Categoria: Editoriali

  • «Non sprecare il momento»

    In data 22 settembre i Vescovi italiani hanno inviato un Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia ispirato alle parole di san Paolo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera».

    I Vescovi affermano: «Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro». E citano papa Francesco: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi».

    Ricordano che «dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno». E aggiungono: «Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle “inequità”. Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!». Invitano alla preghiera: «In questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono divenire un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica».

    Concludono ancora con Papa Francesco: «Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme».

    Il testo completo del Messaggio su www.chiesadimilano.it e www.pastoraledesio.it

  • «Non abbandonarci»

    Da domenica prossima pregheremo il Padre nostro con due variazioni più fedeli al testo originale: «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione».

    Gli studiosi hanno molto discusso su come modificare l’espressione usata finora – non indurci in tentazione – per evitare che sembri che Dio stesso sia causa delle tentazioni maligne.

    Ci abitueremo a pregare con la nuova versione, lasciando agli esperti il compito di elaborare i loro studi secondo i quali è difficile trovare una traduzione soddisfacente per tutti.

    Il termine “non abbandonarci” fa comunque riferimento alla costante cura di Dio per i suoi figli, alla sua misericordia, alla notizia buona (= evangelo) che Dio non abbandona mai nessuno.

    Tuttavia, nello specifico del Padre nostro, invochiamo di non essere abbandonati nella tentazione. Tentazione da subito allude alla possibilità di compiere il male sollecitata da circostanze sfavorevoli, da fragilità umana, e dall’inesauribile opera del Maligno.

    Tentazione però indica anche il momento della prova, compresa la prova della fede, quando siamo noi tentati di abbandonare Dio, di disperare di Lui, di pensarlo concorrente e nemico.

    Proprio allora diventa preziosa la preghiera: «non abbandonarci nel momento in cui, messi alla prova, siamo tentati di farti uscire dalla nostra vita; proprio allora svelaci ancora i segni della tua cura e della tua misericordia».

    don Gianni

  • CHI SALVERÀ IL NATALE?

    «Occorre rallentare per ripartire», così «il Natale sarà salvo». Chi propone forti restrizioni contro la pandemia e chi le accetta esprime un auspicio: salvare il Natale; gli uomini, le istituzioni, i provvedimenti vogliono salvare il Natale. In questo entrano in gioco enormi fattori di carattere economico – vendite, consumi e guadagni – e i richiami affettivi e familiari che la festa comporta per tutti. Non è disdicevole voler salvare il Natale e le sue usanze.

    Occorre però che i cristiani – per quelli di rito ambrosiano oggi comincia l’Avvento – si mettano un po’ di traverso, non certo a boicottare le legittime aspettative di tutti, ma ad allargare lo sguardo: siamo noi a salvare il Natale? Non è forse l’evento celebrato, la nascita di Gesù, a salvare il mondo? Gesù porta un messaggio di umanità piena, di dignità assoluta della persona, di solidarietà fraterna, di uno stile di vita che anche nei frangenti più tragici della storia umana è capace di suscitare perseveranza (oggi si direbbe resilienza) e di dare speranza.

    Per iniziare bene l’Avvento valgono anche per noi – per ora non costretti, come lui e la sua diocesi, a sospendere temporaneamente le celebrazioni festive – le parole del Vescovo Olivero di Pinerolo che invita a intensificare la preghiera in famiglia: «Preghiamo di più, preghiamo incessantemente per noi e per tutti, in particolare per quelli che soffrono. Riscopriamo, nella necessità, la preghiera in casa. Troppi cristiani l’hanno dimenticata. Riscopriamo la lettura della Parola, nella quale ci viene incontro Cristo stesso».

    don Gianni

  • SI SALVI CHI NON PUÒ

    “Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi”: così scrive papa Francesco in questa Giornata dei Poveri.

    Quando la nave sembra andare a fondo, sorge la tentazione di dire “Si salvi chi può!” e di pensare a se stessi, invece di tendere una mano al vicino, minacciato nello stesso modo.

