«Lungo il sentiero ripido e pietroso ho incontrato una bambina che saliva lentamente, portando sulla schiena il fratellino. Mi sono fermato e le ho detto: Stai portando un pesante fardello! Lei mi ha risposto: Non è un fardello; è mio fratello».
Questa testimonianza mostra come ciò che si fa per la propria famiglia trasforma un sacrificio in un gesto d’amore. Questo stile di vita ce l’ha dimostrato Gesù, che ha detto: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”.
Infatti la famiglia è una necessaria combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri, sempre nel cammino dell’amicizia, che spinge gli sposi a prendersi cura gli uni degli altri. In realtà spesso corriamo il rischio di farci travolgere dalla frenesia e dalla superficialità, come ci ricorda David Weatheford in una sua poesia:
“Percorri ogni giorno in volo? Quante volte chiedi: “Come stai?”, e ascolti la risposta? Quando alle sera ti stendi sul letto, quante questioni ti passano ancora per la testa? Hai mai detto a tuo figlio: “Lo faremo domani”, senza notare il suo dispiacere? Hai mai perso il contatto con una buona amicizia, che poi è finita, perchè non hai avuto il tempo di chiamare e di dire: “Ciao”? Faresti meglio a rallentare. Non danzare così veloce. Il tempo è breve. La musica non durerà”.
Educare alla pace in famiglia significa vivere gesti di solidarietà, di riconciliazione, di prossimità e di servizio. Occorre insegnare parole di bontà, perdono, comprensione, stima, fiducia e benevolenza. Educare alla speranza significa che è sbagliato arrendersi di fronte alle difficoltà; occorre saper vedere le sfide quotidiane come opportunità per crescere meglio insieme. Proprio l’affetto per i propri cari aguzza l’ingegno, perché si possa sperimentare anche in alcune situazioni complicate.
“La direttrice di una scuola elementare, durante una riunione con i genitori, ricordò loro come fosse importante che dedicassero molto tempo per parlare con i figli.
Un papà intervenne dicendo che lui aveva questa opportunità solo alla domenica. Infatti gli altri giorni usciva di casa all’alba, mentre il figlio dormiva ancora; alla sera rientrava dal lavoro molto tardi, quando il figlio era già addormentato. Però ogni notte andava accanto al letto del bambino e lo baciava sulla fronte; poi faceva un nodo alla punta del lenzuolo. Quando al mattino il figlio si svegliava e trovava il nodo, capiva che suo padre era venuto a baciarlo. Quel nodo manteneva viva la comunicazione tra loro due!”
Nella Basilica dei SS. Siro e Materno a Desio, il 31 dicembre 2024, durante la messa di ringraziamento alla fine dell’anno
Mons. Mauro Barlassina, appello alla città: “Desio, rinasci con audacia e creatività!”
Nell’omelia di fine anno, il responsabile della comunità pastorale Santa Teresa del Bambino Gesù parla di città “stanca e sfilacciata”, ma evidenzia anche i “tanti segni di speranza” che costituiscono la base per un rilancio. L’invito ad avere “una visione d’insieme”. Pubblichiamo e riportiamo il testo integrale di alcune reazioni dalla comunità cristiana e civile.
“In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare.
Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.
L’Arcivescovo Mario Delpini, nel discorso alla città in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato:
“Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”.
Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.
Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città.
La Festa della Famiglia, in programma domenica 26 gennaio, si presenta come un’importante occasione per celebrare, riflettere e condividere. Quest’anno il tema scelto è Raccontiamo segni di speranza – Pensare la pace, cercare la pace, operare la pace, tema di grande attualità e rilevanza, che invita a una profonda riflessione e a un’azione concreta.
In un mondo caratterizzato da conflitti, la Festa della Famiglia si propone come un momento di unità e di dialogo, dove famiglie, comunità e individui possono riunirsi per celebrare e promuovere valori fondamentali come la pace e la solidarietà. La scelta di focalizzarsi sulla speranza è particolarmente significativa: in tempi di incertezze e sfide è essenziale alimentare la fiducia nel futuro e nella capacità di costruire relazioni positive e costruttive.
L’idea di pensare la pace implica una riflessione profonda sulle radici dei conflitti e delle divisioni, promuovendo un approccio che parte dalla consapevolezza delle proprie azioni quotidiane.
