Categoria: Editoriali

  • Interessati a Gesù

    Interessati a Gesù

    A sant’Agostino si attribuisce questa affermazione: «Quanti cercano Gesù solo per i vantaggi temporali! C’è chi ricorre ai preti per riuscire in un affare; c’è chi si rifugia nella Chiesa perché oppresso da un potente; c’è chi vuole che si intervenga presso un tale su cui egli ha scarsa influenza. Chi per una cosa, chi per un’altra, la Chiesa è sempre piena di gente simile. Difficilmente si cerca Gesù per Gesù».

    Certamente Agostino, che era vescovo in un’importante città africana, Ippona, aveva i suoi momenti di sconforto e li riversava nei suoi commenti ai Vangeli. Commenti che possono parere un po’ audaci, ma non mancano di un fondo di verità.

    Vanno fatte alcune precisazioni. Anzitutto che la Chiesa presso cui volersi rifugiare non è fatta solo da preti, ma è una comunità articolata di opere educative – scuole e oratori – e caritative, dove molti laici responsabili prestano i loro preziosi servizi. In secondo luogo che proprio per questa sua configurazione di comunità credente, nella Chiesa abitano persone che effettivamente si sforzano di cercare Gesù per Gesù, pur con i limiti delle loro capacità e del loro carattere.

    Rimane la parte critica delle affermazioni del santo, anch’essa visibile a occhio nudo quando si vede qualcuno accostarsi alla Chiesa come al bancomat: non solo con richieste di aiuto per i più svariati obiettivi, ma anche per un consumo religioso che insegue una personale soddisfazione interiore e non realizza l’autentico discepolato, che cerca Gesù per Gesù e poco altro.

    don Gianni

  • Grazie? No, grazie!

    Grazie? No, grazie!

    Di per sé è una mancanza veniale, ma lascia trasparire un che di superficiale, disattento, irrisolto. Nulla di eticamente riprovevole – sia chiaro –, ma capita talvolta che nel momento della distribuzione della comunione, mentre il sacerdote o il ministro presentano l’Eucaristia al fedele che la riceve dicendo le parole di rito – “Il Corpo di Cristo” –, come risposta ricevano un sorridente ed educato “Grazie!”, al posto del più corretto e intenso “Amen”.

    Dal lato del fedele si pensa probabilmente che sia corretto ringraziare (chi, però: Dio? il prete?) per ciò che si prende, segno di squisita educazione.
    I più dotti potrebbero addirittura argomentare che la traduzione della parola greca “eucaristia” significa proprio “ringraziamento”.

    Qui però non si tratta di educazione o di esegesi, ma di coscienza del dono che viene elargito. Il catechismo antico su questo punto mi pare l’avesse indovinata quando metteva tra le condizioni per ricevere degnamente il Corpo del Signore “sapere e pensare cosa si sta per ricevere”. Comprendere cioè che in gioco c’è non un gesto magico o l’adesione sociale a un rito collettivo, ma il rapporto stesso con Gesù Cristo, la memoria viva della sua morte e risurrezione.

    Quell’“Amen” significa: ho pensato, mi rendo conto, accolgo il Signore nella mia vita, mi intrattengo con lui nel silenzio della preghiera, mi lascio trasformare da questa sua presenza.

    La buona educazione è sempre un valore essenziale, ma al cristiano è richiesto sempre qualcosa di più: la fede che cambia la vita, a partire da quel pane divenuto Corpo di Cristo.

    don Gianni

  • Bellezza per tutti

    Bellezza per tutti

    Tra i giusti desideri di questi giorni c’è quello di poter trascorrere qualche tempo fuori casa, in un contesto rilassante e bello, gratificante per lo sguardo e per lo spirito.

    In occasione della Pentecoste in una sua lettera l’Arcivescovo Delpini invita a coltivare “lo sguardo sapiente di Dio sul mondo”, richiamando un detto del libro del Siracide: “Ha disposto con ordine le meraviglie della sua sapienza” (42,21).

    Mons. Delpini si sofferma sui diversi modi di definire il vasto mondo che ci circonda. Universo designa “una immensità sconfinata in cui il nostro piccolo pianeta corre intorno al sole”; la nostra piccolezza riesce però a conoscere sempre meglio quella vastità. Natura indica un meccanismo mosso contemporaneamente da leggi precise e da fenomeni imprevedibili. Cosmo suggerisce invece ordine, bellezza e armonia. Si tratta di definizioni estremamente sintetiche e allusive, che però richiamano sia la capacità di comprendere il mondo tramite la scienza, sia la tragica – e attuale – possibilità di danneggiarlo, devastarlo, distruggerlo.

