Categoria: Editoriali

  • Oratorio, che bello se…

    Oratorio, che bello se…

    Dopo la Giornata per il Seminario, il calendario diocesano propone la Festa di apertura degli Oratori. Diversamente dal passato, quest’anno tutti gli Oratori cittadini si sono accordati per viverla nella stessa giornata.

    Già ho avuto modo di affermare che l’Oratorio non è un luogo, ma un tempo: il tempo educativo che la comunità adulta dedica ai piccoli e ai giovani per la loro crescita umana e cristiana.

    Aggiungo che l’oratorio non è solo catechesi o animazione o sport o bar o altro, ma che queste iniziative hanno valore di strumenti verso l’obiettivo di fare di ogni giovane un «buon cristiano e onesto cittadino», come diceva san Giovanni Bosco, grande educatore.

    Va poi considerato che l’Oratorio di oggi non corrisponde a quello di venti o quaranta o più anni fa: non basta l’uso delle più avanzate tecnologie, anche sbarcando sui social, per l’Oratorio di oggi. I giovani incontrano mille e più proposte, anche professionalmente meglio qualificate, in altri ambienti e fissano da sé le modalità di aggregazione: l’accorrere abituale all’Oratorio degli anni ’60 (quando ci andavo io) non è più il modo di agire dei nostri figli e nipoti.

    Oggi gli Oratori possono qualificarsi nelle loro proposte attraverso adulti che abbiano con i giovani una strada da condividere, una fede da testimoniare; e il desiderio non di trattenerli a qualsiasi prezzo, ma di consegnare la bellezza del Vangelo, come faceva Gesù con i discepoli. Così vinceremo anche la pandemia che tanti vincoli pone al funzionamento dei nostri Oratori.

    don Gianni

  • Seminario e Chiesa

    Seminario e Chiesa

    Ritorna la Giornata per il Seminario. I preti inviati alle comunità, i seminaristi nati in esse e i seminaristi accolti per il tirocinio educativo, ci ricordano che tra le nostre parrocchie e il Seminario esiste un rapporto speciale.

    Saremo lieti il prossimo 25 settembre di accompagnare in preghiera e fraternità Davide Ciarla, seminarista di Biassono che viene ordinato diacono. Già da un anno svolge tra noi il suo servizio, che ora continuerà in modo più intenso e qualificato.

    La Giornata per il Seminario propone abitualmente di pregare per le vocazioni e di donare generosamente un contributo economico per sostenere il percorso formativo dei futuri preti.

    Se spesso celebriamo la Messa per le vocazioni sacerdotali, non è per chiederne semplicemente l’incremento numerico. Ci deve interessare la qualità delle comunità cristiane e la loro capacità di esprimersi, più che come stazioni di servizi religiosi, come luoghi di incontro dove molti siano in grado di mettersi a servizio, secondo le loro possibilità e a favore del prossimo.

    L’immagine piramidale e clericale della Chiesa fatica a essere superata, forse perché i laici possono dedicare alle attività liturgiche, educative, caritative solo una parte del loro tempo, mentre i preti vi si dedicano generalmente a tempo pieno. Ci è chiesta lungimiranza: una comunità più fraterna e preoccupata dell’essenziale annuncio del Vangelo, come suggerisce il titolo di questa Giornata: «Ne proposero due, per essere testimoni della resurrezione».

    don Gianni

  • Umile, Coraggioso, Lungimirante

    Umile, Coraggioso, Lungimirante

    La serata dell’8 settembre resterà per qualche tempo nella memoria di chi era presente ad accogliere e ascoltare in basilica il nostro Arcivescovo mons. Mario Delpini.

    Nella sua omelia egli ha rilanciato i tre aggettivi che caratterizzano la proposta pastorale 2021-2022: una Chiesa unita, libera e lieta.

    Al termine dell’omelia però l’Arcivescovo ne ha aggiunti altri tre che costituiscono uno specifico messaggio per noi desiani: «Non temete di essere pietre vive perché la nostra Chiesa sia unita, sia libera, sia lieta per un nuovo slancio missionario: umile, coraggioso, lungimirante».

    Siamo invitati dunque a essere anzitutto umili: le nostre tradizioni cristiane, di cui è giusto andare fieri – e che trovano nella figura di Pio XI un’eccellenza e nella basilica un simbolo – sono un dono, non una conquista. Opera di Dio e non di uomini: per questo restiamo umili e grati.

