Categoria: Editoriali

  • Nel nome…

    Ogni nostro incontro di preghiera, soprattutto la celebrazione eucaristica, inizia con il segno della croce: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E la messa stessa si conclude nel nome di Cristo.

    Anche entrando in una chiesa siamo abituati – e dovremmo farlo con i più piccoli – a fare il segno della croce, come indizio di ingresso in un luogo “diverso”.

    Incontrare una persona nel nome di qualcuno, parlare a suo nome, portare doni a suo nome è superare il momento contingente e fare riferimento a un altro che può inviarci messaggi di amicizia, pace, bellezza, oppure segni di opposizione, conflitto, separazione. Non solo la nostra preghiera, ma la nostra stessa giornata dovrebbe iniziare e concludersi nel nome di Cristo, facendo proprio il segno della croce appena mettiamo i piedi giù dal letto o subito prima di infilarci sotto le coperte (noi che possiamo! È così per tutti in tante parti del mondo?).

    Non è un gesto scaramantico, anche se invita a confidare nella protezione di Dio. Non è nemmeno un gesto identitario, per distinguersi da chi ha altre o nessuna religione. Anzitutto è un gesto di relazione: tu, Dio, sei presente, la mia vita si svolge davanti a te, i miei desideri e i miei timori ti sono noti e te li affido; così i miei limiti e ciò di cui devo essere perdonato. È un gesto di professione di fede: non sei un Dio sconosciuto, ma un Dio amore – Padre e Figlio e Spirito Santo – con il quale posso conversare, sentirmi accompagnato. È un gesto di appartenenza: chi condivide questo segno, sa che appartiene a un popolo di salvati, che vogliono consegnare ad altri segni di speranza e di pace, e rifuggono da ogni divisione, violenza, guerra. È un gesto che richiama la sofferenza di Gesù sulla croce, e quindi la sofferenza di ogni crocifisso della storia presente, di ogni malato terminale, di ogni disperato o depresso, di ogni persona ferita negli affetti per la perdita dei propri cari, di ogni vittima delle armi diaboliche che distruggono nella guerra paesi, palazzi, infrastrutture e vite umane.

    E chi vive nel nome di Dio e di Cristo, non si fa corteggiare dagli idoli e resiste alle tentazioni della ricchezza, dell’apparire, del potere. Come Gesù, sa che il segno di croce tracciato sul proprio corpo esige di evitare i compromessi per affidarsi a Dio, alla sua Parola, alla sua fedeltà. don Gianni

  • La faccia

    La faccia

    In questi giorni di clamori di guerra, ci dicono alcuni che nella crisi ucraina nessuno può perdere la faccia. Avendo fatto dichiarazioni solenni, un politico di rango non può ammettere di avere sbagliato valutazioni e tornare indietro e costruire coerentemente un percorso di pace.

    A ben vedere sembra la stessa cosa avvenuta in Italia per l’elezione del Presidente della Repubblica: dopo giorni incomprensibili, alla fine tutti hanno vinto e nessuno ha perso la faccia.

    Ammettere i propri errori e mutare direzione è tra le cose più difficili, soprattutto oggi in un mondo dove i deliri di onnipotenza attraversano non solo i governi e i parlamenti, ma forse anche le assemblee di condominio.

    Su perdere la faccia è possibile una riflessione spirituale? Probabilmente sì, se pensiamo che come cristiani siamo i discepoli di uno che ha perso non solo la faccia, ma la vita. E l’ha persa non per un caso, ma per una consegna: ha donato la propria vita per la vita del mondo.

    Parlando dunque di Gesù, potremmo dire meglio non che ha perso la faccia, ma che ci ha messo la faccia. Ed è come Lui che noi vorremmo essere.

    Metterci la faccia è uscire dal vortice delle preoccupazioni, dalle comodità, e mettersi a disposizione. Anzitutto nelle occupazioni quotidiane di famiglia, lavoro e scuola, senza aderire passivamente al modello del “fare il meno fatica possibile”. E poi si aprono gli spazi della comunità cristiana, del volontariato, dell’impegno sociale. Facce nuove per un mondo nuovo.

    don Gianni

  • Sinodalità

    Sinodalità

    Da due domeniche le preghiere dei fedeli nelle SS. Messe si concludono con questa invocazione: Per le nostre comunità chiamate a vivere la sinodalità della Chiesa: imparino a camminare insieme nella comunione, nella collaborazione e nella corresponsabilità, restando in ascolto dello Spirito e dei segni dei tempi, per essere testimoni di speranza per il mondo.
    Si cita la sinodalità, parola che deriva dal greco: syn-odos, ossia camminare insieme.

    Dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) il papa e i vescovi hanno desiderato mantenere viva quell’esperienza di consultazione reciproca e hanno istituito il Sinodo dei Vescovi, un’assemblea che periodicamente raduna i rappresentanti di tutti i vescovi a discutere su argomenti specifici.

    Per l’ottobre 2023 papa Francesco ha fissato il tema della sinodalità,
    desiderando che siano consultate
    prima anche tutte le componenti
    del popolo di Dio.
    Da parte nostra il Consiglio pastorale cittadino ha già consegnato la sua sintesi in sede diocesana. Sono emerse alcune osservazioni
    sul camminare insieme nella chiesa: l’importanza che tutti i gruppi ecclesiali collaborino al bene della comunità, senza inutili competizioni; la chiarezza circa i rispettivi compiti di preti e laici e la possibilità di decidere insieme come servire la comunità; la necessità di un impegno più evidente dei laici cristiani nell’ambito civile e politico; la sottolineatura della quotidianità come ambito dove vivere secondo il Vangelo.

    Il cammino sinodale prosegue perché la Chiesa è famiglia di Dio e proprietà
    privata di nessuno.

    don Gianni

  • Pio XI: 1922-2022

    Pio XI: 1922-2022

    Il 6 febbraio 1922 – cent’anni fa esatti – il cardinale Achille Ratti, nativo di Desio e arcivescovo di Milano, veniva eletto Papa con il nome di Pio XI. Per la prima volta da quando Roma era capitale, il Papa volle benedirla non da una loggia interna al Vaticano, ma dal balcone della piazza, a indicare un desiderio di riconciliazione dopo le divisioni del secolo precedente.

    Per questo suo impegno Pio XI sarà chiamato Papa della Conciliazione, ma in realtà la sua preparazione storica e pastorale ne faranno un Pontefice a 360°, come si dice oggi, forse il primo Papa moderno. Pur con gli strumenti culturali, teologici e operativi del tempo – ovviamente diversi da quelli odierni – egli si impegnò ad allargare l’apostolato cristiano ai campi della famiglia, della promozione dei laici, delle missioni, dell’impegno sociale, delle comunicazioni (su YouTube troviamo il filmato dell’inaugurazione
    della Radio Vaticana con Guglielmo Marconi).

    Promosse la canonizzazione di santa Teresa di Gesù Bambino definendola “la stella del mio pontificato” e proclamandola patrona delle missioni. Nonostante avesse firmato l’accordo dei Patti Lateranensi, Mussolini lo detestava. Pio XI infatti riteneva sfide radicali al cristianesimo le ideologie totalitarie del ’900 e le condannava.

    A Desio conserviamo, non senza difficoltà organizzative ed economiche, la sua Casa Natale: un luogo dove si può comprendere la grandezza dell’uomo, l’eccezionale servizio svolto come Papa e il suo amore per la città dove era nato. I desiani non dovrebbero perderne la memoria.

    don Gianni

  • Memoria e inciampo

    Memoria e inciampo

    È stata fissata per sabato 29 la celebrazione della posa di alcune pietre di inciampo a Desio, come complemento della Giornata della Memoria, celebrata ogni anno il 27 gennaio, data in cui fu raggiunto e liberato nel 1945 il campo di Auschwitz.

    È facile intuire il concetto di inciampo: devo stare attento, non posso trascurare, non devo dimenticare, devo tenerne conto anche se non l’avevo previsto.

    Con quelle pietre, dissero i promotori dell’iniziativa, si fa propria un’affermazione del Talmud: «Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome».

    I meno giovani hanno sentito raccontare dai genitori gli orrori della seconda guerra mondiale, la paura dei bombardamenti, il disagio degli sfollati, i rastrellamenti per arruolare giovani uomini. Ogni guerra diventa occasione poi per la crescita della crudeltà, che giunge a organizzare i genocidi, i campi di concentramento, le persecuzioni etniche. E a tutto ciò si aggiungono il risentimento delle vittime e dei loro familiari, il radicarsi dell’odio, l’impossibilità a perdonare.