    C’è un nome biblico e cristiano per tutto ciò: creato, dono di Dio per i suoi figli, casa comune da gestire in fraternità. L’immagine è il giardino affidato all’uomo perché possa “coltivarlo e custodirlo”, come scrive il libro della Genesi. Un dono che attraversa gli spazi, anche quelli interstellari, e i tempi, anche quelli intergenerazionali. Un dono di cui tutti – gente semplice e politici, lavoratori e imprese multinazionali – siamo amministratori e non padroni.

    don Gianni

  • Cicatrici

    Cicatrici

    C’è una certa smania di uscire dall’emergenza. I super ottimisti si spingono a dire che “ormai” è superata. I super pessimisti, più paurosi che prudenti, si spingono ad affermare che “ormai” tutto è allo sfascio, specialmente in Italia. Non conta che la ferita sia di destra o di sinistra, che provenga da chi il virus l’ha attraversato o da chi è riuscito a proteggersi: ci sono cicatrici interiori che colpiscono più dei rimasugli, talvolta pesanti, della malattia.

    Un uomo generalmente ottimista e sorridente, il card. Gianfranco Ravasi, si esprime così: «La sberla presa con questo virus non è servita a molto. Non abbiamo imparato la lezione e non vedo un ritorno alle interrogazioni di fondo. Piuttosto, siamo di nuovo alla banalizzazione». E sulla “resilienza” aggiunge: «bisogna intendersi sul significato. Vuol dire balzo in avanti, desiderio di miglioramento; quel che non vedo: si è tornati alla gestione ordinaria delle nostre vite».

    Per quest’ultima affermazione forse il cardinale non condividerebbe l’immagine delle cicatrici. Ma forse siamo noi a non volerle vedere, benché producano una bella quota di sofferenza interiore, causa di diffuso individualismo e nervosismo, di incapacità a costruire autentici sentieri di comunità con mete condivise, di attesa di una normalità che non potrà mai replicare il passato – non foss’altro per chi non è più tra noi – e dell’idea di avere perso tempo prezioso della nostra vita. Perdere o guadagnare dipende da noi, non dalle cose. E le cicatrici sono memoria di una prova che non possiamo mettere sotto silenzio, soprattutto se oltre al corpo ha colpito l’anima.

    don Gianni

  • La mappa con le kappa

    La mappa con le kappa

    Per chi lo ricorda, le tre kappa sono un riferimento problematico, perché evocano il movimento Ku Klux Klan che ha ispirato, non senza conseguenze, violenti e spesso criminali fenomeni di razzismo e discriminazione negli Stati Uniti.

    Ma ci sono tre kappa “buone”, tre parole che incontriamo nel greco del Nuovo Testamento e che suggeriscono, come fosse una mappa del tesoro, regole fondamentali di vita cristiana.

    Anzitutto kérygma: letteralmente significa “predicazione”. Ricorda che il punto di partenza del credere è un annuncio, una rivelazione: Gesù proclama la verità su Dio e sull’uomo e la Chiesa prolunga questo annuncio nel tempo. Questo ci apre alla gratitudine alle generazioni che ce lo hanno trasmesso e impegna a coltivare la fede autentica, che non sottostà a opinioni soggettive o alle mentalità correnti, ma sempre cerca la freschezza della persona e della parola di Gesù.

    La seconda è kairòs, che indica il tempo non tanto nel suo scorrere in ore, giorni, anni, ma nella sua qualità di tempo “favorevole”, tempo in cui Dio è all’opera. Non viviamo tempi brutti, ma l’oggi di Dio, la certezza della sua azione attuale, provvidente e creativa, che ci dà sicurezza anche nelle paure e incertezze di fronte alle sfide della modernità.

