«Sapete cosa è il battesimo?»: il bambino, già protagonista di tante risposte tempestive e corrette, lega il termine “battesimo” al verbo “battere”. Panico! La catechista si mette le mani nei capelli. La mamma scivola sulla sedia per nascondersi dalla vista del predicatore. Finalmente una bambina – loro hanno spesso una marcia in più – evoca il rito dell’immersione nell’acqua.
La gustosa scenetta è andata in onda domenica alla Messa in oratorio.
Per completezza va aggiunto che le catechiste si sono premurate di avvisarmi che del battesimo dovevano parlarne nell’incontro successivo e che la mia domanda era troppo in anticipo.
Per questo durante le celebrazioni dei battesimi, al momento centrale del rito, sono abituato a chiamare presso il fonte i bambini presenti, anzitutto perché vedano da vicino cosa accade e poi perché “rompano le scatole” a genitori e nonni per poter rivedere foto e video del proprio battesimo.
L’arrivo della bella stagione e la probabile possibilità per parenti lontani di spostarsi per partecipare hanno favorito l’aumento delle richieste dei battesimi e l’inserimento di nuove date.
Resta la domanda: «Cosa è il battesimo?». Oltre alle affermazioni di catechismo e liturgia – rinascita in Cristo, inserimento nella comunità, inizio della vita cristiana – il battesimo dei bambini presuppone la scelta di fede dei genitori e il loro impegno a educare nella fede i propri piccoli, insegnando loro a pregare e ad amare, a riconoscere Gesù, a farselo amico, a imitarlo.
don Gianni
Categoria: Editoriali
All’inizio, il battesimo
Ripartenza, rinascita
In questi frangenti della nostra storia esprimiamo i nostri desideri in vario modo: ritorno (a come vivevamo prima), ripartenza (dell’economia, della scuola, delle vacanze), e anche rinascita.
Così – La rinascita – ha sorprendentemente intitolato la sua opera pittorica dedicata a Desio, e a noi donata, Carla Bruschi, artista di Peschiera Borromeo alla quale un gruppo di amici comuni ha chiesto di partecipare allo sforzo di sostenere il restauro della cupola.A commento la pittrice ha detto: «Questo lavoro porta in sé i germogli della vita, una primavera artistica e culturale per questa lucente chiesa. Il ciclo della vita, la natura e il creato mi hanno ispirata: li ho voluti rappresentare con i fiori che abbracciano e avvolgono la Basilica. I petali dei fiori, un momento prima di arrivare a toccare il cielo, si inchinano a questa maestosa cattedrale. I fiori sono una trasposizione grafica figurata del suono delle vostre campane desiane».
Rinascita è anche il linguaggio del battesimo cristiano: rinati in Gesù per una vita nuova, che lascia indietro ciò che è vecchio e provvisorio e rinnova ogni cosa. Rinascita interiore, rinascita dell’amore, rinascita della comunità, accompagnati dalla forza di Gesù Risorto.
don Gianni
Emergenza invadente
Invadente è il virus Covid-19: in settimana ha colpito anche tra i preti di Desio; sono deceduti alcuni parrocchiani non proprio anziani; agli amici uccisi dal virus aggiungo il parroco di Agrate, don Mauro Radice, e il vescovo missionario del PIME in Guinea Bissau, mons. Pedro Zilli.
Invade il fisico, ma anche la mente: per molti è un pensiero fisso, sia che si tratti di essere prudenti per sfuggirgli, sia quando per apparente noncuranza non si rispettano le precauzioni.
Invade le cronache: i titoli di giornali e telegiornali, il tempo dedicatogli nelle cronache quotidiane, le polemiche politiche, il susseguirsi di pareri, promesse, provvedimenti, stremano anche il più paziente degli ascoltatori o lettori.
In una recente intervista al Corriere della Sera il nostro Arcivescovo ha però ribadito che la vera emergenza è un’emergenza spirituale: «Se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza?».