    La considerazione del disagio economico che angoscia intere categorie di lavoratori, artigiani e imprenditori, non può essere disgiunta dalla ricerca di un’efficace tutela della salute. E d’altra parte comportamenti irresponsabili, dettati dalla legge del divertimento a ogni costo, lasciano intravedere un problema più ampio, la supremazia dell’Io a scapito della solidarietà.

    Quando è difficile equilibrare scelte e atteggiamenti, la cartina di tornasole, come sempre, è guardare a chi sta in fondo alla classifica e già nella normalità rischia di restare indietro. Sono i popoli poveri del mondo, ma anche la schiera degli invisibili e degli scartati di casa nostra, che si presenta a chiedere un aiuto. Lo si fa a nome di una comunità credente, purché essa si lasci allenare quotidianamente al senso vero e permanente della carità: “Si salvi chi non può!”.

    don Gianni

  • Commemorazione dei Fedeli Defunti – 2 novembre

    Dove nasce la tradizione di questa commemorazione?

    La tradizione di commemorare in un giorno tutti i morti risale al secolo IX per volere dell’abate benedettino sant’Odilone di Cluny. Il significato è quello di pregare in quel giorno per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti e si sono addormentati nella speranza della resurrezione.

    Significato della ricorrenza

    La commemorazione dei defunti appare per la prima volta nel secolo IX, in seguito all’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno intero alla preghiera per tutti i defunti.

    Amalario di Metz, vescovo e teologo francese nel secolo IX ricordava la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi. Con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny il giorno del 2 novembre fu dedicato alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, usanza già praticata da sant’Agostino che pregava anche al di fuori dei loro anniversari. La Chiesa è stata sempre devota al ricordo dei defunti. L’apostolo Paolo pone la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile, dove i discepoli sono chiamati alla medesima esperienza e tutta la loro esistenza conduce alle stigmate del mistero pasquale, guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo motivo i fedeli pregano per i loro cari defunti e sperano nella loro interces sione. Hanno la speranza con la gloria di Dio di raggiungerli in cielo e di unirsi gli eletti.

    Ricordare i defunti il giorno dopo la solennità di Tutti i Santi

    Nel Credo troviamo: «Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi». Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa auspica il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede e la realizzazione dell’amore. La comunione dei san-
    ti quindi nasce dallo scambio reciproco di libero aiuto tra i credenti in cammino sulla terra e i credenti viventi nell’aldilà, siano essi in Purgatorio o nel Paradiso.

    La scelta del 2 novembre

    L’abate Odilone, un santo e monaco che viveva nel convento di Cluny,era devoto delle anime del Purgatorio, al punto che dedicava tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze e mortificazioni per la loro liberazione. Si racconta che, di ritorno dalla Terra Santa uno dei suoi confratelli, gli raccontò di essere stato scagliato da una tempesta sulla costa della Sicilia, lì s’imbatté in un eremita, il quale gli raccontò che spesso udiva le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui. Udite queste parole l’abate Odilone ordinò immediatamente a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Scoccava l’anno 928 d. C. e da allora ogni anno il giorno dei morti viene ricordato in questo data.

  • Inseparabili

    Nella nostra tradizione, oltre che nel calendario, i giorni dei Santi e dei Defunti sono inseparabili: già il 1° novembre si visitano le tombe nei cimiteri e il 2 novembre è dedicato espressamente – nella dizione liturgica ed ecclesiastica – alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

    La vicinanza delle due ricorrenze suggerisce di considerare non separatamente i traguardi di ogni essere umano: c’è una fine di carattere storico, terreno, indicato da una data, che chiamiamo morte; e c’è un punto di arrivo, un fine, più alto e più vero, che la parola eternità descrive solo in modo incompleto e che sarebbe meglio definire santità.

    Che in questi giorni si ricordino tutti i santi, senza ulteriori specificazioni, comprendendo tra essi non solo quelli definiti ufficialmente come tali dalla Chiesa perché beatificati o canonizzati, ma anche quelli che papa Francesco chiama santi della porta accanto, tra cui annoverare familiari, amici, conoscenti, libera da una visione retorica e sostanzialmente falsa della santità, per avvicinarla alle vicende di tutti, al modo semplice di essere discepoli di Gesù nella vita quotidiana, alla pratica umile del comandamento dell’amore.