Cercare la pace richiama l’urgenza di un impegno attivo, che si traduce in gesti concreti di solidarietà e di aiuto verso chi vive situazioni di fragilità.
Operare per la pace è un invito a mettere in pratica quanto appreso, diventando portatori di cambiamento all’interno delle proprie famiglie e comunità.
In questo contesto, la Festa della Famiglia rappresenta un vero e proprio laboratorio di pace, dove ogni partecipante può sentirsi parte di un progetto più grande.
L’adesione attiva e il coinvolgimento sono fondamentali: ognuno di noi ha il potere di fare la differenza, di essere un seme di speranza.
La Festa della Famiglia rappresenta una opportunità unica per celebrare i legami che ci uniscono e per rafforzare il senso di comunità. Non perdere l’occasione di partecipare a questa giornata speciale.
La tua presenza è fondamentale per rendere l’evento ancora più speciale!
Invita i tuoi familiari, amici e conoscenti e vieni a vivere un’esperienza che scalderà il cuore e arricchirà la nostre vite. Ti aspettiamo per celebrare insieme la bellezza della famiglia! Non mancare!
I personaggi che popolano il presepe sono tanti! Ognuno ne può aggiungere altri al punto che, in alcuni luoghi, ogni anno viene proposta una nuova statuina da collocare tra quelle già esistenti.
Alcuni personaggi sono indispensabili.
Non c’è racconto della nascita senza Maria e Giuseppe che, stupiti, si lasciano interrogare da quanto sta accadendo. Non c’è presepe senza i pastori che, accogliendo il canto degli angeli, si dirigono con il gregge verso Betlemme; senza chi porta frutti della terra e del lavoro al Bambino; senza i Re partiti da lontano che, guidati da una stella, si dirigono, tra momenti di sicurezza e altri di incertezza, verso l’oscura città di Betlemme. Non c’è presepe senza Erode che, con un esercizio spietato del potere, vorrebbe spegnere ogni luce del racconto natalizio. Non c’è presepe senza l’asino, il bue e tanti altri personaggi.
Con un po’ di attenzione si può affermare che non c’è presepe senza di noi, senza di te e di me. In fondo è condivisibile quanto afferma don Primo Mazzolari, profeta negli anni ’50 di una Chiesa ancora popolare: “Il mondo è in cerca di gioia, ha diritto di accorgersi che, con il Natale di Gesù, la gioia è entrata nel mondo… Coloro che credono in Lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravedere la sorgente inesauribile della perfetta letizia”.
In altre parole, tutti i personaggi del presepe sono attratti dal protagonista del Natale, dall’Emmanuele, il Dio con noi che, nel segno povero di un Bambino deposto in una mangiatoia si fa presenza.
Dal riconoscimento di questa presenza nasce il popolo degli uomini e donne lieti. Lieti non perché senza problemi, affanni, fatiche e solitudini, ma perché hanno incontrato la sorgente della gioia che non lascia senza conseguenze, che non ci permette più di vivere come se Dio non ci fosse!
Con un pensiero di un prete poeta, don Angelo Casati, possiamo affermare che l’origine della gioia condivisa è l’infinita tenerezza di Dio: “Chissà se ce ne siamo accorti. Il segno del presepe non è il segno della potenza che atterrisce, non ci sono troni: c’è il segno della semplicità, dell’infinito della semplicità; il segno della povertà, dell’infinito della povertà; il segno della tenerezza, dell’infinito della tenerezza. Niente spaventi. Il segno è quello della nascita di un bambino. A incantarti è la vita, sono gli occhi di quella madre e di quel padre, a parlarti non sono i palazzi, è quella mangiatoia, sono quelle fasce, cose da pastori, cose familiari a quei pastori. I pastori riferirono l’inimmaginabile: un Messia in fasce, nella mangiatoia, il Messia nella tenerezza.” Ecco perché non possiamo non esserci nel presepe della vita quotidiana. Ecco perché non possiamo più non essere lieti nel Signore!
