Categoria: Editoriali

  • Prime Confessioni

    Prime Confessioni

    «Padre, faccio molta fatica a venire a confessarmi…», «Mi faccia qualche domanda, non so cosa dire…», «Non ho niente da dire perché non faccio niente di male…», «ho pochi peccati, ma non sono un buon cristiano…»: non c’è dubbio che il sacramento della confessione – meglio Penitenza, meglio ancora Riconciliazione – non sia il più gradito.

    Forse per l’educazione che abbiamo ricevuto e che trasmettiamo ai figli e ai nipoti: lo scrupolo di dire noi qualcosa o di ricordare tutto (come si fa, quando ci si confessa a distanza di mesi o di anni?), in una sorta di competizione tra il bisogno di sentirsi ripuliti da ciò che riteniamo male e l’affermazione di una sostanziale perfezione. O forse per la difficoltà a rientrare in noi stessi e riconoscere la nostra verità profonda, che non ignora limiti e debolezze, ma sa pure vedere talenti e capacità: se nell’esame di coscienza troviamo delle ombre è perché certamente ci sono anche delle luci.

    Ma la sfida vera è sul protagonista del sacramento: se siamo noi, tutto si fonderà sul nostro dire bene o male, tutto o niente, di noi stessi. Ma ogni sacramento è sorprendente opera di Dio: quando non abbiamo il pane per l’Eucaristia o l’acqua per il Battesimo o l’amore per il Matrimonio, possiamo portare a Dio i nostri peccati. Lui sa vederli e trasformarli come noi non ci aspetteremmo. Questo è perdono e riconciliazione: un abbraccio benedicente.

    Auguri ai nostri ragazzi che in queste settimane celebrano la loro

    don Gianni

  • Vale la pena?

    Vale la pena?

    «Oh, no! Di già la pubblicità di Natale!»: verso la fine di ottobre ho reagito così di fronte a uno spot televisivo. Mi aspettavo perciò un’ondata di altri fastidiosi intermezzi pubblicitari natalizi in tv o su internet: niente di tutto questo; arriveranno più avanti, forse.

    Sì: vale la pena festeggiare il Natale? Con una pandemia non ancora vinta, una guerra crudele e assurda in corso (non dimentichiamola!), la crisi che svuota le nostre tasche e non riscalda le nostre case (anche le chiese…)?
    Già negli scorsi anni mi è capitato di incontrare persone che, reduci da un lutto recente, comprensibilmente si affrettavano a precisare «per noi quest’anno non è Natale!».

    Vale allora la pena iniziare il tempo di Avvento, preparare qualche segno festivo, pensare al presepio e all’albero? Varrà la pena programmare la confessione e la partecipazione alla Messa di mezzanotte?

    Avvento: sei settimane per recuperare in profondità quel nome – Natale – che significa nascita e che automaticamente richiama Colui che nasce. Da Lui prendono autenticità tutti gli altri messaggi, anche quelli un po’ retorici, sulla pace, sulla bontà, sull’attenzione ai poveri, persino sulla spiritualità.

    La pubblicità faccia il suo corso: in qualche caso ci azzecca pure a dare un messaggio simpatico e pieno di speranza.

    Ma anche noi cristiani facciamo il nostro corso: con il Vangelo davanti agli occhi, un po’ di silenzio per pregare, e lo sguardo benevolo verso coloro che il mondo vorrebbe scartare.

    don Gianni

  • Meglio santi

    Meglio santi

    «Non sono un/una santo/santa»: quando ci si deve giustificare per un’arrabbiatura o per aver trascurato qualche appuntamento di preghiera, si dice così.

    Già, perché si assimila il “santo” a padre Pio con la sua tonaca francescana e il suo volto mite e rigoroso, o a Teresa di Lisieux, con il suo sorriso infantile e gli occhi pieni di Dio. Poi si va a studiare meglio la vita dei santi e si vengono a conoscere i loro momenti di dubbio, di incertezza, o alcuni caratteri non sempre accomodanti. Due tra i più famosi, Francesco di Assisi e Ignazio di Loyola, hanno cominciato cercando la gloria del mondo nientemeno che in imprese militari, per fortuna (nostra!) miseramente fallite.

    Il primo passaggio per la santità è la coscienza – precisa, non approssimativa – del proprio peccato, cioè dell’incolmabile distanza da Dio, l’unico veramente Santo. Una distanza che viene ridotta non dagli sforzi mistici e morali della persona, ma dal dono che viene dall’alto: il dono della fede, del sapere che a Dio la vita può essere totalmente affidata e che ogni peccato potrà essere perdonato.