    Una santità che è sì frutto di conquista e di disciplina, ma soprattutto è un dono: Dio è vicino e resta vicino a tutti con la Croce di Gesù, anche nel momento doloroso e supremo della morte. E la santità diventa quel rapporto permanente con Dio con la morte non distrugge e che addirittura rende i nostri defunti inseparabili da noi.

    don Gianni

  • Profumo di Spirito Santo

    Profumo di Spirito Santo

    I primi fine settimana di ottobre nella nostra parrocchia dei Santi Pietro e Paolo si sono celebrate le Cresime.

    In questo periodo particolare anche le celebrazioni dei sacramenti sono cambiate ma oserei dire solo nella forma e non certo nella sostanza.

    Lo Spirito Santo è sceso in dono a più di 50 ragazzi e ragazze divisi in quattro gruppi.

    La celebrazione è stata molto raccolta; certo forse non c’era la solennità che si è soliti vedere in queste occasioni, ma tutto era davvero preparato con cura: i fiori, i canti, i piccoli gesti che i protocolli Covid ci hanno consentito di compiere.

    Ancora, diversamente dal solito, non c’era il Vescovo per il motivo che tutti conosciamo, ma il nostro parroco don Gianni non ci ha fatto rimpiangere la sua assenza. Don Gianni ha saputo coinvolgere tutti in maniera simpatica ma soprattutto ha dialogato con i ragazzi partendo dalla Parola e con i suoi molteplici esempi ha sciolto i timori e le emozioni di tutti.

    Il momento dell’amministrazione della Cresima è stato toccante: i ragazzi sull’altare, i genitori e i pochi parenti presenti hanno riempito con la preghiera e l’intensità della loro partecipazione la nostra chiesa. Direi che questo modo meno formale e forse più denso di significato è stato un regalo gradito considerato il periodo e potrebbe essere di stimolo anche
    per il futuro.

    Io e le mie colleghe catechiste vogliamo ringraziare don Gianni per aver sostenuto e aiutato i nostri ragazzi e ragazze in un momento tanto importante, il diacono Fabrizio e suor Graziana che sono stati nostri compagni di viaggio durante questi mesi, e non ultimo, chi ci ha aiutato con i canti e con la preparazione e l’abbellimento dell’altare e della chiesa.

    Ma soprattutto, e non certo per ultimo, il ringraziamento va ai genitori, che per primi hanno scelto con i loro figli di compiere questo cammino. Infine, proiettati verso il futuro, un grazie agli aiuto catechisti che da ora saranno chiamati a diventare gli educatori dei pre-adolescenti.

    E ai ragazzi e alle ragazze che abbiamo visto crescere nella fede, insieme
    al grazie, volevo dire che la Cresima non è la fine ma l’inizio di un bellissimo percorso di cristiani cresciuti nella fede da vivere nel nostro oratorio che con l’augurio, quando sarà possibile, diventi la loro seconda casa!

    Ilaria Dellepiane

  • “Non abbandonarci alla tentazione…”

    “Non abbandonarci alla tentazione…”

    Da domenica 29 novembre anche nel rito ambrosiano il messale si presenterà con qualche piccola modifica, in linea con il motu proprio firmato da papa Francesco. In tale occasione, infatti, il Santo Padre ha sottolineato la necessità che la liturgia, pur nella sua fermezza, sia in gra do di comunicare al meglio i misteri che celebriamo, adeguando il linguaggio ai tempi. E nella liturgia – dobbiamo ammetterlo – il ruolo più importante è quello del linguaggio, oltre a quello dei segni e degli oggetti. Il linguaggio, tuttavia, non è qualcosa di immutabile, anzi è parte viva del nostro saper comunicare, ed essendo vivo, si evolve, cambia, trasmette gli stessi misteri in un modo nuovo con parole nuove. Ma è in grado di trasmettere cose nuove con parole già conosciute ma distribuite in un modo nuovo, permettendo di essere comprese in maniera corretta.