Ecco: il virus ha invaso anche queste righe. Ma lo ha fatto per invitarci non a ignorarlo, ma a dargli posto allargando lo sguardo a una storia più ampia, a relazioni più vere, dove si può anche parlare d’altro, senza parlare a vanvera.
don Gianni
Croce e Risurrezione
Non ci sono dubbi: la Croce per tutti in questi giorni, ormai da più di un anno, si chiama Covid e pandemia.
Proprio perché è una Croce, induce a qualche riflessione. Un’antica devozione guardava alle cinque piaghe di Gesù, perché sulla croce Gesù non patisce una volta sola. Alle piaghe delle mani, dei piedi e del fianco, potremmo aggiungere quelle interiori e spirituali: l’abbandono dei discepoli, l’ostilità dei capi religiosi, la viltà politicamente interessata di Pilato, lo scherno dei soldati e l’indifferenza della folla. Ugualmente la pandemia trascina con sé piaghe dolorose di solitudini, paure, depressioni, incertezze per il lavoro, gli studi, la vita familiare. E come non ricordare le popolazioni vittime di guerre come in Siria e in Yemen, di migrazioni forzate come in Bosnia, di repressioni militari come in Myanmar?
Ed ecco, come allora, dopo il terremoto del venerdì santo, un piccolo gruppo di uomini e donne a cercare Gesù, perché «affermano che egli è vivo» (Lc 24,23); e a trovarne i segni in un pane spezzato, in una parola di sapienza, in un gesto di fraternità.
Non si incontra il Risorto nei palazzi del potere o nei laboratori scientifici, né nelle aule universitarie o nelle redazioni dei giornali. O, meglio: non lo si incontra finché un discepolo non osi entrare là dove si vive, si lavora, si costruiscono i destini del mondo, per mostrare più con i fatti che con le parole di custodire nel cuore una grande speranza. Una speranza che fa luce sulle ombre più tristi, che scioglie le catene dell’egoismo, che può sostenere il cammino di tanti.
don Gianni
Lo sappiamo già
Inizia la Settimana Santa: la sequenza dei giorni è nota, dalle Palme alla Cena e dalla Croce alla Risurrezione. Ritirare l’ulivo e baciare il Crocifisso – usanze quest’anno limitate o impedite dalle restrizioni in atto – sono i segni per farsi vicini a Gesù e ai momenti centrali della sua vita.
Qualcuno sarà tentato di chiedersi perché occorra ripetere gesti e parole noti, che caratterizzano la durata di una settimana, ma poi non producono effetti nel resto del tempo.
Di Gesù e di ciò che ha fatto si può essere tentati di dire «Lo sappiamo già». Specialmente per chi vive in un paese di forte tradizione cristiana, può sembrare che qualche nozione del catechismo o qualche conoscenza scolastica siano più che sufficienti per dirsi cristiani.
Anche nei vangeli leggiamo che i discepoli, man mano che si avvicinavano i giorni della Passione, ignoravano ciò che stava per verificarsi e non comprendevano gli avvertimenti di Gesù circa il suo destino di crocifisso, poiché pensavano di sapere tutto di lui.
A ben guardare, ciò che sappiamo di ogni persona si accresce o si modifica man mano che l’incontro si fa frequente, profondo, ricco di confidenza. Nemmeno di un coniuge o di un figlio è corretto dire che sappiamo tutto di lui o di lei, figurarsi di Gesù! Eppure le parole dei profeti e degli evangelisti rischiano di passare su di noi come un déjà vu che non apre la mente e non scalda il cuore. Evitiamo di dire di Gesù «Lo sappiamo già» e impariamo a distinguere la sua voce e la sua parola sempre nuova in mezzo ai rumori e alle attrazioni della città distratta.
don Gianni
Liberazione
Liberazione è una parola che richiama tanti aspetti: c’è la Liberazione dalla dittatura, quella del 25 aprile con la L maiuscola; c’è la liberazione dalla prigionia, dalla schiavitù, da situazioni di forte condizionamento, da persone invadenti; oppure dalla paura e da oscuri sentimenti, dal timore di essere messi da parte o di scoprirsi malati ecc.; liberazione da un peso interiore o esteriore la cui rimozione causa un senso di novità, di leggerezza.