“Desio, sei sfilacciata e stanca. Serve audacia e creatività! E occorre avere una visione d’insieme per rilanciare la città”
Omelia di fine anno – 31 dicembre 2024
In questo ultimo giorno dell’anno, con tutta probabilità, i pensieri potrebbero essere contrastanti. Alcuni di noi concludono un anno con la necessità di ringraziare. Altri di noi, invece, concludono un anno dove prevalgono la tristezza, forse anche la delusione, la rassegnazione e la stanchezza di fronte alle sfide e alle complessità della contemporaneità, che si esplicita in uno sfilacciamento ecclesiale, istituzionale e quindi anche relazionale.
L’Arcivescovo Mario Delpini nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, ha affermato: “Dagli incontri che mi è dato di vivere, dalle confidenze che raccolgo mi sono convinto che si può riconoscere come uno dei sentimenti diffusi una sorta di spossatezza, come di chi non ce la fa più e deve continuare ad andare avanti. Ecco: la stanchezza mi sembra un punto di vista per interpretare la situazione”. Nel confronto avuto anche con chi ha condiviso con me l’incontro con le famiglie in occasione del Natale sono emersi segni di speranza e, al tempo stesso, di fatica e stanchezza.
Vorrei condividere con voi, per l’amore che porto alla nostra città di Desio, i segni di speranza ma anche le frustrazioni e le complessità che hanno impoverito e potrebbero impoverire ulteriormente la convivenza sociale nel territorio della città. Segni di speranza e ombre che li oscurano
I segni di speranza in città non mancano.
Hanno il volto di uomini e donne di ogni età che in modo gratuito, costruttivo e sinergico mettono a disposizione il loro tempo nelle associazioni di volontariato sociale e in tutte le altre realtà che si occupano della cura della persona in tutte le fasi della vita, anche attraverso l’impegno educativo delle scuole e dei nostri oratori. Sappiamo tutti che di fronte a questo segno di speranza emerge sempre di più la fatica del ricambio generazionale.
Sono segni di speranza la tenacia dei commercianti nel sostenere le attività nonostante la spietata concorrenza soprattutto dei centri commerciali, nonostante la burocrazia sempre più gravosa e, in molti casi, nonostante i costi degli affitti, spesso esorbitanti, non consoni ai ricavi.
Sono segno di speranza in città gli operatori sanitari che, in ospedale e in altre strutture e in varie forme, si dedicano alle persone malate, anziane e sofferenti, nonostante i tagli economici sempre più pesanti. Dico questo pensando in particolare alla non sufficiente valorizzazione data al nostro ospedale intitolato a Pio XI, non ancora riconosciuto come riferimento territoriale per la cura della persona nel panorama degli investimenti economici nel territorio di Monza e Brianza.
Segni di speranza sono, ancora, i desiani di nascita e di adozione che si impegnano a favore dell’amministrazione della città nonostante un clima sempre più individualistico, personalistico e conflittuale: si ha infatti la sensazione che prevalgano visioni di parte, a volte (Dio non voglia!) oscuri interessi, mentre dovrebbe essere ben altro ad animare chi è chiamato a lavorare per la città, ovvero il bene comune e la costruzione di un contesto sociale accogliente e attrattivo. Il mercato della casa, con le proprie logiche, se non è il più trasparente possibile, viene condizionato da interessi che favoriscono alcuni ma rendono sempre più poveri altri. La nostra città non merita di essere ancor di più impoverita, rischiando di diventare un quartiere dormitorio della vicina metropoli.
Segni di speranza sono i dipendenti pubblici che compiono il proprio lavoro come servizio al bene comune e non come esercizio di un potere burocratico sempre più farraginoso, cavilloso e incapace di offrire risposte alla unanimemente riconosciuta concretezza brianzola, che cerca la realizzazione di obiettivi e non il rinvio all’infinito del compimento dei progetti. Diceva un grande Cardinale, anche capace di ironia: “Il nostro mondo è caratterizzato da ‘problematologi’, ma di ‘soluzionologi’ non se ne vedono”.
Insomma, segni di speranza sono i tanti che cercano di rendere la città luogo di relazioni oneste, accoglienti, capaci di integrare e includere le diverse presenze culturali, razziali e religiose; sono i tanti che non si limitano al “si dovrebbe”, al “dovrebbero fare”, ma che piuttosto si chiedono “come possiamo contribuire al bene della nostra città?”; sono i tanti che – all’interno della Chiesa locale – si chiedono come poter camminare più uniti, passando da quel periodo del riferimento campanilistico a un percorso attento ad ogni frazione del territorio di Desio, ma in una comunione di intenti e di fraternità.
