Categoria: Editoriali

  • Il Card. Pietro Parolin a Desio

    Il Card. Pietro Parolin a Desio

    La mattina del 6 febbraio 1922, al quattordicesimo scrutinio l’Arcivescovo di Milano card. Achille Ratti, nativo di Desio, veniva eletto Papa assumendo il nome di Pio XI.

    Non essendo stato possibile ricordare solennemente la circostanza nel giorno esatto dell’anniversario, a causa delle restrizioni per la pandemia, le celebrazioni sono state rimandate al 28 maggio, giorno vicino alla data di nascita – 31 maggio 1857 – del nostro illustre concittadino.

    A rappresentare Papa Francesco nel fare memoria dell’elezione di Papa Ratti sarà il Segretario di Stato di Sua Santità, il card. Pietro Parolin.

    Il programma prevede in mattinata lo svolgimento del Convegno Pio XI e il suo tempo, con l’intervento del cardinale Segretario di Stato, e la presentazione del progetto di recupero della Casa Natale da parte di Equa Cooperativa Solidale.

    Alle 12.15 ci si trasferirà all’ospedale di Desio per l’intitolazione ufficiale dell’ospedale stesso a Pio XI

    Nel tardo pomeriggio il card. Parolin, dopo la visita alla Casa Natale, sarà in Basilica alle 18.00 per benedire la cupola restaurata e presiedere alle 18.30 il solenne pontificale.

    Il concerto dell’orchestra e coro sinfonico Amadeus concluderà alle ore 21.00 la significativa giornata in memoria del papa desiano.

  • Inosservati

    Inosservati

    La mattina del 30 aprile scorso nel duomo di Milano sono stati proclamati due nuovi beati, appartenenti alla diocesi di Milano.

    Si tratta di Armida Barelli (1882-1952), che fu promotrice dell’Azione Cattolica, dell’Università Cattolica e fondò opere per l’impegno delle laiche consacrate nei campi della spiritualità, della liturgia e dell’assistenza ai poveri. Una vita ricca e frenetica, ma segnata dalla fede, dalla preghiera, dall’accettazione della malattia.

    Si tratta anche di don Mario Ciceri (1900-1945), nato a Veduggio, prete diocesano dal 1924, destinato a Brentana di Sulbiate come assistente dell’oratorio. Morto in seguito alle ferite riportate quando, tornando in bicicletta da Verderio dove aveva aiutato il parroco nelle confessioni, fu investito da un calesse. La sua azione pastorale fu per i ragazzi e i giovani, per gli ammalati e soprattutto per quanti erano partiti soldati durante la seconda guerra mondiale.

    Questa domenica 15 maggio, il papa proclama santo Charles De Foucauld (1858-1916): un’altra vita inquieta, dapprima lontana dalla fede, poi da convertito radicale, fino a voler vivere come Gesù a Nazaret e poi, ordinato prete, da fratello universale nel Sahara algerino.

    Tutti sanno che il miracolo della beatificazione è avvenuto a Desio e per questo sentiamo molto vicina la sua figura.

    Possiamo conoscere meglio le vicende di questi santi attraverso le pubblicazioni e i siti loro dedicati. I santi, talvolta inosservati, vanno meglio conosciuti: sono un Vangelo vivo. E imitati nel loro saper vivere i giorni ordinari in modo straordinario.

    don Gianni

  • Protagonisti

    Protagonisti

    Ogni giorno dell’anno è dedicato a qualcosa. Per esempio il 5 maggio scorso si teneva la Giornata mondiale della password, secondo alcuni istituita nel 2013 da una non meglio precisata “comunità internazionale della sicurezza informatica”.

    La Chiesa non è da meno e spesso richiama in varie circostanze una serie di attenzioni importanti: giornate per le Missioni, la Caritas, la Vita, l’Università Cattolica, ecc. Questa domenica ricorre la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ha la fortuna di essere sostenuta dalla liturgia che sottolinea di volta in volta la figura di Gesù Buon Pastore o – quest’anno – la chiamata al servizio apostolico di quelli che Gesù chiama suoi “amici”.

    Pregare per le vocazioni non significa solo chiedere che Dio provveda ai nostri bisogni spirituali inviando un sufficiente numero di preti alle comunità, specialmente a fronte di una loro forte diminuzione (in diocesi di Milano, in data 30 marzo: 1104 parrocchie, 1684 preti, di cui 553, cioè un terzo, ultra75enni).

    Pregare per le vocazioni è pregare perché ciascun battezzato senta che la sua vita corrisponde a una chiamata del Signore e che egli si attende una risposta. Anche per mettersi a servizio della comunità cristiana, in parrocchia o altrove.