    Quando papa Francesco, seguendo l’esempio dei suoi predecessori, ci invita – come accaduto lo scorso 26 gennaio a riguardo della crisi ucraina – a pregare per la pace, non è solo per evitare disagi e paure, ma per garantire la qualità umana della vita di tutti.

    Aggiungiamo pure: anche la buona qualità della vita familiare e affettiva, troppo spesso ferita da guerre interne che logorano le persone e le relazioni, talvolta senza rimedio.

    don Gianni

  • Altri numeri

    Altri numeri

    Così il 17 gennaio il sito del Sole 24 Ore cita un rapporto di Oxfam: «Nei primi due anni di pandemia i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15mila dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia». Inoltre: «Solo per Jeff Bezos, il numero uno di Amazon, una delle aziende il cui fatturato è decollato con il Covid-19, Oxfam calcola un “surplus patrimoniale” nei primi 21 mesi di pandemia di 81,5 miliardi di dollari, l’equivalente del costo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale». Al contempo «meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi a basso reddito».

    Da Avvenire del 20 gennaio sappiamo invece che secondo un rapporto di Porte Aperte/Open Doors «la persecuzione anticristiana non si arresta. Anzi: oltre 360 milioni di cristiani, vale a dire uno su sette, sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione nel mondo. L’Afghanistan dei taleban ha scalzato la Corea del Nord di Kim Jong-un dal primo posto di questa tutt’altro che onorevole classifica. E sono saliti a quasi seimila i cristiani uccisi per cause legate alla loro fede».

    La consapevolezza vale più di polemiche e indignazioni. Un cristiano che vive in questo mondo apre bene gli occhi. Così sa dove orientarli dopo avere pregato il suo Signore Crocifisso.

    don Gianni

  • White Pass

    White Pass

    Di per sé la festa del Battesimo di Gesù ricorreva la scorsa domenica, e giustamente il nostro notiziario ha dedicato al tema un’intera pagina.

    Il Battesimo viene richiesto da famiglie che desiderano dare fin dai primi mesi di vita ai loro piccoli figli il dono della relazione con Dio. Non mancano persone non battezzate che compiono da adulti un percorso di fede e lo coronano con il Battesimo. Alcuni genitori chiedono un tempo di riflessione e un confronto approfondito per comprendere meglio il senso di questa scelta.

    Nel corso della celebrazione ai neobattezzati si consegnano una veste bianca e una luce accesa: il bianco, più che simbolo di purezza, è il colore della luce, cioè del Cristo Risorto e, quindi, della vita rinnovata di Lui di cui si inizia a far parte.

    Ecco perché potremmo definire il battesimo un white pass, un lasciapassare bianco. Lasciapassare per cosa? Forse per il Paradiso? Anche! Ma prima occorre provvedere alla crescita della propria fede e a una presenza assidua nella comunità, specialmente con la partecipazione alla Messa, secondo la parola di Gesù: «Fate questo in memoria di me». Un white pass da utilizzare frequentemente, non da lasciare dimenticato in fondo a un cassetto.
    Infine, stando ai racconti evangelici, Gesù rimase in fila per farsi battezzare da Giovanni Battista, senza chiedere privilegi o eccezioni: esempio per chi nella vita religiosa o in quella civile vorrebbe trovare motivi per “saltare la fila”.

    don Gianni

  • Radetzky

    Radetzky

    A un personaggio controverso che portava un nome chilometrico –
    Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky (più breve quello della moglie: Francesca Romana von Strassoldo-Gräfenberg) – e che aveva come amante una certa Giuditta Meregalli, fedelissimo all’Imperatore con un esercizio autoritario del governo militare, ma innamorato di una lavandaia del popolo oppresso, è dedicata una notissima marcia musicale che si suona al termine del più famoso concerto di capodanno a Vienna, trasmesso dalle tv di tutto il mondo.

    Pare che il biglietto dell’evento sia in vendita solo online e possa raggiungere il valore di oltre un migliaio di euro. Dalle inquadrature televisive chi partecipa mostra di avere un’età non propriamente giovanile e abiti di gran classe.