Una proposta: avere una visione di insieme
In questo contrastante panorama, caratterizzato da segni di speranza e dalle ombre che li oscurano, mi sono chiesto: quali suggerimenti posso dare?
Un prete giornalista, don Vinicio Albanesi, coglie con chiarezza cosa ci manca e come cambiare rotta: “Agli italiani manca una prospettiva. Negli ultimi anni nessuno ha suggerito loro un futuro, indicato una strada, lanciato uno sguardo al di là del presente. Chi è che ci ha fatto sognare? Nessuno … siamo sopravvissuti.” In questa affermazione, dura e sferzante, mi sembra di poter indicare una strada per ciascuno di noi, per la nostra città, per la presenza della Chiesa nella città, per chi è chiamato ad amministrarla. E’ necessario, ora più che mai, avere una visione d’insieme.
Occorre muoversi con audacia e creatività.
Non è più tempo di interessi parziali, non è più tempo di fare spazio a chi ha magari ancora interessi illegali: queste persone devono essere amate, ma non seguite.
E’ tempo di idee e progetti che possano essere condivisi da tutte le parti politiche: occorre avviare un percorso virtuoso, tra persone che sappiano sporcarsi le mani, che sappiano lasciarsi coinvolgere e che offrano prospettiva.
Non possiamo permetterci di lasciare a un destino di abbandono la bella città di Desio, la città del lavoro e dell’intraprendenza, la città della cura e della prossimità, la città dell’accoglienza e dell’integrazione culturale e religiosa, la città dell’educazione pensata e realizzata, una città pronta ad accogliere e dare spazio di espressione a tutte le generazioni, attraente per i giovani e vivibile per gli anziani.
Non è più tempo che la città paghi per la conflittualità tra le forze politiche, vuote di visione e di progettualità, incapaci di dare futuro e prospettiva, perché troppo impegnate a ‘guardarsi addosso’ e a difendere i propri fortini.
Siamo ancora in tempo!
E per questo prego, con un augurio: “Desio, il Signore già volge lo sguardo su di te. Il Signore ti doni la pace sempre invocata – in un tempo altrettanto complesso – dal nostro Papa Pio XI. Il Signore benedica tutti gli uomini e le donne che seminano speranza nella città perché siano costruttori di futuro.”
Da qualche anno al vocabolario della pace si va sostituendo quello della guerra.
Negli anni ’80 del secolo scorso si affermava la necessità di ridurre la spesa degli stati per gli armamenti, mentre ai nostri giorni quasi tutti i paesi europei, Italia compresa, hanno varato con i loro governi, democraticamente eletti, l’aumento dei fondi per rinnovare armi di distruzione. Allora si decideva l’abolizione del servizio di leva, mentre oggi si insiste ad affermare, e non solo negli ambienti militari, che dobbiamo prepararci a una guerra (ci sono ben 56 conflitti in atto in quasi tutti i continenti).
I governanti e i responsabili degli organismi internazionali tentavano in ogni modo di arrivare a mediazioni concrete, sulla scia della Dichiarazione di Helsinki circa la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1975), per evitare attacchi di guerra. Oggi gli stessi Stati sembrano invece preparare la guerra.
Quali sono le cause di tale deriva? Sicuramente sono da ricondurre a motivazioni politiche, economico-finanziarie e di carattere intrinseco alla crescita esponenziale del mondo negli ultimi 40 anni. Solo queste? O c’entra anche la conflittualità sempre più diffusa negli ambienti familiari, sociali, civili, politici, ecclesiali? Negli anni ’80 si manifestava contro ogni forma di guerra. Siamo ancora capaci, oggi, di dire no alla guerra, sì alla pace o questa è solo una pura illusione di qualche irriducibile pacifista deriso dal pensiero che si impone?