    Come scrive papa Francesco per questa Giornata: «Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi, e portare avanti la missione cristiana come unico Popolo di Dio, laici e pastori insieme. Tutta la Chiesa è comunità evangelizzatrice».

    don Gianni

  • PAURA E POVERTÀ

    PAURA E POVERTÀ

    In anni non troppo lontani si avvertiva la paura che una forma di povertà ci potesse derivare dal fenomeno migratorio. Si diceva: “Ci portano via il lavoro” (spesso quello che gli italiani non volevano più fare).

    Due anni fa lo scoppio della pandemia ha messo in difficoltà famiglie e imprese, riducendo la produzione e il lavoro, moltiplicando cassa integrazione e licenziamenti, interrogando tutti circa il futuro e le risorse per affrontarlo. La paura della povertà ha legittimamente toccato molte situazioni familiari e personali, che hanno sperimentato spavento e incertezza.

    Ora lo scoppio della guerra influisce sulla nostra spesa energetica e su quella alimentare, l’inflazione è
    cresciuta e la prospettiva di doversi sentire più poveri di prima è tornata.

    Peccato che al momento – almeno nei grandi mezzi di comunicazione – non si sia ancora fatto un calcolo dei costi effettivi di questa guerra: i costi delle armi,con conseguente aumento dei fatturati dell’industria militare; delle distruzioni di infrastrutture civili; della devastazione dell’ambiente, con la costante paura del disastro nucleare; dell’assistenza ai profughi.

    Fondi enormi, sottratti a urgenze ben più importanti nei campi della salute, dell’educazione, del sostegno alle famiglie.

    Quando l’energia e gli alimenti costano di più, forse noi possiamo risparmiare un grado o due del climatizzatore. Chi nei paesi più poveri vive già di un’economia di sussistenza, come potrà sopravvivere? Ai potenti questo interessa poco e procedono nella loro miopia. Non è così per i cristiani.

    don Gianni

  • Non abituarsi

    Non abituarsi

    La provocazione arriva addirittura da papa Francesco nel giorno di Pasqua: «Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace!».

    Smettere di mostrare i muscoli: un fenomeno che avviene non solo tra eserciti o alleanze politico-militari, ma che può ritrovare il suo ambiente nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, talvolta nei rapporti tra i giovani; lo
    ritroviamo come premessa negli stili di vita della criminalità organizzata, delle baby-gang e nei casi di femminicidio; talvolta persino in riunioni di condominio o in dispute sportive.

    Non abituiamoci alla guerra: ci si può abituare quando non si sente più dentro di sé una forza contraria alla
    guerra, quando si cercano giustificazioni, quando le notizie cominciano a scemare e si torna a interessarsi di altro. Qui dovrebbe valere la tolleranza zero.

    Scriveva il teologo protestante tedesco Dietrich Bonhoeffer (morto nel campo di concentramento di Flossenbürg nel 1945): «Come si crea la pace? Con un sistema di trattati politici, investendo capitali internazionali nei paesi, vale a dire attraverso le grandi banche, mediante il denaro? O addirittura attraverso un riarmo pacifico generale con lo scopo di assicurare la pace. Le battaglie non vengono vinte con le armi, ma con Dio, vengono vinte anche laddove la strada porta alla croce».

    Da cristiani vogliamo ancora vincere con Dio, e con la quotidiana preghiera per la pace.

    don Gianni

  • Non tutto e subito

    Non tutto e subito

    Quando apro un computer per visitare un sito divento impaziente: se la connessione non è immediata, mi sembra di sprecare tempo. La mentalità del tutto e subito riempie la vita di molti di noi. La tecnologia ci abitua ad avere subito a disposizione determinate funzioni. Ma anche frenesia e ansietà ci mettono nelle condizioni di non saper aspettare. Quando si chiedono alcune prestazioni professionali, sembra che i tempi di attesa siano sempre eterni anche quando la burocrazia è sollecita e gli specialisti rispondono con rapidità.

    Si diventa frettolosi persino nella richiesta di un servizio religioso, senza rendersi conto che pure la parrocchia non è un bancomat che risponde solo perché si è impostato un pin.

    Tutto e subito, oppure – si dice oggi – in tempo reale. Questa mentalità potrebbe non sopportare che Gesù risorga al terzo giorno, ossia che lasci un tempo di decantazione tra la propria morte e l’evento della risurrezione: un tempo nel quale i discepoli possano rielaborare l’accaduto, comprendere cosa sia un lutto, verificare la fondatezza della loro speranza, ripensare al senso del cammino compiuto, orientare l’attesa verso il Dio della vita.

    Del resto non riusciamo a vincere tutto e subito nemmeno i nostri difetti, ma occorrono allenamento, applicazione, perseveranza. Lo stesso vale per i grandi eventi del mondo: la pace contro le guerre (anche quelle in famiglia o in certe periferie), la tutela del creato e della natura, la ricerca della giustizia. Il terzo giorno però arriva, ed è opera di Dio, non nostra.