    Tra loro i primi cristiani si chiamavano “santi”, senza vanto, certi di formare una comunità di fratelli e sorelle, dove favorire la buona vita di ciascuno. E certi di un destino che nella fede in Gesù Risorto supera, pur temendola, la morte. E per evitare da subito la “morte secunda”, che non tocca “quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati”, come scrive san Francesco nel suo Cantico.

    don Gianni

  • MISSIONARI DEL REGNO

    MISSIONARI DEL REGNO

    «Di me sarete testimoni»: il tema campeggia nei manifesti dell’odierna Giornata Missionaria Mondiale.

    Obiezioni alle missioni ne sono sempre state fatte: da quelle contrarie alle pratiche di proselitismo, cioè di imposizione delle conversioni e dei battesimi, a quelle più moderne che invitano a rispettare le culture e a non risvegliare sentimenti di divisioni o contrapposizioni tra i popoli e al loro interno.

    Anche i Papi recenti, con diversi linguaggi, hanno fatto qualche critica, che si riassume in uno slogan che Papa Francesco ha ripetuto spesso: «la Chiesa non è una ONG», ossia una benefica
    organizzazione non governativa internazionale che si occupa esclusivamente di promozione umana. Se lo fa, non è solo per buonissime ragioni di attenzione ai più poveri e di passione per la giustizia –motivi per cui dobbiamo piangere qualche martire tra gli uomini e le donne in missione –, ma per obbedienza a un mandato: «Di me, di Gesù, sarete testimoni».

    Tanto la predicazione esplicita del Vangelo o le celebrazioni liturgiche quanto le opere di carità, specialmente in campo educativo e sanitario oltre che di aggregazione e promozione sociale,
    sono immagini, e quasi anticipazioni, di quel Regno di Dio che è il tesoro più prezioso del Vangelo. Il cuore del missionario batte non solo per compassione umana, ma per rispettare e ricostruire in ogni altro cuore la presenza di Dio che ha creato quell’uomo e quella donna a propria immagine, e così vuole che siano amati.

    don Gianni

  • Sempre umani

    Sempre umani

    Capita di ricevere telefonate sul numero fisso dove gli interlocutori si presentano non per nome e cognome, ma dicono di sé “un cittadino di Desio”, “una parrocchiana”. Sia per un’informazione, sia per una protesta, l’anonimato è garantito (mentre è ben noto chi sta rispondendo).

    Ancora. Negli ultimi tempi, stante l’arretramento della pandemia, il Vescovo autorizza a scegliere se ricevere la Comunione in mano o in bocca. Persone educate si sono presentate per poter ricevere la Comunione in bocca, ma, ben sapendo che in quel caso il ministro deve tornare a sanificarsi le mani, hanno proposto essi stessi di collocarsi in fondo alla fila ed evitare così disagi a sé, al ministro e agli altri fedeli. Capita talvolta che altri si mettano in mezzo e, alla educata richiesta del ministro di riceverla sulle mani oppure di ripresentarsi al termine della fila, senza incrociare il suo sguardo, se ne vadano irritati come se si fosse fatto loro un torto, facendo però venire il dubbio che la fede nell’Eucaristia, come presenza reale e necessaria di Gesù Cristo per la loro vita, non sia poi così solida e determinante.

    L’incarnazione di Cristo, Verbo di Dio, non è un mistero della fede e basta, ma un invito a vivere pienamente la propria umanità, accompagnata dalla capacità di relazioni vere e non funzionali. Quelle funzionali respingono l’altro in un ruolo e fanno male a entrambe le parti.

    Tutti però possiamo riscattarci, senza restare chiusi in una “bolla”, isolati dal mondo.

    don Gianni

  • Con tutti, per tutti

    Con tutti, per tutti

    La festa di Desio torna con qualche novità e non senza qualche ferita che il periodo della pandemia sembra avere lasciato.

    Da non trascurare è l’origine religiosa della festa, legata alla ricorrenza della Madonna del Rosario. Lungi dall’immaginare che un popolo numeroso accorra ancora agli appuntamenti di preghiera (non è così però in città vicine dove ho potuto osservare un fervore più intenso), il richiamo resta: se lo sguardo sul divino non sembra far più parte della cultura dominante, la nostalgia del totalmente altro – come dicono alcuni – resta nel cuore di ogni essere umano.
    Anche chi non sa nominare Dio vive desideri profondi, slanci di verità, ricerca del bene, sogni di felicità. Forse oggi più del recente passato, segnato da non poche false illusioni: le prove collettive che stiamo vivendo in alcuni creano ansia, in altri rabbia, in tutti la sensazione che non
    bastiamo a noi stessi e che occorre innalzare lo sguardo verso qualche speranza per vivere bene.