È fondamentale non smettere di pensare e di valutare quanto è in gioco attorno ai conflitti. Lo è per tutti e ancor di più per noi cristiani, nell’Anno Santo 2025. Afferma il Vescovo Mario nel discorso alla città del dicembre scorso: «L’anno giubilare può essere il tempo propizio per diventare pellegrini di Speranza, per farci carico dell’educazione alla pace nelle scuole, negli oratori, nelle attività culturali, nelle pratiche sportive, in ogni ambito della vita sociale».
E Papa Francesco, una delle poche voci, se non l’unica, a ricordarci che nulla è perduto con la pace mentre tutto è perduto con la guerra, scrive nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: «Utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei paesi più poveri attività educative volte a promuovere lo sviluppo sostenibile».
Sono i poveri che gridano e inquietano, ma non sono forse loro i prediletti del Bambino nato a Betlemme? Non sono forse i poveri i primi annunciatori di pace a Betlemme, ieri, e oggi nelle nostre città, chiese e realtà di vita? Non si può dimenticare: “Gloria nei cieli e pace sulla terra”.
La preghiera o il desiderio più ricorrente in queste giornate è un grido che, sommesso ma deciso, sgorga nel cuore di uomini e donne di buona volontà. È il grido che invoca pace. Pace in Terra Santa, a Gerusalemme, Gaza; in Libano e in Siria; in Ucraina e Russia; pace in tutti i luoghi della terra in cui si fomenta la guerra.
Impressiona, scorrendo le notizie quotidiane, con quale abbondanza di particolari e di rilievo si racconta di eserciti nazionali che si devono riorganizzare per la guerra, di armi di cielo, terra e mare inaugurate alla presenza di capi di Stato e dei grandi finanziatori dell’economia bellica.
Impressiona, ma non stupisce, l’enfatizzare i conflitti da parte delle fonti di comunicazione, il gettare benzina sul fuoco, soffocando invece i molti segni di speranza che tanta gente cerca di proporre.
Impressiona, ma non ci porta a scelte conseguenziali, incontrare occhi di uomini e donne di ogni età con un macigno nel cuore, che non reggono al quotidiano, perché senza speranza, con scarse prospettive lavorative.
Fa riflettere la crescita esponenziale del timore dell’altro, spesso identificato come un pericolo piuttosto che un fratello o una sorella.
Senza negare questo clima alimentato da alcuni, riconosciamo però che il nostro non è un tempo totalmente oscuro, non è un periodo più complesso di altri. Nella nostra città, come in tutte le altre, vi sono persone che cercano di incontrare e farsi incontrare, che spendono tempo, intelligenza ed energie per costruire una città inclusiva e accogliente, per offrire vicinanza a chi è solo, per promuovere opportunità di relazioni buone. Ci sono padri e madri che educano e accompagnano i figli a diventare grandi. Ci sono giovani che animano i nostri oratori; persone che nel nostro ospedale e nella casa riposo si prendono a cuore i malati, insegnanti che trasmettono non solo il sapere, ma anche il perché del sapere. Ci sono realtà associative, di volontariato, di categoria, ecclesiali e non ecclesiali, che rendono tangibile quella relazione che coniuga mete e metodi per raggiungerle.
Ci sono immigrati accolti e coinvolti e che si lasciano accogliere e si coinvolgono. E ci sono i tanti poveri che ci ricordano che la speranza non è una parola, ma un modo di vivere.
Insomma, la città è reale! Sta a noi continuare a diffondere l’annuncio del Natale Gloria nel cielo e pace sulla terra…, far risuonare a ciascuno, grazie al dono della fede, che è Natale per tutti, perché Dio si fa uomo e non estraneo nel segno povero della mangiatoia di Betlemme (cfr: casa del pane) e nell’Eucarestia.
È questo il mio e nostro augurio. È questo il motivo della speranza e dell’impegno, oggi.
A nome dei confratelli preti, dei diaconi e delle donne consacrate della città, buon e Santo Natale, perché sia Pace in terra e gloria nel cielo.
Queste parole dette da Dio al Profeta Isaia ci accompagnano nella Liturgia di oggi.
C’è un popolo “di Sion” anche a Desio.
Magari un po’ disperso, ma c’è.
Famiglie e laici, che credono in Gesù e che sono un aiuto importante nella nostra comunità e nel mondo civile. Famiglie che si affacciano alle nostre realtà con docilità e curiosità; bambini ancora stupiti dall’amore di Dio e che Lo attendono nella I Comunione.