    Buona Pasqua!

    don Gianni

  • Mistero della fede

    Mistero della fede

    “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”. “Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo”. Nel cuore della preghiera eucaristica, subito dopo la memoria dell’ultima cena e la consacrazione ed elevazione del pane e del vino, l’assemblea liturgica è chiamata a intervenire con una breve acclamazione, in una delle tre formule sopra citate.

    Così il popolo di Dio si appropria di ciò che è accaduto e fa sua la preghiera pronunciata dal sacerdote a nome di tutta la Chiesa.

    Dire Mistero della fede non significa che ciò che è accaduto – la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo – sia incomprensibile, non si possa capire. La parola mistero indica piuttosto quel mescolarsi tra realtà umane e materiali, pane e vino, e l’azione di Dio che, oltre a garantire la sua presenza tra noi, specifica come è presente.

    Infatti la risposta in tutti e tre i testi parla di morte, o croce, e risurrezione e invoca la venuta e la salvezza di Gesù, ossia la pienezza della sua vita in noi. Affermiamo così che la Pasqua di Gesù è il vero centro della vita cristiana e della fede stessa. Tant’è vero che Gesù ci presenta il suo corpo come sacrificato e il suo sangue come sparso: l’eucaristia è dunque immagine ed espressione dellasua croce e della sua risurrezione. Non solo: dalla Pasqua inizia un processo della storia umana dove la presenza di Gesù è garantita per conseguire con Lui la vittoria finale, la vittoria su ogni morte. Ecco perché il cristiano non teme di annunciare la morte del Signore. E ciò accade non solo perché ne parla o ne legge nei vangeli o ne celebra il ricordo nella Settimana Santa.

    Annunciare la morte di Gesù è impegnarsi perché fin d’ora nessuna morte possa vincere, possa togliere la speranza, possa apparire definitiva. Ecco allora il cristiano impegnato nei campi della medi-
    cina e dell’educazione per vincere malattia e ignoranza; nelle lotte contro la povertà e il degrado dell’ambiente; e, soprattutto in questi giorni, nell’impegno a favore della pace, per eliminare, oltre alla
    orribile distruzione dei corpi, anche ogni odio, causa della morte dell’anima.

    don Gianni

  • Santo, Osanna

    Santo, Osanna

    La prassi liturgica prevede sempre di cantare l’Alleluia e il Santo. In particolare il Santo si colloca al momento centrale della messa e invita il popolo di Dio a esplodere in un canto gioioso. In esso si esprimono la manifestazione della propria fede – il Santo è Dio, ben presente alla Chiesa in preghiera –, lo sguardo benevolo sull’universo creato – pieno della gloria di Dio e chiamato perciò a essere casa accogliente per l’umanità – e l’attesa che si ripeta il gesto dell’ultima cena proclamando che Colui che viene nel nome del Signore è benedetto!

    Anche l’acclamazione Osanna, che originariamente pare fosse invocazione di aiuto, sull’onda di quanto i vangeli attribuiscono ai fanciulli festosi nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, diventa un grido di giubilo.

    Come tante espressioni della preghiera cristiana e della liturgia, si può partecipare al canto del Santo in modo meccanico, senza riflettere su quanto si afferma e senza dargli la giusta intonazione. Oppure le bocche restano serrate, magari con la scusa di non conoscere testi e melodie che ormai anche le immobili statue della chiesa potrebbero far risuonare.

    Non mancherà – specie in tempi colpiti da pandemia e guerra, ma sempre siamo segnati da preoccupazioni e sofferenze personali e familiari – chi dirà che non c’è niente da festeggiare e di cui gioire, e in parte gli si potrà dare ragione.

    Non dimentichiamo però che il canto del Santo introduce proprio la memoria dell’ultima cena e del sacrificio cruento della croce: il corpo di Gesù è offerto e il suo sangue è versato. Questo è però il modo con cui Dio ama, perdona, impegna se stesso senza sacrificare altri. E si realizza qui la parola di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici.

    Siamo noi gli amici che ricevono la vita, lo sono i cieli e la terra risplendenti della bellezza del creatore, lo è la vita dei cristiani impegnata a ripetere le parole, i gesti, lo stile di Gesù. E Gesù è benedetto perché viene nel nome del Signore: non è una benedizione di cui si appropria come se avesse vinto un Oscar o una medaglia olimpica, ma è la benedizione di Dio che, riversata sul Figlio, raggiunge ciascuno di noi.

    Proclamando che Gesù è benedetto lo siamo anche noi, l’umanità del nostro tempo, il nostro mondo. Anche in tempi bui e tristi, la nostra vita è benedizione per tutti.

    don Gianni

  • Quale pace?

    Quale pace?