    Le modifiche al messale che entreranno in vigore con la III domenica d’Avvento ambrosiano (in linea con la I domenica d’avvento del rito romano) vogliono dire proprio questo: molte parole, molti gesti, molti segni inclusi nella liturgia dell’attuale messale hanno bisogno di essere aggiornati, contestualizzati, rimodernati.

    Il primo cambiamento, forse quello più discusso e più importante, è la modifica definitiva alle parole del “Padre Nostro”. In realtà, se prendiamo la versione aggiornata della Bibbia secondo la traduzione della CEI pubblicata nel 2008, troviamo già questa versione aggiornata. Di fatto non sarà quindi una novità, ma l’adeguamento del messale chiede anche a noi di modificare due parole di questa preghiera millenaria che tutti impariamo fin da bambini. Non si dirà più “non indurci in tentazione”, ma “non abbandonarci alla tentazione”. La parola “indurre” è una di quelle che necessita di essere precisata, non rispondendo più, secondo l’uso comune, al significato corretto della preghiera. Il Signore, quindi, non ci porta alla tentazione, non ci tenta, perché non ne ha bisogno. “Dobbiamo escludere
    che sia Dio il protagonista delle tentazioni che incombono sul cammino dell’uomo” ha precisato papa Francesco. Il Signore desidera solo essere amato e rispondere a un figlio che chiede aiuto. Uno di questi aiuti è proprio quello di volgersi verso di Lui nei momenti in cui siamo fragili,
    deboli, come nella tentazione di cedere al peccato. In quel momento abbiamo bisogno di essere sostenuti, amati, consolati dal Signore, a cui chiediamo aiuto nella nostra lotta contro il male e il peccato. Sempre nel Padre Nostro, inoltre, troveremo il cambiamento da “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” in “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

    Un altro adeguamento lessicale è quello che risponde alla necessità di aprire le orazioni verso tutti i fedeli, estendendo alcuni sostantivi che finora richiamavano solo la parte maschile per includere anche la presenza preziosa e necessaria della parte femminile dei fedeli. Troveremo quindi le invocazioni non più dirette ai “fratelli” ma a “fratelli e sorelle”, come nel caso della preghiera del “Confesso a Dio e a voi fratelli e sorelle”.

    Altre piccole modifiche riguardano il “Gloria” come lo recitiamo durante la santa messa. “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” diventerà “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore”.

    Un’ultima modifica riguarda le preghiere eucaristiche in cui la preghiera di intercessione per tutto “l’ordine sacerdotale” sarà ampliata nei tre gradi del ministero ecclesiastico: “con l’ordine episcopale, i presbiteri e i diaconi”

    Diac. Fabrizio Santantonio

  • Pensare oltre

    Nel vortice della pandemia (e della seconda ondata), ci chiediamo ancora cosa stiamo imparando su noi, sulla vita, sull’umanità. Tra i primi dieci paesi contagiati (l’Italia è per ora 15a), sei appartengono ai “paesi di missione” (dove operano anche missionari italiani): India, Brasile, Argentina, Colombia, Peru, Messico. Nella statistica delle vittime (dove l’Italia è purtroppo 6a), tra i primi cinque risultano Brasile, India, Messico (dati del 21 ottobre). I dati africani, a detta di molti, sono poco leggibili a causa delle fragili strutture sanitarie del continente.

    La Chiesa italiana propone di celebrare in questo mese la giornata missionaria con il tema Tessitori di fraternità. Si tratta come sempre di pregare perché l’evangelizzazione abbia successo, non tanto come ampliamento della forza del cattolicesimo, ma come accoglienza dell’annuncio a essere tutti discepoli di Gesù; e perché missionari e missionarie – sacerdoti, religiosi e religiosi laici e famiglie – siano perseveranti in quest’opera. Si tratta di non far mancare una solidarietà concreta, fatta anche di un’offerta in denaro, per sostenere l’annuncio del vangelo in tutti i paesi del mondo, specialmente tra i popoli più poveri.