    La festa è anche momento di partecipazione, di tempo condiviso, di aggregazione.

    Non è facile stare insieme e avere spirito di comunità quando nel mondo prevalgono pensieri e stili di individualismo. I cristiani però possiedono una “profezia” che moltiplica proposte ed esperienze di unità e condivisione. Per Desio significa vivere una festa non solo del “centro”, ma di tutta la città, con i suoi quartieri e le sue parrocchie. Per condividere tra tutti le difficoltà e le ricchezze di tutti.

    don Gianni

  • Chi ci pensa?

    Chi ci pensa?

    Oggi nella diocesi di Milano e nella nostra città viviamo la festa di apertura degli Oratori.
    Per moltissimi di noi l’Oratorio è stata una seconda casa dove incontrarsi, giocare, fare sport o musica o teatro, soprattutto sperimentare le basi della fede cristiana, cioè vita comunitaria e preghiera.

    In un passato, magari anche recente, l’Oratorio assomigliava a un cortile, sempre aperto, con la presenza rassicurate di un sacerdote o di una suora, percepiti come fratello o sorella più grandi di età, ma vicini per condivisione del tempo, delle confidenze, delle attività.

    Oggi si arriva a leggere – la scorsa settimana in Italia Centrale – che un Oratorio viene chiuso perché non c’è nessun senso di appartenenza e può diventare luogo di sfogo di giovani, e talvolta anche adulti, maleducati, arroganti, minacciosi. Ci siamo arrivati tempo fa pure a Desio. Questo anche perché è difficile trovare figure educative qualificate e sufficienti per presidiare gli Oratori.

    Il pensiero però non deve andare all’oratorio, ma ai giovani e ai piccoli: chi pensa a loro? Soprattutto chi pensa al loro percorso interiore? Bastano le ore di scuola, di sport, di danza, di inglese ecc. a farne persone mature? E quando la considerazione di Dio presente nella vita e l’incontro con Gesù vengono proposti alla loro vita? Basta una striminzita – e non sempre frequentata – ora di catechesi settimanale?

    E, infine: bastano il prete, la suora, i catechisti, gli educatori, o è questione di un’intera comunità?

    don Gianni

  • Vita già donata

    Vita già donata

    Nel giorno anniversario della morte di suor Lucia Pulici, la Saveriana originaria di San Giorgio uccisa a Kamenge (Burundi) il 7 settembre 2014, un’altra anziana religiosa, suor Maria De Coppi, missionaria Comboniana, veneta, è morta in un assalto alla missione di Chipene in Mozambico.
    Poche settimane fa ricordavamo Luisa Dell’Orto, la piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, nativa di Lomagna, assassinata il 25 giugno ad Haiti. Le motivazioni di queste uccisioni sono differenti e nel caso di suor Maria c’è anche una rivendicazione della jihad locale, che accusa suor Maria di essere troppo convinta: «L’abbiamo uccisa perché era impegnata eccessivamente nella diffusione del cristianesimo».

    “Eccessivamente”, certo: sessant’anni a servizio della missione, in situazioni che possiamo
    immaginare. Anche il nord del Mozambico è tra le zone più povere del pianeta, dove per le chiese l’annuncio del Vangelo si intreccia inevitabilmente con opere di promozione umana, specialmente in campo educativo e sanitario. È Vangelo vissuto, amore per il prossimo, ma non
    “proselitismo”.

    In queste occasioni stupore e rabbia si fanno compagnia. Finché ci si ricorda un aspetto che da cristiani non va dimenticato: seguire il Signore Gesù è farsi discepoli di un Crocifisso, condannato innocente a un supplizio insopportabile. Ogni battezzato è chiamato a vivere una “vita già donata” (così pensavano i monaci martiri nel 1996 a Tibhirine in Algeria): senza necessariamente giungere al sacrificio supremo, essere almeno perseveranti nella quotidianità.

    don Gianni

  • DIMENSIONE CONTEMPLATIVA

    DIMENSIONE CONTEMPLATIVA

    Nei giorni scorsi molti hanno ricordato i dieci anni dalla morte del card. Carlo Maria
    Martini, (Gallarate, 31 agosto 2012). Martini era stato Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002.

