindere) chi non è allineato al pensiero dominante.

    I social e le innumerevoli modalità manipolative del reale creano consensi finali, dispensando l’individuo dal considerare tutti gli aspetti in gioco.

    Proporre per la giornata del 9 febbraio la marcia della pace in città è una scelta che vorrebbe favorire un dialogo tra le genti, una sinergia tra le componenti sociali, religiose e culturali presenti sul territorio.

    Cattolici, musulmani, agnostici, cercatori di senso, non sono uomini e donne in contrasto tra di loro, ma persone capaci di riflessione, di considerazioni e di pensiero.

    Il pensiero e le conclusioni non sono certamente identiche, ma alcune scelte ci accomunano. E ogni uomo e donna di buona volontà non può che arrivare a riconoscere che la guerra non può che distruggere, mentre la pace (in certi tempi più difficile da scegliere) non può che costruire.

    Senza azzardare conclusioni troppo semplicistiche, ho l’impressione che il diffondersi di una cultura di guerra e, quindi, di morte e distruzione, sia conseguenza di mancanza di respiro nel cuore di molti. Il cercare a tutti i costi e senza limiti di possedere, avere, utilizzare, alla lunga può renderci uomini e donne senza speranza, appunto senza respiro!

    Quando non si vede un ‘oltre’, il rischio è di cadere nell’inganno, cioè che solo la legge del più forte risolve i problemi personali e strutturali.

    Scendere in piazza, percorrere le strade della città per dire che siamo per la pace è scegliere per l’uomo. L’uomo che “ha delle domande di senso insopprimibili, che ha in sé il desiderio di vivere in pienezza ogni aspetto della vita: l’amore, l’amicizia, le relazioni, il lavoro, l’impegno nella società… L’uomo che, in ultima analisi è aperto a una dimensione trascendente della vita e che si sente inquieto fino a che non riesce a trovare una risposta globale alle sue domande, quel qualcosa che dà senso a tutto” (Card. Farrell nel XX anniversario della morte di don Luigi Giussani).

    L’uomo credente e, in particolare al riguardo Achille Ratti, arriva a offrire la propria vita per la pace. Nel radiomessaggio del 29 settembre 1938 così si esprime Pio XI: “Indicibilmente grati per le preghiere che per Noi sono state fatte e si fanno dai fedeli di tutto il mondo cattolico, questa vita, che in grazia di tali preghiere il Signore Ci ha concesso e quasi rinnovato, Noi di tutto cuore offriamo per la salute e per la pace del mondo, o che il Signore della vita e della morte voglia toglierci l’inestimabile già lungo dono della vita o voglia invece prolungare ancor più la giornata di lavoro all’afflitto e stanco operaio…”. Un intervento che, segnato dal linguaggio del tempo, ha un’attualità straordinaria perché descrive la santità di questo uomo che, in nome del Vangelo, è operatore di pace non solo con proclami, ma con l’offerta della propria vita, per scongiurare l’ormai imminente secondo conflitto mondiale che poi farà milioni di vittime e catastrofiche distruzioni.

    Eppure, alcuni continuano a ritenere inevitabili le distruzioni per ripartire!