Giovani educatori e cerimonieri che si dedicano ai più piccoli nei nostri oratori.
Lo fanno di buon cuore. Famiglie che ci hanno aperto le porte di casa con un sorriso e con il Presepe appena preparato.
Persone che soffrono, che poco intercettiamo, ma che non smettono di credere.
Anziani e ammalati che ogni giorno stringono tra le mani i grani del rosario e intercedono per noi.
Fratelli e sorelle cristiani, di Paesi lontani, di confessioni diverse dalla nostra, che pregano ogni giorno Gesù come noi.
C’è una fede semplice che non ha del tutto abbandonato le nostre vie.
Non dovrei dirlo io, ma ci sono preti, diaconi, consacrate che non si sottraggono alla loro missione e lo fanno con passione.
Ci sono molte persone di “buona volontà” che non si definiscono cattoliche, ma cercano di fare la loro buona parte nella vita.
Tuttavia ci sono anche molte solitudini, povertà economiche, morali e spirituali; a volte noi stessi “uomini e donne di Chiesa” sperimentiamo stanchezza e affanno; aleggia un certo disagio tra i più giovani, si colgono preoccupazioni e paure tra gli adulti; alcune porte chiuse durante le benedizioni ci dicono anche di indifferenze e fatica ad accostarsi alla nostra e Sua Chiesa.
Questa è la nostra città da accogliere e da amare. Proprio ad essa il Signore Gesù aspetta con fiducia di fare grazia. Beati coloro che sperano in Lui.
La festa dell’Immacolata Concezione, che si celebra l’8 dicembre, affonda le sue radici in una tradizione antica che riconosce la purezza e la speciale chiamata di Maria, la madre di Gesù. Il dogma dell’Immacolata Concezione afferma che Maria è stata concepita senza peccato originale e venne ufficialmente proclamato da Papa Pio IX nel 1854.
Questa proclamazione ha costituito il riconoscimento formale di una credenza che già circolava nei secoli precedenti, sottolineando come Maria sia stata preservata dal peccato fin dal primo istante della sua esistenza, in virtù della missione divina che le era stata affidata.
Il termine “Immacolata” significa “senza macchia” ed evidenzia la purezza totale di Maria, la quale, essendo stata scelta per essere la Madre di Dio, ha ricevuto una grazia speciale che le ha permesso di vivere in perfetta comunione con la volontà divina. La definizione di Immacolata Concezione non è solo un tributo alla sua figura, ma rappresenta anche un segno di speranza e di rinnovamento per tutta l’umanità.
Un aspetto importante della vita di Maria è la sua costante adesione alla volontà di Dio.
Maria ha sempre dato spazio a Dio mettendo la propria vita nelle Sue mani. Nel momento in cui l’Angelo Gabriele le annunciò che sarebbe diventata la madre del Salvatore, Maria rispose con un semplice ma potente e consolante “Sì”.
Il gesto di disponibilità e totale fiducia è un modello per tutti noi: la capacità di riconoscere e accogliere il piano di Dio nella vita di ognuno, anche quando non è chiaro o comporta delle fatiche. Maria con il suo “eccomi” ci invita a fare lo stesso, ad abbracciare la volontà di Dio con fede e abbandono.
Maria è anche guida che ci indica la strada verso Gesù. La sua vita, esempio di silenziosa dedizione e servizio, ci mostra come incontrare Gesù.
Nel suo abbraccio accogliente e nel suo cuore pieno di grazia troviamo conforto e ispirazione per affrontare le sfide della vita. Maria è la nostra madre spirituale, luce e speranza per ogni uomo e donna che cerca un senso profondo alla propria vita.
In conclusione, la festa dell’Immacolata Concezione è un momento per riflettere sul mistero di Maria, sulla sua purezza e sul suo fedele “Sì” alla volontà di Dio. Ci invita a riconoscere la sua presenza nella nostra vita e a seguire l’esempio per diventare anche noi strumenti di amore e speranza per il mondo. Con Maria al nostro fianco possiamo sempre rinnovare il nostro cammino verso Gesù, la Vera Luce e nostra Salvezza.
Graziana Calafà
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