Categoria: Editoriali

  • Inizio o interruzione

    L’attesa del periodo del Natale 2020 è stata intensa: zone a vari colori, coprifuoco, pranzi e cene di famiglia, sci e impianti di risalita, asporto da bar e ristoranti, autocertificazioni per la Messa di (non) mezzanotte. Dopo Natale nuove speranze con i vaccini e altre incognite sull’apertura delle scuole e il ritorno alla normalità. La nostra vita sociale è artificiale, ma non è noiosa.

    L’attesa del Natale, inteso come la celebrazione memoriale della nascita di Gesù, dovrebbe averci educato a non pensare a quel periodo – quello natalizio – come un’interruzione dei ritmi quotidiani, una sospensione delle attività consuete, un’allegra rimpatriata di saluti e di auguri. Non un’interruzione, ma un inizio: quando in una casa, in una famiglia, arriva una nuova vita i ritmi si stravolgono, il neonato detta l’agenda e gli orari, le occupazioni e le preoccupazioni crescono con il passare dei giorni e degli anni.

    Come cristiani – senza nulla trascurare del clima di festa, dello scambio di regali, degli affetti familiari vissuti gioiosamente – siamo chiamati a vedere nella nascita di Gesù un inizio, più esigente e più espressivo dello stesso cambio di calendario e avvio di un nuovo anno.

    Iniziare, senza stravolgere le abitudini, ma riempiendole del loro vero senso, evitando le vuote ripetizioni. Iniziare, rinnovando senza timore una preghiera autentica e personale, non limitata a formule esteriori. Iniziare, riconoscendo sul volto di ogni persona il volto stesso di Gesù. Iniziare, avendo fiducia nel futuro, perché accompagnato dalla presenza del Dio fatto uomo.

    don Gianni

  • Ci mettiamo la faccia

    Ci mettiamo la faccia

    Per il presepio in basilica gli organizzatori si sono posti il problema di come rispettare le indicazioni dell’emergenza sanitaria ed evitare ogni tentazione – per quanto benevola – di assembramento. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, perché il presepio è ben visibile da ogni angolo della chiesa e specialmente durante celebrazioni. Le sagome sono quasi ad altezza naturale e alcune di esse trovano spazio direttamente nell’area dell’altare. Una scritta esprime la fede in Gesù, Luce del mondo, riprendendo dal vangelo di Luca un’espressione del cantico di Zaccaria: «Ci visiterà un sole che sorge dall’alto». Il sole di Gesù vince le tenebre di ogni tempo, incluse quelle intessute di tristezza e paura dell’emergenza sanitaria tuttora in atto. Si richiama così anche l’origine della collocazione della solennità natalizia: la cristianizzazione della festa pagana del dies Solis invicti, quando le giornate cominciano di nuovo ad allungarsi. E si realizza la profezia di Malachia: «sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia».

    Le sagome sono senza colori e senza volti, perché forse invitano noi a metterci al loro posto nell’accorrere all’incontro con il Bambino Gesù. Su quelle sagome mettiamoci dunque la nostra faccia e rallegriamoci di avvicinarci a Lui, più ancora nella vita che nel presepio.

    don Gianni

  • Il respiro del tempo

    Questo 2020 passerà come un anno difficile, annus horribilis o, come dice qualcuno, «il peggiore della vita». Eppure alla fine del 2019 ci eravamo augurati, ripetendo come sempre l’inutile mantra, «un anno migliore del precedente».

    Gli eventi vanno per conto loro. Siamo noi a misurarli con lo scorrere del tempo: anni, stagioni, anniversari, feste. E facciamo bene a prendere le misure: così conserviamo in memoria le luci e le ombre della nostra vita, i sorrisi e le lacrime, le consolazioni e le devastazioni.

    Il tempo dà respiro alla nostra vita e, come direbbero i saggi, medica qualche ferita e attenua (quasi sempre) le rigidità del cuore.

    Il tempo potrebbe darci ritmo e respiro, almeno finché non arriva un virus maledetto a colpirci proprio in ciò che è più elementare, spontaneo, automatico: respirare per vivere. Descriviamo le nostre giornate collegando tempo e respiro: «non ho respiro» cioè «non ho tempo», «il tempo mi manca»; ma anche: «ora posso tirare il fiato» e quindi «ho guadagnato il mio tempo».

    Lo suggerisce il Papa e l’hanno ribadito i Vescovi italiani: nell’ansia di superare le drammatiche difficoltà del 2020, occorre evitare che questo tempo vada sprecato, che non insegni nulla, che le tenebre con cui ha avvolto noi e il mondo soffochino quelle luci di ricerca di senso, di interiorità, di solidarietà che pure ha sollecitato e portato. Il virus resta il nemico, ma gli uomini e le donne del 2021 continuano a essere benedetti da Dio. Auguri e buon anno nuovo!

    don Gianni

  • Nato al tempo del censimento

    «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra»: così inizia il racconto della nascita di Gesù nel vangelo di Luca. Le circostanze sono condizionate da un decreto imperiale e Giuseppe – riferisce sempre il vangelo – «dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme».