Nei vangeli Gesù libera molti dalle malattie e questa liberazione quasi sempre rimette i guariti nel circolo della vita sociale, ridando dignità personale in ambiti quali la famiglia, il lavoro, le amicizie.Gesù accompagna spesso le guarigioni dicendo: «i tuoi peccati sono perdonati» e «la tua fede ti ha salvato». Già allora i presenti storcevano il naso per questa deviazione dello sguardo dalla condizione di bisogno dei malati al rinfacciare il peccato e assegnare un perdono non richiesto. Oppure ad attribuire loro una fede a prima vista piuttosto interessata e limitata.
Il messaggio di Gesù era, ed è, diretto proprio ai presenti, e quindi ai lettori e a noi: la fede si accompagna a una richiesta di liberazione, non certo a una pretesa di perfezione. Chiedere di essere liberati, soprattutto dal peccato, è l’atto di maggiore realismo e di più autentica umanità che si possa fare, evitando di cercare capri espiatori dei mali del mondo. Per questo la Chiesa, fedele a Gesù, ne ha fatto un sacramento, capace di attirare la sconfinata benevolenza di Dio.
don Gianni
Quaresima, finalmente
Nel passato remoto mi impressionava il fatto che all’inizio della Quaresima nelle chiese venivano posti teli violacei davanti alle nicchie delle statue sacre e ai quadri dei Santi, per nasconderli alla vista dei fedeli, affinché nulla li potesse distrarre dallo spirito intenso del periodo liturgico.
Con l’arrivo della Quaresima 2021 la Comunità Pastorale si è dotata di un programmino con proposte di preghiera, carità e digiuno. Dal libretto per pregare personalmente o in famiglia alla raccolta per il Sud Sudan, dal “magro” del venerdì (c’è ancora?) a tempi straordinari di preghiera suggeriti a ragazzi e giovani.
Si può praticare tutto questo o anche non fare niente: le proposte sono però segno di un’intensità di vita cristiana che la secolarizzazione (cioè il vivere come se Dio non esistesse o come se Gesù non avesse dato la sua vita per il mondo) rischia di frantumare, cancellare, vanificare. Una parte di noi, stremata dalla pandemia, viene indotta a guardare al proprio piccolo mondo e ad attendersi tutto da fuori, mentre conduce un’esistenza rasoterra. Né valgono ad innalzarsi le rumorose risse nelle piazze delle nostre città, non certo frutto di creatività, ma brutte sconfitte del vivere insieme.
I credenti, ormai minoranza nel nostro contesto sociale e culturale, sono invitati a non lasciarsi sfuggire il richiamo della Quaresima: fede intensamente vissuta nel dialogo – nel confronto, se necessario – con Dio e capacità di dare senso a ogni gesto, a ogni scelta, allontanando i vuoti pensieri e il cancro del ripiegamento su di sé. Questo il vero digiuno.
don Gianni
Il Congo in tasca
Si scrive RDC, ma si legge Repubblica Democratica del Congo, 2.345.410 km² (quasi 8 volte l’Italia) nel cuore dell’Africa, oltre 100 milioni di abitanti, ricchezze minerarie, energetiche e ambientali infinite in un paese che resta in cima alla classifica dei popoli più poveri. L’area del nordest, al confine con Ruanda e Burundi, da decenni è devastata da scorrerie di bande armate (si dice oltre 100) al seguito di quella che è stata chiamata “guerra mondiale africana”. Chi può, calcoli la distanza tra noi e quelle zone: quante migliaia di chilometri.
È lì che il 22 febbraio sono stati uccisi l’ambasciatore Luca Attanasio, originario di Limbiate, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo.