    E poi coraggiosi: il cambiamento di epoca, l’arrivo di nuove genti e la disaffezione di molti verso la fede non devono spegnere l’entusiasmo e il coraggio di vivere il Vangelo in modo trasparente, anzitutto là dove si decidono i destini delle persone: la famiglia, la scuola, il lavoro, la città.

    E infine lungimiranti: la fede dei prossimi anni non dipenderà dal caso o dalla fortuna, ma da ciò che oggi sapremo seminare e prevedere, dal volto di Chiesa che oggi sapremo configurare, immaginando un futuro dove parrocchie, comunità, ministeri e servizi si organizzeranno in modo diverso da quello a cui siamo stati abituati e da quanto oggi stiamo vivendo.

    don Gianni

  • Benvenuti, “Arcivescovi”

    Benvenuti, “Arcivescovi”

    Il 7 settembre 1921 fu probabilmente l’ultima occasione per Achille Ratti di dimorare a Desio: accompagnato dal prevosto Rovagnati venne in basilica a visitare il luogo del suo Battesimo, adorare il Santissimo Sacramento e rivolgere un’esortazione ai concittadini. Il giorno successivo, l’8 settembre, sarebbe partito da qui, non senza benedire ancora i desiani, per raggiungere Milano e assumere ufficialmente il ministero di Arcivescovo.

    L’8 settembre è una festa cara ai milanesi perché il Duomo di Milano è dedicato a Maria Bambina, come recita la lapide sulla facciata: “Mariæ Nascenti”. Ed è idealmente il giorno in cui si avvia il nuovo anno pastorale e l’Arcivescovo presenta le sue linee programmatiche.

    Pur in un giorno così impegnativo, l’attuale Arcivescovo, mons. Mario Delpini, invitato dalla Comunità Pastorale per il centenario dell’insediamento a Milano del suo illustre predecessore, ha scelto di essere tra noi nel giorno preciso dell’anniversario, mercoledì 8 settembre 2021.

    La visita di un Vescovo, successore degli Apostoli, a una comunità cristiana è sempre un evento rilevante: monsignor Mario Delpini celebrerà la S. Messa in basilica alle ore 20.30.

    La sua presenza farà risuonare quella del nostro concittadino Ratti e sarà come se due Arcivescovi, a distanza di cento anni esatti fossero tra noi. Sarà bello accoglierlo, ascoltarlo e accompagnare i suoi desideri nel vivere da cristiani nella nostra città, come anche il card. Ratti, poi Pio XI, raccomandava con insistenza.
    don Gianni

  • Interessati a Gesù

    Interessati a Gesù

    A sant’Agostino si attribuisce questa affermazione: «Quanti cercano Gesù solo per i vantaggi temporali! C’è chi ricorre ai preti per riuscire in un affare; c’è chi si rifugia nella Chiesa perché oppresso da un potente; c’è chi vuole che si intervenga presso un tale su cui egli ha scarsa influenza. Chi per una cosa, chi per un’altra, la Chiesa è sempre piena di gente simile. Difficilmente si cerca Gesù per Gesù».

    Certamente Agostino, che era vescovo in un’importante città africana, Ippona, aveva i suoi momenti di sconforto e li riversava nei suoi commenti ai Vangeli. Commenti che possono parere un po’ audaci, ma non mancano di un fondo di verità.

    Vanno fatte alcune precisazioni. Anzitutto che la Chiesa presso cui volersi rifugiare non è fatta solo da preti, ma è una comunità articolata di opere educative – scuole e oratori – e caritative, dove molti laici responsabili prestano i loro preziosi servizi. In secondo luogo che proprio per questa sua configurazione di comunità credente, nella Chiesa abitano persone che effettivamente si sforzano di cercare Gesù per Gesù, pur con i limiti delle loro capacità e del loro carattere.

    Rimane la parte critica delle affermazioni del santo, anch’essa visibile a occhio nudo quando si vede qualcuno accostarsi alla Chiesa come al bancomat: non solo con richieste di aiuto per i più svariati obiettivi, ma anche per un consumo religioso che insegue una personale soddisfazione interiore e non realizza l’autentico discepolato, che cerca Gesù per Gesù e poco altro.

    don Gianni

  • Grazie? No, grazie!