    Infine koinonìa, comunione. È la legge suprema del cristiano, perché Dio per primo ha fatto comunione con l’essere umano e vuole che tutti sappiano di essere suoi figli e vivano come tali, moltiplicando relazioni di profonda fraternità e solidarietà.
    don Gianni

  • Semplici o specializzati

    Semplici o specializzati

    Si può essere cristiani “semplici”? Anche i cosiddetti preti “di strada” sono stimati perché paiono superare con le loro iniziative le contorsioni della teologia e le complicazioni giuridiche (per es. don Ciotti, don Mazzi, don Colmegna), ma in loro troviamo raffinati maestri di spiritualità, esperti capaci di districarsi tra leggi civili e canoniche per le loro opere sociali e caritative.

    È evidente a tutti, per primi a noi preti, che la vita della Chiesa presenta complicazioni: illustrare a chi vuole sposarsi le carte necessarie (era così anche ai tempi descritti dal Manzoni) sembra più arduo che insegnare fisica quantistica.

    E l’affermazione di alcuni elementi della fede cristiana (uno per tutti: la Santissima Trinità) viene percepita come bisognosa di lunghe e difficili spiegazioni.

    Per alcuni tuttavia proprio l’accostamento personale al Vangelo risulta semplice: soprattutto per la persona di Gesù, la sua umanità, la chiarezza nel rivelare il volto di Dio e la dignità dell’uomo.

    E tra i santi, i più semplici non sono i meno dotti: san Francesco d’Assisi è un letterato di prim’ordine e santa Teresa di Gesù Bambino è Dottore della Chiesa.

    I cristiani “semplici” non sono quelli privi di difficoltà, ma quelli capaci di interpretare bene i giorni che vivono e specialmente la loro complessità: sono “specializzati” perché sanno vivere intensamente il loro tempo secondo il Vangelo, mettendo da parte le nostalgie di epoche tramontate, le fughe verso un futuro improbabile, e soprattutto la paura di non farcela.

    don Gianni

  • Buoni e cattivi maestri

    Buoni e cattivi maestri

    Tramontati i “cattivi maestri” dei tempi del terrorismo – quei docenti che inneggiavano alla violenza per sovvertire l’ordine costituito e giustificavano uccisioni a fini politici –, ce ne sono altri al lavoro, anche se in modo apparentemente meno devastante.

    L’organizzazione della criminalità e della corruzione politica, con la ricerca di coperture e giustificazioni, gli insegnamenti a farsi furbi, a pensare per sé, a frodare ciò che è bene comune, perché tanto “lo fanno tutti”, hanno casse di risonanza non solo nelle piazze o nei bar, ma in articoli di giornale, trasmissioni televisive, scambi di battute sui blog.

    I cattivi maestri inneggiano alla superficialità ed evitano la fatica della riflessione, seminano indifferenza irridendo le pratiche della solidarietà, inventano nuovi diritti (per es. il diritto all’aborto) senza indicare i correlativi doveri, rivendicano una libertà che è solo arbitrio, disprezzano i credenti di ogni fede senza l’impegno a comprenderne messaggi e contenuti.
    Non mancano “buoni maestri” che, pur con qualche contraddizione, indicano le vie della spiritualità e della fraternità, dell’apertura a Dio e al prossimo, come percorsi di salvezza anche per l’umanità del nostro tempo.

    Lo Spirito Santo – oggi protagonista nella Pentecoste – è chiamato anche maestro interiore, una voce non arrogante, che risuona in profondità; un maestro che tutela pienamente la libertà di ciascuno e dà forza di infinito. Un maestro buono e convincente, da lasciar parlare e da ascoltare.
    don Gianni

  • “Prima, non ultima”

    “Prima, non ultima”

    Tutte le nostre parrocchie vivranno oggi una Messa di Prima Comunione; alcune sono già al terzo appuntamento, altre prolungheranno fino a giugno. Le restrizioni tuttora in atto hanno suggerito di formare gruppi ridotti. Nell’imminenza della celebrazione bambini e bambine vengono convocati per le confessioni e una piccola prova, così da arrivare consapevoli e preparati.

    La catechesi li ha educati a riconoscere nel pane consacrato il Corpo del Signore; il loro Amen attesta che comprendono che così si attua un incontro con Gesù. Questo è l’essenziale e la Chiesa non ha altro da dare, anche se si sforza di darlo in una cornice di festa e di bellezza.