    Il censimento dell’antichità serviva, più che a esigenze statistiche, a stabilire quanti uomini potevano essere abili per l’esercito (ma il coriaceo popolo ebreo su questo faceva eccezione) e soprattutto quantificare il gettito fiscale: un’imposizione dall’esterno che doveva suonare come strumento di oppressione e segno di schiacciante prepotenza. Eppure – è sempre il testo del vangelo – «tutti andavano a farsi censire». Anche per questo Gesù non trova alloggio.

    A quei tempi il nemico era chiaro e visibile: il potere degli occupanti imperiali e il tradimento dei connazionali collaborazionisti, tra cui il re Erode. Ai nostri tempi si parla di un nemico insidioso, invisibile, in gran parte sconosciuto, al quale ci si può sottrarre solo se tutti insieme ci si sottopone a comportamenti adeguati a tutelare la salute propria e altrui.

    Cosa farebbero oggi Gesù, Maria e Giuseppe? Come allora, senza venire a patti con il nemico, si inserirebbero nella vita di tutti, tra paure e speranze, preoccupazioni e impazienze, gesti di solidarietà e responsabilità. Tutto può accadere, ma Gesù è qui con noi. Lo è sempre, ma specialmente nei momenti meno felici, quando abbiamo più bisogno di Lui. Buon Natale a tutti!

    don Gianni

  • Fare doni, essere dono

    Non c’è aspetto migliore della tradizione natalizia che quello di fare e ricevere doni. Non è un atto riservato ai cristiani o al Natale: le feste religiose e civili dei popoli e gli anniversari si accompagnano spesso all’usanza di scambiarsi regali come segno di una gioia condivisa.

    Il gesto può anche essere interessato – chi dona oggi spera di ricevere un contraccambio domani – e addirittura causare legami di dipendenza o tentativi di corruzione.

    Ma la consuetudine di donare svela una bella caratteristica dell’essere umano: saper uscire da sé, coltivare relazioni con gli altri, immaginare il loro benessere. Perciò non appartiene solo ai cristiani o alle persone religiose, ma è segno di un’umanità aperta e fiduciosa, capace di andare oltre l’interesse immediato e di vivere la gratuità.

    Ciò che è umano diventa anche divino quando, sulle orme del Figlio di Dio fatto uomo, sappiamo arricchire ciò che già realizziamo. Gesù non fa doni, ma dona se stesso: non più “qualcosa per cui ti ricorderai di me”, ma il dono di me stesso, la mia presenza, la mia parola, il pane che mi rappresenta, il mio tempo dedicato a te. È Dio che si apre a noi, che ha fiducia in noi, che giunge a perdonare, che riconcilia – rimette in ordine – un mondo privo di armonia.

    Gesù ci incoraggia a essere dono a nostra volta, secondo quel comandamento che interpreta le nostre migliori aspirazioni: amare Dio e amare il prossimo. Capita già di saperlo attuare in famiglia, con i malati, con i poveri, con chi non ha da ricambiare. Essere dono è possibile.

    don Gianni

  • Visita o non visita?

    In questi giorni gli incaricati delle parrocchie stanno portando a tutte le famiglie la lettera firmata da preti, diacono e Ausiliarie diocesane, che conferma che non sarà possibile effettuare la tradizionale visita natalizia e suggerisce di ritrovarsi in famiglia a pregare il Padre nostro. L’immagine della natività di Gesù, allegata al messaggio, ne riporta la nuova versione che già utilizziamo nella preghiera comune.

    Nella lettera si annuncia pure che – per quanto possibile a causa del cosiddetto coprifuoco – chi desidera potrà venire nelle chiese parrocchiali per una preghiera e una benedizione.

    In quell’occasione le famiglie presenti saranno invitate a portare esse stesse un dono, un segno di speranza, da consegnare ai vicini, ripetendo così quanto i vangeli ci narrano della visita dei pastori a Gesù: «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro».

    Riferirono, cioè raccontarono, portando in dono la certezza di avere incontrato il Salvatore, come aveva loro annunciato l’Angelo. Erano pastori, non angeli, né scribi, né teologi: gente comune, forse anche povera, che superava ogni paura e parlava di Gesù. Perché non potrebbe farlo ciascuno di noi con il proprio vicino, il familiare, il conoscente, l’amico?

    La non-visita tradizionale potrebbe così trasformarsi in un’esperienza missionaria semplice, alla portata di tutti, capace di portare luce e benedizione, senza ulteriori complicate spiegazioni.

    don Gianni

  • «Non sprecare il momento»

    In data 22 settembre i Vescovi italiani hanno inviato un Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia ispirato alle parole di san Paolo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera».