    Ciò che colpisce dello spettacolo è l’entusiasmo sorridente con cui il direttore d’orchestra, gli orchestrali e tutto il pubblico ritmano il procedere della celebre Marcia di Radetzky battendo le mani con vivo senso di partecipazione e di coinvolgimento personale.

    Nulla di paragonabile all’agitazione con cui centinaia o migliaia di persone – anche qui non sempre e non solo giovanissime – si scalmanano ai concerti di Zero, di Baglioni o dei Måneskin.

    Nelle chiese per Natale si canta un emozionante testo tradizionale come Tu scendi dalle stelle, e le mascherine fiaccano la voce e forse anche l’entusiasmo. Forse perché ci hanno detto (sbagliando) che il Paradiso è una noiosa assemblea di seriosi canti di Angeli?

    don Gianni

  • Discepoli della mangiatoia

    Discepoli della mangiatoia

    I nostri presepi si basano sulla narrazione del vangelo di Luca, che riferisce dati storici, come il censimento; geografici, citando Betlemme; e ovviamente teologici, come il canto degli angeli e i temi della gloria, della
    luce, della pace.

    Nel racconto evangelico torna come un ritornello la parola mangiatoia: Gesù vi viene posto dopo la nascita, l’angelo la indica come il luogo dove si manifesta il segno divino del Bambino, i pastori lo trovano “adagiato nella mangiatoia”. C’è anche il motivo per cui essa viene utilizzata: “per loro non c’era posto nell’alloggio”. A Betlemme i pellegrini si accalcano attorno alla stella dorata che rievoca il luogo della nascita di Gesù, ma a poca distanza viene indicato e venerato il luogo della mangiatoia.

    Nessun bambino può scegliere dove e come nascere. Che Gesù nasca
    così può indicare da che parte si colloca Dio entrando nella storia umana. Ancora oggi non sono pochi quelli che nascono in condizioni più simili a quelle della mangiatoia che dell’alloggio, con tante difficoltà di carattere abitativo, economico, culturale, familiare o in contesti di guerra o migrazione. I cristiani potrebbero definirsi i discepoli della mangiatoia: coloro che anzitutto contemplano stupiti che il loro Signore scelga di scendere così in basso ed eviti ogni privilegio; che sono sensibili alle situazioni di svantaggio; che non si piegano ad azioni pubbliche o private che lasciano dietro di sé “scarti” di umanità; che confidano in Gesù che tutti ci riscatta da ogni male.

    don Gianni

  • Familiarità

    Familiarità

    Da qualche settimana bambini e bambine dell’età di 7-8 anni (generalmente appartenenti alla classe II della scuola primaria) si sono affacciati, insieme alle loro famiglie, all’esperienza del primo anno di catechesi di Iniziazione Cristiana. Alcuni di loro sono stati “visitati” in vista del Natale, per stabilire un contatto più personale con i preti delle parrocchie e con la comunità.

    Nel percorso educativo quelli del secondo anno di catechesi hanno ricevuto
    il libro del Vangelo, come parola che possa accompagnare e sostenere il loro cammino di fede.

    Inoltre in ogni parrocchia si organizzano, specialmente in alcune domeniche, tempi di incontro per ragazzi e genitori, che prevedono spesso la S. Messa celebrata insieme e proseguono con momenti di fraternità, gioco e riflessione.

    Le limitazioni causate dalla pandemia hanno costretto l’anno scorso
    a svolgere molte attività da remoto e quest’anno tengono lontani dagli
    incontri i positivi, gli isolati, quelli in quarantena, e anche gli oratori svolgono la loro animazione in modo piuttosto ridotto.

    È vero che queste proposte sono occasioni per fare amicizia, educarsi
    alla relazione, passare insieme un tempo sereno. La familiarità tra i piccoli, i ragazzi e i giovani è però solo un segno della familiarità con Gesù che è il vero obiettivo dell’oratorio, della catechesi, della Chiesa stessa. Una familiarità che va incrementata con l’educazione a pregare, la conoscenza del Vangelo, la frequenza alla S. Messa: solo così Gesù nasce e rimane nei cuori e nelle famiglie.

    don Gianni