    Dopo il segno di croce, il Kyrie e il salmo, mi soffermo sullo scambio della pace. Un gesto talvolta vissuto frettolosamente. La pandemia ne ha anche ridotto la dinamica, coinvolgendo per ora solo lo sguardo e non anche le mani.

    In rito ambrosiano il gesto della pace è posizionato prima della presentazione del pane e del vino, in fedeltà alla parola di Gesù nel vangelo di Matteo (5,23-24): «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono». E infatti il celebrante o il diacono secondo la formula del messale possono dire: «Secondo
    l’ammonimento del Signore, prima di presentare i nostri doni all’altare, scambiamoci il dono della
    pace».

    I più anziani ricorderanno che ai tempi della messa in latino questo gesto non c’era, anche se le parole corrispondenti venivano pronunciate (Offerte vobis pacem).

    Scambiarsi un gesto di pace spinge anzitutto i partecipanti alla messa a sentire e vedere che non sono presenti al rito come singoli, slegati e staccati tra loro, ma come comunità: la prima carità cristiana è proprio quella di edificare una comunità concreta, un’assemblea di preghiera, un’unica famiglia di Dio, durante la santa liturgia. Altrimenti anche la carità verso i poveri sarà segnata da
    una mentalità di competizione e di efficienza, più per affermare se stessi e le proprie realizzazioni che per servire chi è nel bisogno.

    Scambiarsi un gesto di pace spinge a interrogarsi interiormente se il nostro animo è in pace, se non ci sia qualcuno che ci vede come nemici, se noi stessi coltiviamo sentimenti di inimicizia. Desiderando che non prevalgano rancori e risentimenti, ma emergano desideri di riconciliazione.

    Scambiarsi un gesto di pace è lanciare una profezia: sono cristiano e questo gesto per me riassume il progetto del Vangelo, di Gesù, sul mondo: un mondo di Fratelli tutti, come direbbe papa Francesco.

    Un gesto davvero rivoluzionario: annunciare e costruire pace per i popoli, specialmente di fronte a conflitti sanguinosi, come quello cui assistiamo in queste settimane, e come quelli che i nostri tempi non ci hanno risparmiato ovunque nel mondo.

    Stringendosi la mano, sorridendo con lo sguardo, abbracciandosi: sia pace tra noi.

    Un tesoro da custodire e sfruttare, da ascoltare e ripetere.

    don Gianni

  • Con o senza vergogna

    Con o senza vergogna

    La scorsa settimana ho scritto del segno della croce, gesto introduttivo specialmente alla celebrazione della Messa.

    Proseguendo proprio nei gesti della Messa, viviamo l’atto penitenziale, dove i fedeli sono invitati a rendersi conto di essere peccatori e a chiedere perdono. Un gesto scomodo, che passa rapidamente.

    Nelle messe con gruppi ristretti di ragazzi ho provato talvolta a chiedere se, superando un certo disagio, non volessero confessare pubblicamente qualcosa di cui era opportuno secondo loro chiedere perdono e che, ovviamente, potesse essere condiviso con tutti.

    I più coraggiosi hanno aderito: non avevano osservato certe regole della vacanza comunitaria, avevano preso in giro un compagno più debole, avevano sprecato del cibo, avevano fatto – letterale – diventare matti gli animatori ecc. Questo gesto, vissuto in partenza con un po’ di vergogna, diventava per tutti una liberazione, vedendo che tutti fatichiamo, tutti ci rendiamo conto di sbagliare, tutti possiamo chiedere scusa a Dio e al prossimo e ricominciare con serenità il nostro cammino.
    Se ripetessimo questa proposta agli adulti in un’assemblea domenicale?

    Qualcuno penserebbe: “Queste sono cose mie personali, non metto in pubblico le mie magagne”. Qualcun altro: “Se dico qualcosa, poi verrò giudicato male, perché la gente pensa bene di me”. Oppure: “Sono un disastro, non basterebbero due ore”. E ancora: “Sono gli altri che devono vergognarsi: mogli, mariti, figli, suoceri, governo, parrocchia”. Non mancherebbe l’obiezione: “Ma io non ho niente di cui vergognarmi! Cosa pretende?”.

    E infine: “I soliti preti che vogliono manipolare le coscienze!”.

    Già, le coscienze: l’esame di coscienza, la conoscenza di sé, il discernimento di bene e male, il rientrare in sé per dare nome alle proprie luci e alle proprie ombre, per raccogliere le proprie ferite e affidarsi alla misericordia del Signore.

    Quando diciamo Kyrie eleison – Signore, abbi pietà di noi – e quando confessiamo di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni stiamo preparando il terreno per la nostra conversione e per la trasformazione del mondo.

    Nella richiesta di perdono infatti non portiamo solo noi stessi e i nostri peccati, ma le disgrazie e le malvagità del mondo e invochiamo riconciliazione affinché siano superate fame, guerre, malattie, odio e indifferenza.

    don Gianni