Ci sembra tanto lontano il Congo, se non fosse che ciascuno di noi ce l’ha in casa e se lo porta in tasca attraverso il coltan (scientificamente: columbo-tantalite), un minerale che è componente fondamentale dei chip di qualsiasi apparecchio elettronico (a partire da nostri smartphone) e serve a ottimizzare la durata della batteria e a risparmiare energia elettrica. La RDC possiede l’80% delle riserve mondiali di coltan. Lo chiamano “minerale insanguinato” perché le modalità di raccolta e immissione sul mercato avvengono a prezzo di violenze, guerre e sfruttamento minorile. Nei giacimenti si trovano anche cobalto, diamanti, oro e molto altro.
Ci consola che un testimone di pace così qualificato e creativo come Luca Attanasio sia cresciuto in uno dei nostri Oratori. C’è qualcuno o qualcuna pronto a prenderne il testimone?
don Gianni
Anniversario senza spreco
Mi rifaccio ancora a papa Francesco e a una sua affermazione paradossale: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. L’ha detta a Pentecoste, e l’ha ripetuta nei mesi successivi.
Un anno fa, il pomeriggio di domenica 23 febbraio, sull’onda delle allarmanti notizie che iniziavano a prendere consistenza intorno al nuovo devastante virus, eravamo costretti a decisioni drastiche: sospensione delle Messe con la presenza dei fedeli (le chiese però sono sempre rimaste aperte per la preghiera personale), chiusura degli oratori e delle attività educative e sportive, chiusura delle scuole, incluse quelle parrocchiali per l’Infanzia. Dopo qualche giorno abbiamo imparato una nuova espressione: lockdown, chiusura totale, confinamento.
Si è parlato di “tempo sospeso” e qualcuno ha proposto di cancellare dalla storia l’anno 2020.
Cancellare: un istinto ricorrente nelle singole persone quando subiscono un periodo di prova per una malattia, un lutto, una separazione, un licenziamento o una bocciatura; tentazione che può essere avvertita anche a livello collettivo. Ma – a parte che l’accaduto non si può cancellare – è giusto mettere tra parentesi? Ignorare o eliminare o rimuovere il negativo? Non è anch’esso una scuola di vita, che mette in luce limiti, fragilità, ma anche risorse e capacità di lotta e di perseveranza di singoli e comunità? Nessuna esperienza, neppure la più angosciante, va sprecata. La forza della preghiera e del pensiero possono aiutare a superare ciò che il papa chiama “narcisismo, vittimismo ed egoismo” e a immaginare creativamente nuovi orizzonti.
don Gianni
Quel testamento da leggere
Ogni anno il 17 gennaio ricorre la Giornata per il dialogo ebraico-cristiano. Certamente un’occasione per esperti e super specialisti, mentre per la gente comune l’enunciazione dice poco.
Un richiamo tuttavia si apre nella vita quotidiana di ogni cristiano: la Bibbia – che noi leggiamo come Parola di Dio – in gran parte è costituita da quello che chiamiamo Antico o Primo Testamento. Nelle Messe spesso la prima lettura proviene da uno dei 46 libri della prima parte della Bibbia: libri storici, testi profetici e sapienziali, poesie e preghiere dei Salmi.
Da sempre questi scritti suscitano perplessità: Dio si compiace della sua creazione – vide che era cosa buona –, ma con ira distrugge l’umanità infedele come nel diluvio o a Sodoma e Gomorra.
Si alternano promesse di alleanza tramite l’annientamento del nemico (l’esercito del Faraone, per es.) e pagine di intensa tenerezza come nel Cantico dei Cantici. I Salmi scavano nel profondo dell’animo di chi vive tutte le esperienze umane: malattie, persecuzioni, tradimenti, ma anche la ricerca di sicurezza in Colui che sempre è pastore e guida in una valle oscura.
Gesù cita spesso l’Antico Testamento per ricordare che in Lui si trovano la pienezza dell’annuncio divino e la definitiva immagine di Dio, capace di misericordia senza condizioni. I profeti ne parlavano come di Colui che avrebbe inaugurato un tempo di grazia e di pace. Senza Gesù, l’Antico Testamento resta enigmatico; solo con Lui la rivelazione di Dio è completa. Alla luce di Gesù possiamo ascoltarlo e leggerlo con interesse e curiosità, senza timore.
don Gianni
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