    Grazie? No, grazie!

    Di per sé è una mancanza veniale, ma lascia trasparire un che di superficiale, disattento, irrisolto. Nulla di eticamente riprovevole – sia chiaro –, ma capita talvolta che nel momento della distribuzione della comunione, mentre il sacerdote o il ministro presentano l’Eucaristia al fedele che la riceve dicendo le parole di rito – “Il Corpo di Cristo” –, come risposta ricevano un sorridente ed educato “Grazie!”, al posto del più corretto e intenso “Amen”.

    Dal lato del fedele si pensa probabilmente che sia corretto ringraziare (chi, però: Dio? il prete?) per ciò che si prende, segno di squisita educazione.
    I più dotti potrebbero addirittura argomentare che la traduzione della parola greca “eucaristia” significa proprio “ringraziamento”.

    Qui però non si tratta di educazione o di esegesi, ma di coscienza del dono che viene elargito. Il catechismo antico su questo punto mi pare l’avesse indovinata quando metteva tra le condizioni per ricevere degnamente il Corpo del Signore “sapere e pensare cosa si sta per ricevere”. Comprendere cioè che in gioco c’è non un gesto magico o l’adesione sociale a un rito collettivo, ma il rapporto stesso con Gesù Cristo, la memoria viva della sua morte e risurrezione.

    Quell’“Amen” significa: ho pensato, mi rendo conto, accolgo il Signore nella mia vita, mi intrattengo con lui nel silenzio della preghiera, mi lascio trasformare da questa sua presenza.

    La buona educazione è sempre un valore essenziale, ma al cristiano è richiesto sempre qualcosa di più: la fede che cambia la vita, a partire da quel pane divenuto Corpo di Cristo.

    don Gianni

  • Bellezza per tutti

    Bellezza per tutti

    Tra i giusti desideri di questi giorni c’è quello di poter trascorrere qualche tempo fuori casa, in un contesto rilassante e bello, gratificante per lo sguardo e per lo spirito.

    In occasione della Pentecoste in una sua lettera l’Arcivescovo Delpini invita a coltivare “lo sguardo sapiente di Dio sul mondo”, richiamando un detto del libro del Siracide: “Ha disposto con ordine le meraviglie della sua sapienza” (42,21).

    Mons. Delpini si sofferma sui diversi modi di definire il vasto mondo che ci circonda. Universo designa “una immensità sconfinata in cui il nostro piccolo pianeta corre intorno al sole”; la nostra piccolezza riesce però a conoscere sempre meglio quella vastità. Natura indica un meccanismo mosso contemporaneamente da leggi precise e da fenomeni imprevedibili. Cosmo suggerisce invece ordine, bellezza e armonia. Si tratta di definizioni estremamente sintetiche e allusive, che però richiamano sia la capacità di comprendere il mondo tramite la scienza, sia la tragica – e attuale – possibilità di danneggiarlo, devastarlo, distruggerlo.

    C’è un nome biblico e cristiano per tutto ciò: creato, dono di Dio per i suoi figli, casa comune da gestire in fraternità. L’immagine è il giardino affidato all’uomo perché possa “coltivarlo e custodirlo”, come scrive il libro della Genesi. Un dono che attraversa gli spazi, anche quelli interstellari, e i tempi, anche quelli intergenerazionali. Un dono di cui tutti – gente semplice e politici, lavoratori e imprese multinazionali – siamo amministratori e non padroni.

    don Gianni

  • Cicatrici

    Cicatrici

    C’è una certa smania di uscire dall’emergenza. I super ottimisti si spingono a dire che “ormai” è superata. I super pessimisti, più paurosi che prudenti, si spingono ad affermare che “ormai” tutto è allo sfascio, specialmente in Italia. Non conta che la ferita sia di destra o di sinistra, che provenga da chi il virus l’ha attraversato o da chi è riuscito a proteggersi: ci sono cicatrici interiori che colpiscono più dei rimasugli, talvolta pesanti, della malattia.

    Un uomo generalmente ottimista e sorridente, il card. Gianfranco Ravasi, si esprime così: «La sberla presa con questo virus non è servita a molto. Non abbiamo imparato la lezione e non vedo un ritorno alle interrogazioni di fondo. Piuttosto, siamo di nuovo alla banalizzazione». E sulla “resilienza” aggiunge: «bisogna intendersi sul significato. Vuol dire balzo in avanti, desiderio di miglioramento; quel che non vedo: si è tornati alla gestione ordinaria delle nostre vite».