    Si tratta anche di “pensare oltre”: cattolico – a dispetto di chi ritiene il contrario – non significa settario o separato, ma universale. Anche se dotato di storie e culture con forte identità, ogni cattolico è aperto al mondo, pensa e prega oltre i propri confini, si sente parte di una Comunità ampia, desiderosa che nessuno sia escluso dalla salvezza, e diventa tessitore di fraternità.

    don Gianni

  • Un pensiero di benedizione

    Un pensiero di benedizione

    stemma-delpiniInvoco la benedizione di Dio su questa nostra terra e su tutte le terre del pianeta.

    In questo momento l’apprensione per sé e per i propri cari, forse persino il panico, si diffondono e contagiano il nostro vivere con maggior rapidità e con più gravi danni del contagio del virus.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti:

    la benedizione di Dio non è una assicurazione sulla vita,
    non è una parola magica che mette al riparo dai problemi e dai pericoli.

    La benedizione di Dio è una dichiarazione di alleanza:
    Dio è alleato del bene, è alleato di chi fa il bene.

    Invoco la benedizione di Dio sugli uomini di scienza e sui ricercatori.

    La gente comune non sa molto di quello che succede,
    dei pericoli e dei rimedi di fronte al contagio.
    Il Signore è alleato degli uomini di scienza che cercano il rimedio
    per sconfiggere il virus e il contagio.

    In momenti come questi si deve confermare un giusto apprezzamento
    per i ricercatori e per gli uomini e le donne che si dedicano
    alla ricerca dei rimedi e alla cura dei malati.

    Si può essere indotti a decretare il fallimento della scienza
    e a suggerire il ricorso ad arti magiche e a fantasiosi talismani.

    La scienza non ha fallito: è limitata.

    Siano benedetti coloro che continuano a cercare
    con il desiderio di trovare rimedi, piuttosto che di ricavarne profitti.

    Certo si può anche imparare la lezione che sarebbe più saggio dedicarsi
    alla cura dei poveri e delle condizioni di vita dei poveri,
    piuttosto che a curare solo le malattie dei ricchi
    e di coloro che possono pagare.

    Che siano benedetti gli scienziati, i ricercatori e coloro
    che si dedicano alla cura dei malati e alla prevenzione delle malattie.

    Invoco la benedizione di Dio per tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni.

    La benedizione di Dio ispiri la prudenza senza allarmismi,
    il senso del limite senza rassegnazione.

    Il consiglio dei sanitari e delle persone di buon senso
    suggerirà provvedimenti saggi.

    Ogni indicazione che sarà data per la prevenzione
    e per comportamenti prudenti
    sarà accolta con rigore dalle istituzioni ecclesiastiche.

    Invoco la benedizione di Dio su coloro che sono malati o isolati.

    Vi benedico in nome di Dio perché Dio è alleato del desiderio del bene,
    della salute, della vita buona di tutti.

    Chi è costretto a sospendere le attività ordinarie
    troverà occasione per giorni meno frenetici:
    potrà vivere il tempo a disposizione anche per pregare, pensare,
    cercare forme di prossimità con i fratelli e le sorelle.

    Mi permetto di invocare la benedizione del Signore e di invitare tutti i credenti a pregare con me:

    Benedici, Signore, la nostra terra, le nostre famiglie, le nostre attività.
    Infondi nei nostri animi e nei nostri ambienti
    la fiducia e l’impegno per il bene di tutti,
    l’attenzione a chi è solo, povero, malato.

    Benedici, Signore,
    e infondi fortezza e saggezza
    in tutti coloro che si dedicano al servizio del bene comune e a tutti noi:
    le sconfitte non siano motivo di umiliazione o di rassegnazione,
    le emozioni e le paure non siano motivo di confusione,
    per reazioni istintive e spaventate.

    La vocazione alla santità ci aiuti anche in questo momento
    a vincere la mediocrità, a reagire alla banalità, a vivere la carità,
    a dimorare nella pace. Amen.

    ✠ Mario Delpini, Arcivescovo di Milano