La morte di Benedetto XVI ha colpito tutti ed è stata oggetto di analisi, rievocazioni, ricordi. Come in altri casi si rischia di dare ascolto a ciò che viene detto con semplificazioni ed effetti mediatici, secondo leggi di pubblicità.
Più saggiamente ha detto di lui papa Francesco: «Il suo pensiero acuto e garbato non è stato autoreferenziale, ma ecclesiale, perché sempre ha voluto accompagnarci all’incontro con Gesù. Gesù, il Crocifisso risorto, il Vivente e il Signore, è stata la meta a cui Papa Benedetto ci ha condotto, prendendoci per mano».
Occorre tornare ai testi più qualificanti del pontificato – Deus caritas est e Caritas in veritate su tutti – e anzitutto leggere il Testamento spirituale da lui scritto nel 2006 e pubblicato in questi giorni.
Benedetto lo comincia con un ringraziamento: «Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare», e dettaglia la sua gratitudine verso Dio, la famiglia, gli amici, la terra dove è nato. Una vera e propria confessio laudis.
A tutti riserva un invito pressante: «rimanete saldi nella fede!». E conclude: «Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita – e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». Benedetto
sottolinea ancora l’urgenza più forte dei nostri tempi: quale fede, o quali fedi (non necessariamente religiose) praticano i nostri contemporanei? E quale fede testimoniano i cristiani?
don Gianni
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