    Per quest’ultima affermazione forse il cardinale non condividerebbe l’immagine delle cicatrici. Ma forse siamo noi a non volerle vedere, benché producano una bella quota di sofferenza interiore, causa di diffuso individualismo e nervosismo, di incapacità a costruire autentici sentieri di comunità con mete condivise, di attesa di una normalità che non potrà mai replicare il passato – non foss’altro per chi non è più tra noi – e dell’idea di avere perso tempo prezioso della nostra vita. Perdere o guadagnare dipende da noi, non dalle cose. E le cicatrici sono memoria di una prova che non possiamo mettere sotto silenzio, soprattutto se oltre al corpo ha colpito l’anima.

    don Gianni

  • La mappa con le kappa

    La mappa con le kappa

    Per chi lo ricorda, le tre kappa sono un riferimento problematico, perché evocano il movimento Ku Klux Klan che ha ispirato, non senza conseguenze, violenti e spesso criminali fenomeni di razzismo e discriminazione negli Stati Uniti.

    Ma ci sono tre kappa “buone”, tre parole che incontriamo nel greco del Nuovo Testamento e che suggeriscono, come fosse una mappa del tesoro, regole fondamentali di vita cristiana.

    Anzitutto kérygma: letteralmente significa “predicazione”. Ricorda che il punto di partenza del credere è un annuncio, una rivelazione: Gesù proclama la verità su Dio e sull’uomo e la Chiesa prolunga questo annuncio nel tempo. Questo ci apre alla gratitudine alle generazioni che ce lo hanno trasmesso e impegna a coltivare la fede autentica, che non sottostà a opinioni soggettive o alle mentalità correnti, ma sempre cerca la freschezza della persona e della parola di Gesù.

    La seconda è kairòs, che indica il tempo non tanto nel suo scorrere in ore, giorni, anni, ma nella sua qualità di tempo “favorevole”, tempo in cui Dio è all’opera. Non viviamo tempi brutti, ma l’oggi di Dio, la certezza della sua azione attuale, provvidente e creativa, che ci dà sicurezza anche nelle paure e incertezze di fronte alle sfide della modernità.

    Infine koinonìa, comunione. È la legge suprema del cristiano, perché Dio per primo ha fatto comunione con l’essere umano e vuole che tutti sappiano di essere suoi figli e vivano come tali, moltiplicando relazioni di profonda fraternità e solidarietà.
    don Gianni

  • Semplici o specializzati

    Semplici o specializzati

    Si può essere cristiani “semplici”? Anche i cosiddetti preti “di strada” sono stimati perché paiono superare con le loro iniziative le contorsioni della teologia e le complicazioni giuridiche (per es. don Ciotti, don Mazzi, don Colmegna), ma in loro troviamo raffinati maestri di spiritualità, esperti capaci di districarsi tra leggi civili e canoniche per le loro opere sociali e caritative.

    È evidente a tutti, per primi a noi preti, che la vita della Chiesa presenta complicazioni: illustrare a chi vuole sposarsi le carte necessarie (era così anche ai tempi descritti dal Manzoni) sembra più arduo che insegnare fisica quantistica.

    E l’affermazione di alcuni elementi della fede cristiana (uno per tutti: la Santissima Trinità) viene percepita come bisognosa di lunghe e difficili spiegazioni.

    Per alcuni tuttavia proprio l’accostamento personale al Vangelo risulta semplice: soprattutto per la persona di Gesù, la sua umanità, la chiarezza nel rivelare il volto di Dio e la dignità dell’uomo.

    E tra i santi, i più semplici non sono i meno dotti: san Francesco d’Assisi è un letterato di prim’ordine e santa Teresa di Gesù Bambino è Dottore della Chiesa.

    I cristiani “semplici” non sono quelli privi di difficoltà, ma quelli capaci di interpretare bene i giorni che vivono e specialmente la loro complessità: sono “specializzati” perché sanno vivere intensamente il loro tempo secondo il Vangelo, mettendo da parte le nostalgie di epoche tramontate, le fughe verso un futuro improbabile, e soprattutto la paura di non farcela.

    don Gianni