    L’incontro con Gesù dovrebbe superare ogni emozione e agitazione: a lui si rivolge in quel momento le mente, parlare con lui dopo averlo ricevuto nel sacramento non è come qualsiasi altro momento di preghiera: è stare a tu per tu con Lui in modo privilegiato

    Lodevolmente i genitori – almeno alcuni papà e mamme – accompagnano figli e figlie in questa occasione ricevendo l’Eucaristia e rievocando la loro Prima Comunione (magari pensando all’ultima fatta non proprio recentemente). Anche a loro fa bene questo a tu per tu con Gesù, nella convinzione che Dio è presente nella vita di famiglia, la sostiene e la benedice.

    La vera avventura però inizia alla domenica successiva: se la Prima Comunione non resta l’ultima – almeno per un po’ di tempo – l’incontro con Gesù può rinnovarsi e nutrire la fede e l’amore di piccoli e grandi.

    don Gianni

  • “Maratona” di maggio

    “Maratona” di maggio

    Il Rosario nel mese di maggio rimane nella memoria di molti, non necessariamente dei più anziani. Quell’uscita serale appartiene ai ricordi di tanta gente e di tante comunità. La pandemia (e un po’ di disaffezione religiosa?) costringe a ridurre anche questa proposta.

    A ravvivarla ci pensa papa Francesco con la richiesta di valorizzare i santuari mariani sparsi nel mondo in una sorta di “maratona” affinché «tutta la Chiesa possa invocare l’intercessione della Beata Vergine Maria per la fine della pandemia».

    Per ogni giorno del mese un santuario è incaricato di organizzare vari momenti di preghiera, culminanti nella recita del Rosario. A ogni giornata poi è affidata un’intenzione particolare.

    Per esempio domenica 9 maggio è di turno il santuario di Loreto, in Italia, con l’invito a pregare per gli anziani. Così sono coinvolti luoghi famosi come Lourdes, Fatima, Pompei, ma anche Aparecida in Brasile o Luján in Argentina o altri santuari nazionali in Giappone, Algeria, Belgio ecc. E tra le intenzioni troviamo: per gli scienziati e gli istituti di ricerca medica; per le persone sole e coloro che hanno perso la speranza; per le vittime della violenza e della tratta umana. E, nell’ultimo giorno: «per la fine della pandemia e la ripresa della vita sociale e lavorativa».

    La preghiera supera i limiti del tempo e dello spazio: si può pregare sempre e dappertutto. E Maria nel Rosario ci fa conoscere Gesù, la sua vita, i suoi doni. In comunione con il Santo Padre, aderiamo a questa invocazione universale: una preghiera fatta da tutti a favore di tutti.

    don Gianni

  • Nadia, Christian e gli altri

    Nadia, Christian e gli altri

    Nel periodo in cui ero responsabile dei servizi di Pastorale missionaria mi è capitato purtroppo più volte di essere direttamente toccato da eventi simili a quelli che in questa settimana sono accaduti alla missionaria laica italiana Nadia De Munari, uccisa in Perù, e al vescovo di Rumbek (Sud Sudan) padre Christian Carlassare, ferito in un agguato che gli è stato teso nella sua casa.

    Nella mia non breve lista di conoscenze personali ci sono, tra gli altri, una beata, suor Leonella Sgorbati uccisa in Somalia, un vescovo, mons. Luigi Padovese ucciso in Turchia, un amico e collega come direttore di Centro Missionario Diocesano, don Ruggero Ruvoletto di Padova, ucciso in Brasile. E anche le tre suore uccise a Kamenge, in Burundi, tra cui la nostra desiana suor Lucia Pulici. E forse anche la nostra concittadina e amica Tina Barbieri.

    Nel film Uomini di Dio, dove si narra il martirio dei sette monaci di Tibhirine (Algeria), al confratello, che sembra tentennare di fronte a un possibile pericolo, il superiore ricorda che «la nostra vita è già donata, lo è dal momento in cui l’abbiamo consegnata a Dio». È la verità di ogni vita segnata dal battesimo. Ogni vocazione, ogni vita cristiana è dono di sé, anche quella dei genitori o dei professionisti. Non si tratta di essere eroi, ma di lasciarsi abitare dall’amore di Gesù. Ecco perché possono istruirci persone che a noi paiono estreme, ma che tali forse sono state solo nel dono d’amore: ci istruisce di più la loro vita che la loro morte. Per esempio il programma di Nadia De Munari: «Aiutiamoci a essere contenti in un mondo dove pochi lo sono».

    don Gianni