    I Vescovi affermano: «Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro». E citano papa Francesco: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi».

    Ricordano che «dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno». E aggiungono: «Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle “inequità”. Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!». Invitano alla preghiera: «In questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono divenire un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica».

    Concludono ancora con Papa Francesco: «Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme».

    Il testo completo del Messaggio su www.chiesadimilano.it e www.pastoraledesio.it

  • «Non abbandonarci»

    Da domenica prossima pregheremo il Padre nostro con due variazioni più fedeli al testo originale: «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione».

    Gli studiosi hanno molto discusso su come modificare l’espressione usata finora – non indurci in tentazione – per evitare che sembri che Dio stesso sia causa delle tentazioni maligne.

    Ci abitueremo a pregare con la nuova versione, lasciando agli esperti il compito di elaborare i loro studi secondo i quali è difficile trovare una traduzione soddisfacente per tutti.

    Il termine “non abbandonarci” fa comunque riferimento alla costante cura di Dio per i suoi figli, alla sua misericordia, alla notizia buona (= evangelo) che Dio non abbandona mai nessuno.

    Tuttavia, nello specifico del Padre nostro, invochiamo di non essere abbandonati nella tentazione. Tentazione da subito allude alla possibilità di compiere il male sollecitata da circostanze sfavorevoli, da fragilità umana, e dall’inesauribile opera del Maligno.

    Tentazione però indica anche il momento della prova, compresa la prova della fede, quando siamo noi tentati di abbandonare Dio, di disperare di Lui, di pensarlo concorrente e nemico.

    Proprio allora diventa preziosa la preghiera: «non abbandonarci nel momento in cui, messi alla prova, siamo tentati di farti uscire dalla nostra vita; proprio allora svelaci ancora i segni della tua cura e della tua misericordia».

    don Gianni

  • CHI SALVERÀ IL NATALE?

    «Occorre rallentare per ripartire», così «il Natale sarà salvo». Chi propone forti restrizioni contro la pandemia e chi le accetta esprime un auspicio: salvare il Natale; gli uomini, le istituzioni, i provvedimenti vogliono salvare il Natale. In questo entrano in gioco enormi fattori di carattere economico – vendite, consumi e guadagni – e i richiami affettivi e familiari che la festa comporta per tutti. Non è disdicevole voler salvare il Natale e le sue usanze.

    Occorre però che i cristiani – per quelli di rito ambrosiano oggi comincia l’Avvento – si mettano un po’ di traverso, non certo a boicottare le legittime aspettative di tutti, ma ad allargare lo sguardo: siamo noi a salvare il Natale? Non è forse l’evento celebrato, la nascita di Gesù, a salvare il mondo? Gesù porta un messaggio di umanità piena, di dignità assoluta della persona, di solidarietà fraterna, di uno stile di vita che anche nei frangenti più tragici della storia umana è capace di suscitare perseveranza (oggi si direbbe resilienza) e di dare speranza.

    Per iniziare bene l’Avvento valgono anche per noi – per ora non costretti, come lui e la sua diocesi, a sospendere temporaneamente le celebrazioni festive – le parole del Vescovo Olivero di Pinerolo che invita a intensificare la preghiera in famiglia: «Preghiamo di più, preghiamo incessantemente per noi e per tutti, in particolare per quelli che soffrono. Riscopriamo, nella necessità, la preghiera in casa. Troppi cristiani l’hanno dimenticata. Riscopriamo la lettura della Parola, nella quale ci viene incontro Cristo stesso».

    don Gianni

  • SI SALVI CHI NON PUÒ

    “Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi”: così scrive papa Francesco in questa Giornata dei Poveri.

    Quando la nave sembra andare a fondo, sorge la tentazione di dire “Si salvi chi può!” e di pensare a se stessi, invece di tendere una mano al vicino, minacciato nello stesso modo.

    La considerazione del disagio economico che angoscia intere categorie di lavoratori, artigiani e imprenditori, non può essere disgiunta dalla ricerca di un’efficace tutela della salute. E d’altra parte comportamenti irresponsabili, dettati dalla legge del divertimento a ogni costo, lasciano intravedere un problema più ampio, la supremazia dell’Io a scapito della solidarietà.

    Quando è difficile equilibrare scelte e atteggiamenti, la cartina di tornasole, come sempre, è guardare a chi sta in fondo alla classifica e già nella normalità rischia di restare indietro. Sono i popoli poveri del mondo, ma anche la schiera degli invisibili e degli scartati di casa nostra, che si presenta a chiedere un aiuto. Lo si fa a nome di una comunità credente, purché essa si lasci allenare quotidianamente al senso vero e permanente della carità: “Si salvi chi non può!”.

    don Gianni