    I più giovani, anche tra i preti, possono leggerne gli scritti o guardare qualche video, ma è difficile possano cogliere il clima del suo arrivo a Milano nel 1980: città e regione lottavano con proverbiale operosità per contrastare un terrorismo crudele che più volte le aveva ferite gravemente e che tuttora era una minaccia; una Chiesa molto organizzata, solida, ma anche poco calorosa, talvolta apparentemente immobile.

    Ci si aspettava da lui un governo pastorale fatto di decisioni, cambiamenti, iniziative, ma cominciò entrando in città con il Vangelo in mano, commentandone alcuni passi.

    Ci si aspettava una prima lettera pastorale programmatica, capace di dare una sveglia e rilanciare comunità con rinnovato impegno. Ma il suo primo testo si intitolò La dimensione contemplativa della vita: un richiamo a ciò che è più profondo nel cuore umano, là dove Dio stesso abita e parla, incoraggia e perdona, aprendo al valore infinito della persona e della sua libertà. Un osservatore afferma che Martini così spiazzava non solo i parroci e i buoni cattolici, abituati a una Chiesa delle opere, ma gli stessi esponenti laici, all’epoca chiusi nelle loro ideologie marxiste o liberali, e che pure avevano perso il senso della freschezza, della libertà.

    In una immagine sintetica Martini definisce così l’essere umano: «aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull’Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto, che soltanto in una incondizionata dedizione all’imprevedibile piano di Dio trova le condizioni per realizzare la propria autenticità».

    E nell’invito a cercare in una Parola più profonda – quella di Dio – la propria verità, cita un prete poeta: «“La Parola zittì chiacchiere mie”: così Clemente Rebora, nobile spirito di poeta milanese dei nostri tempi, descrive con rude chiarezza gli inizi della sua conversione».

    Dopo quarant’anni sono diversi gli stili di vita, le paure, i modi di comunicare, ma non l’inquietudine dell’uomo in ricerca, che risiede nel cuore di ognuno. Già lo scriveva S. Agostino: cor nostrum inquietum, donec requiescat in te (il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te).

    don Gianni

  • La Messa, finalmente

    La Messa, finalmente

    Un collega che celebra la Messa immerso nel mare utilizzando un materassino come altare ha attirato l’attenzione di giornali e commentatori. E una Procura cerca l’ipotesi di reato, ma pare che il magistrato – oltre che contrastare la criminalità organizzata – sostenga il rito antico della Messa (un po’ come se un giudice juventino indagasse i tifosi del Torino per qualche insulto agli avversari). Il confratello giustamente si è pentito, ha chiesto scusa, e la cosa sarebbe potuta finire lì.

    In realtà l’evento ha scatenato una serie di riflessioni proprio sulla Messa, il rito caratteristico dei cristiani cattolici. Un gesto identitario, ma spesso tralasciato con le più varie motivazioni. Al punto che i cronisti ne confondono spesso i termini: “il diacono ha recitato la Messa”, “il prete ha officiato l’omelia” e via dicendo.

    Anche qualcuno dei cosiddetti praticanti potrebbe riflettere meglio sul modo di “praticare” la Messa e l’Eucaristia.

    Riporto quanto osserva il teologo Pierangelo Sequeri su Avvenire del 28 luglio scorso: «L’epoca della Messa sottocasa, programmata per riempire tutti gli orari e tutti gli spazi della chiesa, sta per congedarsi. Non sarà da sostituire con il servizio in camera. Il megaraduno dell’assemblea che riempie la chiesa o lo stadio diventerà più raro (e sperabilmente più genuino). La Messa diventerà certamente più preziosa. Il suo luogo sarà più prezioso; il suo tempo sarà più prezioso. Ci saranno più ospiti che fedeli, però: come del resto ai tempi di Gesù. E sarà bellissimo. Molti abbonati che ora fanno i difficili forse troveranno la cosa troppo scomoda, e perderanno la strada. Molti che non pensavano di avere un posto saranno stupiti ed emozionati di non essere più ‘quelli di fuori’, con Gesù che passa fra i tavoli. Certo, dovranno avere la delicatezza di indossare almeno il vestito della festa, visto che tutto il resto è gratis».

    Con i ragazzi alla vacanza in montagna abbiamo celebrato quasi quotidianamente, cantato, ascoltato la Parola, ricevuto la Comunione in uno spazio insolito (a fianco a un albergo accogliendo anche qualche ospite che si aggiungeva inatteso), ma con maggiore genuinità di ciò che accade nelle nostre chiese. Forse qualcuno poteva pensare: «La Messa, finalmente!». E perché non fare in modo di pensarlo e viverlo ogni domenica?

    don Gianni